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Patrimoni Linguistici

Difendiamo le lingue e i dialetti d'Italia

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Un post dal 2069

by Brian Sciretti 3 Comments

Questo post arriva dal futuro, precisamente dal 2069. È la traduzione di un commento in lingua inglese scritto da una donna italiana. Lo abbiamo tradotto in italiano grazie ad una intelligenza artificiale machine learning quantistica.

Leggo sul giornale che l’Accademia della Crusca, una associazione di appassionati che si occupa di tutelare l’italiano, si oppone all’adozione dell’inglese quale lingua ufficiale dello Stato.

Che cosa ridicola. Io non ho nulla contro chi parla italiano, sia chiaro. Mio papà mi raccontava le fiabe in italiano, quando prego lo faccio in italiano perché con Dio bisogna essere sinceri, e quando bacio il mio compagno, gli parlo in italiano perché è la lingua degli affetti. Ma qui stop.

Per le cose serie bisogna usare l’inglese, la lingua del futuro che capiscono tutti. Non ha senso perdere troppo tempo per una lingua che si parla solo in Italia.

La mia generazione (sono nata nel 2019) ha fatto una gran fatica per internazionalizzarsi e padroneggiare la lingua inglese. Non volevamo più fare la figura dei provinciali come accadeva ai nostri genitori, che sono cresciuti in un contesto dove si parlava solo in italiano e che quindi non si trovavano a loro agio con la lingua internazionale.

Ho sempre parlato in inglese ai miei figli proprio per questo motivo. Non volevo che vivessero il senso di inferiorità che avevo vissuto io. Dunque, se i miei figli dicono frasi in italiano, li rimprovero. Lo faccio per il loro bene, e poi anche perché è fastidioso sentire un bambino parlare l’italiano.

Detto questo, è incredibile che al giorno d’oggi qualcuno proponga di usare l’italiano per insegnare al Politecnico…

Ma scherziamo? Cioè, uno sta dieci anni a studiare come un matto all’università e gli fanno insegnare nella lingua che si usa al bar?! E che lezioni potrà mai fare, poi…

Su come si suona il mandolino? Su quanto era bello guardare la televisione negli anni ’80? Pazzesco! Vorrei sentire una di quelle lezioni giusto per sganassarmi dalle risate.

A questo punto lo voglio ribadire: io all’italiano ci tengo. Si tratta di un patrimonio da preservare, purché nei giusti spazi.

Per esempio, ho insegnato a mio figlio grande degli scioglilingua e delle poesie in italiano. Dovreste vederlo come si diverte a recitarle coi nonni.

Poi, quando vado al bar ordino sempre il caffè in italiano. Addirittura ho insegnato qualche parola ad Hans, il cameriere tedesco. Quando entrano i clienti, chiede loro in perfetto italiano: “Ehi allora, come va? Vuoi un caffè?” Sentirlo parlare è uno spasso.

C’è anche un altro motivo per cui non approvo la scelta di quella associazione di amanti dell’italiano. Oggi non siamo più nel XX secolo. Viviamo da decenni in un mondo globalizzato e non possiamo di certo favorire le spinte separatiste… cosa che ovviamente avverrebbe se dessimo legittimità alle idee nazionaliste di chi vuole imporre l’uso dell’italiano.

Se approviamo l’uso indiscriminato dell’italiano come lingua ufficiale stiamo mettendo in discussione la realtà di oggi, che ha destinato l’italiano a un ruolo minoritario. Per di più mette in pericolo anche l’unità dell’Europa, considerato che l’italiano stesso è stato usato come simbolo politico dall’estrema destra sin dai tempi del Fascismo.

Dobbiamo accettare il destino inevitabile della lingua italiana, cioè la sua morte. Potrà sopravvivere nelle opere letterarie, nei detti o nei nomi delle contrade, al limite nei circoli di appassionati, ma se vogliamo il progresso dobbiamo accettare che non sarà più una lingua viva.

Ovviamente, non dal 2069

Non c’è nessun machine learning che viene dal futuro…

Ma non mi sono inventato niente… ho solo proiettato l’attuale glottofobia contro le lingue regionali nei prossimi 50 anni.

Gli argomenti usati sono argomenti comunissimi nella lotta contro le lingue regionali. Alcuni sono supportati persino da certe istituzioni scientifiche!

Per esempio:

Io non ho nulla contro chi parla italiano: Mio papà mi raccontava le fiabe in italiano

Non vi ricorda tanto gli argomenti di chi vuole tenere le lingue regionali in formalina in cantina?

Oppure:


Ma scherziamo? Cioè, uno sta dieci anni a studiare come un matto all’università e gli fanno insegnare nella lingua che si usa al bar?! E che lezioni potrà mai fare, poi…

Su come si suona il mandolino? Su quanto era bello guardare la televisione negli anni ’80? Pazzesco! Vorrei sentire una di quelle lezioni giusto per sganassarmi dalle risate.

Ecco, pensate a leggere:

E questi vorrebbero far insegnare al Politecnico… In lombardo?! Ma scherziamo? Cioè, uno sta dieci anni a studiare come un matto all’università e gli fanno insegnare nella lingua che si usa nelle stalle?! E che lezioni potrà mai fare, poi… Su come si cucina la polenta e si dichiara l’indipendenza del Nord?

Sarebbe uno scandalo leggere un commento del genere? No. Anzi, nell’ambito politico si sentono ancora commenti simili! Eppure sarebbe possibilissimo fare una lezione al Politecnico in lingua lombarda così come in italiano. Leggi questo testo tecnico di Wikipedia in Lombardo se non ci credi!

Ma andiamo avanti. Vi sembra assurdo dire:

E poi viviamo in un mondo globalizzato, non possiamo di certo favorire le spinte separatiste per fare crollare l’Unione Europea, cosa che ovviamente avverrebbe se dessimo legittimità alle idee nazionaliste ufficializzando l’italiano.

Ma vi sembrerebbe tanto assurdo:

E poi siamo nell’Italia unita, non possiamo di certo favorire le spinte separatiste di chi vuole far crollare la Repubblica, cosa che ovviamente avverrebbe se dessimo legittimità alle idee secessioniste ufficializzando il veneto.

No, vero? Eppure è falso che l’italiano rinforzi l’euroscetticismo, così come non è vero che il veneto e le lingue regionali rinforzano il secessionismo.

Il succo del discorso

Il succo del discorso è che gli attacchi glottofobi che si possono fare verso i dialetti si possono ritorcere contro l’italiano.

Non siamo più negli anni ’70. L’italiano oggi è di fatto una lingua minoritaria nello scenario globale. Solo 60 milioni di parlanti contro lingue come l’inglese, lo spagnolo, l’arabo, il cinese e il russo, che contano centinaia di milioni (se non miliardi) di parlanti.

La lingua italiana non è una lingua internazionale, dato che è parlata praticamente solo in Italia. Possiamo dire quindi che la sua esistenza è garantita dallo Stato italiano… ma per quanto?

Appena superati i confini, l’italiano non crea alcun vantaggio nel mondo del lavoro ed è pochissimo rilevante nel mondo scientifico.

Detto ciò, non voglio trasmetterti un cupo pessimismo dipingendo l’italiano come una lingua inutile da destinare al macero. Il mio obiettivo è quello di farti pensare.

Ormai è chiaro che l’italiano è entrato in una fase di “dialettizzazione”. Quindi, non ha senso ha difenderlo e al contempo lottare contro le lingue regionali, perché un giorno non molto lontano la sua situazione sociolinguistica potrebbe essere sostanzialmente identica a quella odierna del piemontese, del lombardo, del friulano o del sardo.

La scelta è tra due poli:

  • Accettare il declino dell’italiano e delle lingue regionali in quanto “inutili” in un contesto culturale globale;
  • Impegnarsi per salvaguardare la diversità linguistica (tutta!) senza distinzioni. Quindi impegnarsi per tenere vivo l’italiano, e anche le lingue regionali.

Tocca a te scegliere da che parte stare!

Filed Under: Riflessioni

Comments

  1. Alberto Dal Grande says

    Marzo 5, 2019 at 11:55 am

    Articolo molto interessante, provocatorio “a puntino” e che fa riflettere sull’attuale situazione linguistica, in Italia e nel mondo.
    Purtroppo il “glottorazzismo” ancora oggi diffuso, non viene percepito come tale se non rivolto contro lingue “ufficiali” (meglio se ‘nazionali’), con una totale liberalizzazione del razzismo glottofobo contro le lingue minori e non riconosciute.
    La medesima situazione che affliggeva i “coloured people” in U.S.A., ove la loro condizione di apartheid non era percepita come sbagliata, quindi nessun americano si sarebbe mai detto ‘razzista’; proprio come oggi qualche glottofobo che si scagli contro i ‘dialetti’ mai sognerebbe di auto-definirsi razzista.

    A mio avviso oltre al sacrosanto motivo di conservazione di un idioma, qualunque esso sia (perché con la morte di una lingua si perde anche l’identità dei suoi parlanti), il mantenimento in vita delle lingue minoritarie è un preciso dovere di ogni società che si proclami democratica.
    Anche perché, come sono stato lieto di trovare conferma in un vostro articolo, parlare più lingue “allena il cervello e lo rende predisposto ad impararne altre e migliora lo spirito di tolleranza”.
    Insomma è come un esercizio in palestra:
    chi parla di monolinguismo vorrebbe dire che, ad esempio, sollevare pesi non si può conciliare con le trazioni alla sbarra perché “il muscolo ha una quantità di ATP (energia, ndr.) limitata”.
    Mentre qualsiasi atleta direbbe che non solo ciò è falso, ma pure che questo esercizio aiuta ad impararne altri.
    Io parlo da ignorante in materia, ma mi pare che questo esempio si concili con il detto “il cervello è un muscolo: tenetelo allenato”.

    Detto questo, perdonatemi se sono stato prolisso, volevo semplicemente ringraziarvi da ‘profano’ quale sono per il magnifico lavoro che state facendo.
    E lo dico non per elogiarvi, ma in mezzo a questo mondo, in mezzo a questa Italia con tale glottofobia diffusa (spesso purtroppo anche tra noi giovani), leggere i vostri articoli mi consola e mi ridà speranza per un futuro in cui le lingue locali e regionali siano riconosciute, tutelate e mantenute non (solo) come lingue degli affetti, ma anche come idiomi veri e propri e degni di vivere tutti, dallo zulu, al piemontese, al basco, all’inglese, al bretone, al catalano, al tedesco, al veneto, al siciliano, al sardo, all’italiano, al ladino, al lappone. Tutti, ufficiali e non, riconosciuti o meno, indoeuropei o no.
    Senza rivendicazioni nazionaliste o micro-nazionaliste, ma semplicemente culturali e scientifiche.

    Buona fortuna, grazie e buon lavoro!
    Alberto D.G.

    P. S.: piccola dedica,

    “Ma ti vecio parlar resisti.
    E si anca i omi te desmentegarà,
    ghen sarà osei -do tre osei sòi magari,
    dai sbari e dal mazhelo zoladi via-.
    Ma là so l’ultima rama, in cao in cao
    de zhiese e prà, osei che i te ha inparà da tant,
    i te parlarà inte’l sol, inte l’onbrìa.”
    -Andrea Zanzotto (liberamente reinterpretata),
    Veneto trevisan.

    Traduzione (non ufficiale, soggetta ad errori):
    “Ma tu vecchio parlare resisti.
    E se anche gli uomini ti dimenticheranno,
    ci saranno gli uccelli -due tre uccelli soli magari, fuggiti via dai cespugli e dal caos-.
    Ma là sull’ultimo ramo, in capo in capo
    di siepi e prati, uccelli che ti hanno imparato da tanto, ti parleranno nel sole, nell’ombra”

    Translation (unofficial, may be present some mistakes):
    “But you old speech live on.
    And even though men shall forget about you, birds will be there – maybe two or three birds only, from bushes and mess flown away-.
    But over there on the last branch, beyond beyond hedges and fields, birds who have learned you by so far, will speak it in sunlight, in the shadow.”

  2. claudio says

    Marzo 7, 2019 at 1:58 am

    è un a guerra persa ti rispondono ‘ non fa mercato
    anche oer le lingue europee con meno di 20 milioni di parlanti
    la soluzione si chiama MMR

  3. Brian Sciretti says

    Marzo 10, 2019 at 1:23 am

    MMR?
    Comunque, sul mercato, avrei da ridire: qualche tempo fa stavo fantasticando con alcune persone su una società in stile anarco-capitalista ed è venuto fuori che, molto probabilmente, le assicurazioni sanitarie sarebbero le prime ad investire sul bilinguismo regionale dato che costa meno, molto meno, di quello con le lingue straniere e che dà i medesimi vantaggi a lungo termine.

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