In questi giorni il Brasile sarà sulla bocca di tutti: oggi sono stati inaugurati i Giochi Olimpici di Rio de Janeiro, e molti di noi seguiranno con passione le imprese di atleti provenienti da ogni parte del mondo.
Poiché dunque l’argomento “Brasile” è molto caldo, ne approfittiamo per raccontare una storia poco conosciuta: quella di una minoranza linguistica brasiliana molto particolare, il talian.
Indice
La situazione linguistica brasiliana
Il Brasile, il quinto Paese più grande del mondo, ha una popolazione di più di 203 milioni di abitanti. È l’unica nazione americana ad avere come lingua ufficiale il portoghese, che dunque fa parte integrante dell’identità nazionale. La variante portoghese brasiliana si differenzia abbastanza da quella europea: ma, visto che è parlata da molte più persone (per non parlare dell’enorme fama dovuta alla sua musica e al calcio), è anche quella più conosciuta nel mondo.
A fianco della lingua ufficiale si contano innumerevoli lingue locali, parlate dai popoli indigeni prima che arrivassero i colonizzatori europei. Si stima che nel 1500 si parlassero più di mille lingue indigene, la maggior parte delle quali però adesso è scomparsa o estinta. Questo è avvenuto anche a causa di numerose politiche repressive da parte del governo brasiliano, che a più riprese ha cercato di imporre il portoghese come unica lingua. Il culmine di questa politica si è avuta ai tempi della presidenza del nazionalista Getúlio Vargas: il celebre “Estado Novo” (1937-1945), in cui si arrivò addirittura a coniare il concetto di “reato idiomatico“. La situazione è cominciata a migliorare solo a partire dagli Anni Ottanta, quando la nuova Costituzione ha accordato agli indigeni il diritto di poter imparare la propria lingua locale a scuola. Al giorno d’oggi dunque in Brasile resistono ancora quasi trecento lingue indigene: la loro vitalità è comunque a rischio, perché buona parte degli indios utilizza prevalentemente il portoghese. Insomma, ci troviamo di fronte a una situazione analoga a quella dei cosiddetti “dialetti” italiani.
Veneti in Brasile e altri immigrati
Com’è noto, la storia americana ha conosciuto, soprattutto a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, un massiccio fenomeno di immigrazione. Enormi masse di europei partirono dalle loro terre e si stabilirono oltreoceano, attirati da grandi possibilità economiche: negli Stati Uniti, in Canada, in Messico, in Uruguay, in Argentina e, ovviamente, anche in Brasile.
Tra i capifila di questo esodo in Brasile vi furono i tedeschi e, come sappiamo bene, gli italiani. Al contrario degli Stati Uniti (dove la maggioranza degli immigrati risultò essere meridionale), in America Latina il nucleo più grosso proveniva dal Norditalia: soprattutto friulani, trentini, genovesi, lombardi e veneti.
Quello che forse non è ben noto, è che tutti questi immigrati non parlavano italiano, ma le loro lingue locali, anche tra di loro. In alcune comunità a maggioranza italiana dello stato del Rio Grande do Sul, si formò una sorta di koinè macroregionale, che prendeva origine soprattutto dalle varianti venete settentrionali (la zona di Feltre, per esempio) e trentine, e che prese il nome di talian.
In modo simile, alcune comunità di immigrati tedeschi formarono un proprio idioma, basato soprattutto sulla variante tedesca della città di Hunsrück, e che è ancora conosciuto come Riograndenser Hunsrückisch.
Il talian: caratteristiche e storia
Come abbiamo già raccontato, il talian è essenzialmente una variante veneta, con influssi provenienti soprattutto dalle province di Belluno, Treviso e di Trento, anche se a seconda delle zone può avere anche degli influssi padovani, vicentini, se non addirittura lombardi o friulani – a cui si aggiunge una certa influenza portoghese, soprattutto nei neologismi. Il veneto si è diffuso come fondo principale della koinè perché la maggior parte degli immigrati italiani in Brasile veniva da quella regione: in certe aree si è quindi sviluppata anche una specie di trilinguismo lingua locale-talian-portoghese.
Tuttavia, nemmeno il talian ha avuto una vita facile. Al pari dell’Hunsrückisch e degli idiomi degli indigeni, anche questa lingua è stata duramente perseguitata durante gli Anni Quaranta dal regime di Vargas. Come avviene sempre in questi casi, il trauma per la comunità dei parlanti fu molto forte: di conseguenza, furono in moltissimi ad abbandonare la propria lingua madre in favore del portoghese, anche dopo la fine del periodo più acuto della persecuzione. Il risultato è che, oggigiorno, il talian è spesso una lingua privata, da usare in famiglia, ma non certo nelle occasioni pubbliche. Anche in questo caso, notiamo una certa somiglianza con la sorte delle nostre lingue in Italia!
Tuttavia, negli ultimi trent’anni le politiche del governo brasiliano sono cambiate, in favore di una maggiore apertura verso il plurilinguismo: anche se il portoghese rimane l’unica lingua ufficiale dello Stato, a livello locale è possibile tutelare (anche con l’insegnamento scolastico). Nel 2009 il talian è stato dichiarato parte del patrimonio linguistico degli stati del Rio Grande do Sul e di Santa Catarina, e nel 2014 patrimonio culturale dell’intero Brasile. Inoltre, è la lingua co-ufficiale del comune di Serafina Corrêa. Secondo le stime del governo brasiliano, il talian sarebbe ancora parlato da mezzo milione di persone in 133 città. Anche se la situazione complessiva della lingua non è facile, esistono numerosissime attività culturali in suo favore, dalle radio ai giornali.
Una situazione paradossale
Stando così le cose, ci troviamo di fronte a una situazione abbastanza singolare:
- il veneto in Italia è parlato da circa 6 milioni di persone, in Brasile da mezzo milione;
- il veneto in Italia è una lingua indigena del territorio, in Brasile invece è di introduzione recentissima;
- il veneto in Italia è stato spesso subordinato alla lingua nazionale, in Brasile è stato proprio perseguitato e represso;
- il veneto in Italia non è tuttora riconosciuto e tutelato dallo Stato, in Brasile invece sì.
Senza dubbio, è qualcosa che ci fa riflettere.
Per concludere, una lunga intervista del 2011 in veneto talian a Darcy Loss Luzzatto, attivista per la lingua e autore di un dizionario:
Mi son Veneta/Brasiliana. Son nassesta e cressesta a Serafina Corrêa, ntel stado del Rio Grande do Sul, Brasil, ‘ndove i costumi i ze richìssimi de un material indefinio e pressiosi de cultura e tradission portade par i nostri antenati. ‘Ndove tuto quel che vive, el insegna el passato a farse memòria. ‘Ndove i raconti, le atività, le situassion, le stòrie, i usi, i costumi, la religiosità e i esempi, i ze un património elaborà al lungo de 141 ani de imigrassion italiana che i ga delineà i contorni de una sossietà che se presenta ai òcii del mondo come un mosàico multicolor de rasse, e che, tutavia, ocupa nitidamente la imàgine viva e vivesta de un passato che nol ze mia solche ricordi o tristesse, ma sì movimento, assion intelectual, risgate, rispeto e identità.
El passato el ze presente e el ze anca futuro. El ponto de apògio dela nostra gente sémplice che contìnua a viver co la mente fissa ntela manutension dele so radise de orìgine, identifica che la nostra cultura no la ze mia ‘na semplice fàvola o spiegassion de un dito popolar, ma sì un ‘tuto’ spessìfico in tute le categorie e forme de rassiossìnio: un lenguàgio comum in cada espression in quel che el se refere al contenuto dei ricordi, de quel che ze stà imparà e dela memòria.
El tempo che go passà registrando la nostra gente, el serve come sìntasse modelo par definir i diversi aspeti, come realtà.
Esser o no esser ze una question de voler. Mantegner una tradission in tuti i so aspeti par tanti ani lontan dela Pàtria de orìgine no ze sol conossimento e sì, sapiensa: ze esser. Laorar par mantegner e amar sta tradission, sentirla com un viàgio rento noantri stessi ze un segno che permete racontar le stassion dela vita. Tuto se sa parché, viagiar rento noantri stessi ze revelassion e voler. Ringràssio i nostri sapienti dissendenti de imigranti tuti i valori che i ze stà recuperai, la elaborassion dei conceti, definission e interscàmbio che i ga fato render ùtil ogni minuto dele ricerche.
Intanto la siénsia la fa ricerche vardando el orisonte possìbile, la vita ne obriga a ripeter i gesti comuni e a acetar i costumi del giorno a giorno osservando el orisonte real e vero. El mondo, o Pàtria Mare, i pol o no acetarlo, i pol anca continuar a dassar de banda o anca far finta no saver, ma noantri esistimo, ghe semo, e semo ‘na comunità. Mi credo che la pì granda comunità de imigranti del norte italiano che ga savesto mantegner vivi i costumi, tradission e léngua, e bataliar par questo, vivendo ogni dì sto valor stòrico che ne fa sentir onor, pì che semplisse parole, sentir onor. La entità tempo e spàssio no la ze rivada qua. A volte la pol farse sentir amara ( questo se sente ntela ose al vivo in ogni registro fato ntel interior dela Serra Gaúcha, alcuni anca dissendenti dela cità de Cerquilho-SP), ma ga permesso de costruir un mondo de esperiénsie coletive, co una mescolansa de sapiensa colonial.
No tuto el material metesto qua, el ga el nome, giorno, cità e chi me lo ga passà, parché tante le ze sta fate par ricerche quando sol scrivea (par 14 ani) ntel giornal ‘O Serafinense’ ntel spàssio ‘Ciàcole’, giornal de Renato Paz (in memorian) e Ana Maria Schizzi; però grande parte dele esecussion le ze stà registrade par la Associazione Culturale Internazionale ‘Soraimar’, col patrossìnio dela Regione Veneto e apògio del Governo del Stato del Rio Grande do Sul, par le scole e biblioteche dela Regione Veneto.
La nostra léngua, che la ze la nostra identità, prima la ze ‘Patrimonio Imaterial do Estado do Rio Grande do Sul’, co la sansion de la Lege nº 13.178 del 10 giugno 2009 firmada lora, par la Governadora Yeda Crusius, che la ga aprovà el Progeto de la cognossesta come ‘ Santola del Talian’, Deputada Silvana Covatti.
Ntel 13 novembre del 2009, Serafina Corrêa co la Lege nº 2.615, del Sìndaco Ademir Antonio Presotto, la ga dato el piso parché podéssimo pestar sicuri:
“DISPÕE SOBRE A CO-OFICIALIZAÇÃO DA LÍNGUA DO TALIAN – VÊNETO BRASILEIRO, À LÍNGUA PORTUGUESA, NO MUNICÍPIO DE SERAFINA CORRÊA – RS.” Fin el momento la ùnica cità che la ga la léngua Talian come co-ofissial.
Ntela sfera Federal, ntel 2010, el Decreto nº 7.387 che ga instituio el Inventàrio dele Diversità Lenguìstiche come istrumento de identificassion, documentassion, ricognossimento e valorisassion dele léngue che le porta referensa a la identità, assion, memòria dei diferenti grupi che i forma la società brasiliana, soto la gestion del Ministero dela Cultura.
E LUCE par i dissendenti dei imigranti italiani: ntel 18 novembre 2014, ntela cità de Foz do Iguaçú-PR, el Presidente dela FIBRA ( Federassion dele Associassion Ítalo-Brasiliane del Rio Grande do Sul(, Dr. Paulo José Massolini, ga ricevesto, del Ministero dela Cultura, el tanto spetà Certificato- inèdito- che ricognosse la LÉNGUA TALIAN come ‘ Referência Cultural Brasileira’, la prima léngua de imigrassion a esser ricognossesta.
Ntel 20 magio 2015, Serafina Corrêa la ze diventata ‘ Capítal Nacional del Talian’.
Vui anca ringrassiar José Sperotto, Deputato Estadual-RS, che el ze stà autor del progeto che ze stá sansionà come Lege nº12.411 del 23 desembro del 2005, che ga dato a tuti sta benedission de aver ‘ Mérica, Mérica’, de Angelo Giusti, come ino ofissial dela Colonisassion Italiana ntel Rio Grande do Sul.
Se pol definir ste pàgine come fràgole che le ga fato e fa vita. Pàgine de luce che le ze viveste par quasi un sècolo e meso (semo ntel 2016 e ze 141 ani) tra le parole taseste e i silensi che ancoi i ze la nostra ose. Racòlier le parole come ìsole e nel tuto rivar a un continente che se ciama TALIAN, el cuor del Rio Grande do Sul.
LUCE E GRÀSSIE A TUTI!
Desidero avere delle informazioni sulle emittenti radio che trasmettono in talian.
Radio Odisséia FM +55 54 3444 1185 🙂
“ Nòte nera drènto un sogno stràco “
Cara nòte nera
tì sì drènto
un sogno stràco,
tè te volti
cò na nuvoea pà cussin
e sènsa incòrsarte
càsca bàsso
un tòco de quèrto
lòngo come
un campo intièro
e finìe pàr tèra
stè stee
cò sta luce fiàpa
smisiàe tra grànde e cee
e fà un fià pecà.
A vardàre in alto
resta un bùso nel cièo,
forse l’unica volta
che podèmo spiociàre
còssa ghe sé
da stàltra parte.
M.B.
Vecio parlar (Andrea Zanzotto)
Vecio parlar che tu à inte ’l tó saór
un s’cip del lat de la Eva,
vecio parlar che no so pi,
che me se á descuní
dì par dì ’inte la boca (e no tu me basta);
che tu sé cambià co la me fazha
co la me pèl ano par an;
parlar porét, da poreti, ma s’cèt
ma fis, ma tóch cofà ’na branca
de fien ’pena segà dal faldin (parché no bàstetu?)-
noni e pupà i é ’ndati, quei che te conosséa,
none e mame le é ’ndate, quele che te inventéa,
nóvo petèl par ogni fiól in fasse,
intra le strússie, i zhighi dei part, la fan e i afanézh.
Girar me fa fastidi, in médo a ’ste masiére
de ti, de mi. Dal dent cagnin del tenp
inte ’l piat sivanzhi no ghén resta, e manco
de tut i zhimiteri: òe da dirte zhimitero?
Élo vero che pi no pól esserghe ’romai
gnessun parlar de néne-none-mame? Che fa mal
ai fiói ’l petèl e i gran maestri lo sconsilia?
Élo vero che scriverte,
parlar vecio, l’é massa un sforzh, l’é un mal
anca par mi, cofà ciór par revèrs,
par straòlt, far ’ndar fora le corde de le man?
Ma intant, qua par atorno, a girar pa’i marcà,
o mèjo a ’ndar par canp e rive e zhópe
là onde che’l gal de cristal canta senpre tre òlte,
da juste boche se te sent. Mi ò pers la trazha,
lontan massa son ’ndat pur stando qua
invidà, inbulonà, deventà squasi un zhóch de pionbo,
e la poesia non l’é in gnessuna lengua
in gnessun logo – fursi- o l’é ’l busnar del fógo
che ’l fa screcolar tute le fonde
inte la gran laguna, inte la gran lacuna –
la é ’l pien e ’l vódo dela testa-tera
che tas, o zhigna e usma un pas pi in là
de quel che mai se podaràe dirse, far nostro.
Ma ti, vecio parlar, resisti. E si anca i òmi
te desmentegarà senzha inacòrderse,
ghén sarà osèi –
do tre osèi sói magari
dai sbari e dal mazhelo zoladi via -:
doman su l’ultima rama là in cao
in cao de zhiése e pra,
osèi che te à inparà da tant
te parlarà inte’l sol, inte l’onbría.
L’ora se slanguoris inte ‘l zhendre del scaldin,
l’é l’ora de des’ciorse, de assar al calduzh, al coàt.
Ma da ‘ste póche brónzhe de qua dó,
dai fià dei filò de qua dó,
si i fii, si i fii
del insoniarse e rajonar tra lori se filarà,
là sù, là par atorno del ventar de le stele
se inpizharà i nostri mili parlar e pensar nóvi
inte ‘n parlar che sarà un par tuti,
fondo come un basar,
vèrt sul ciaro, sul scur,
davanti la manèra inpiantada inte ‘l scur
col só taj ciaro, ‘pena guà da senpre.
(Disèe manèra, disèe taj,
e l’era sol che ‘na sguinzhada
un jozholar de débol miel
de lustri mèsteghi de bròse e guazh.)
( Disèee fii, disèe fià,
e co le ónge intive
sol che in s’césene – noi – de calcossa
desconpagnà sparpagnà
inte la lópa de un posterno eterno.)
(Disèe, disèe… )
(‘Note, ‘note; ‘l filò l’é finí.)
Sarìa beło aver na lista de tuti i posti che i veneti emigrati in Brasile, gà dato łà in Brasile uguale come zè in Veneto. Par esenpio – Nova Basano – Nova Padova e vanti così. De sicuro saltarà fora anca de cueło che non se pensa. Cuesto de sicuro par i Veneti in Italia.
On caro sałudo da on Veneto ai Veneti in Brasile.
Antonio