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Scriver Lombard, un’ortografia polinomico-locale per la lingua lombarda

by CSPLAdmin 7 Comments

Pubblichiamo qui di seguito una presentazione concisa dell’ortografia Scriver Lombard. È uno dei testi che tra il 2014 e il 2016 Lissander Brasca ha mandato ad alcuni politici e amministratori regionali lombardi e ad alcuni suoi colleghi ricercatori di linguistica, allora impegnati come lui nel sostegno e definizione di una legge per la tutela della lingua lombarda, poi concretizzatasi nella legge regionale n. 25 del 2016. In questo testo, pur riferendosi esclusivamente alla lingua lombarda, Brasca presenta i benefici generali dell’approccio polinomico. Speriamo quindi che esso risulti utile e gradito anche agli attivisti delle altre lingue d’Italia in pericolo.

L’UNESCO annovera testualmente la “Lingua Lombarda”, con il codice ISO 639-3 lmo, tra le lingue che rischiano di morire e invita i governi e le istituzioni a prendere iniziative utili a mantenerla in vita, secondo i suggerimenti offerti in tanta letteratura scientifica. Uno degli strumenti che gli esperti considerano irrinunciabili per la salvaguardia di una lingua in pericolo è una ortografia comune per tutte le sue varietà locali.

In questo breve documento vi presento il progetto Scriver Lombard, un’ortografia comune per tutte le varietà locali della lingua lombarda. Il progetto è maturato nel primo decennio del terzo millennio, sulla base dei miei studi universitari in Linguistica, Filologia Romanza e Sociolinguistica. Le conoscenze che sto sviluppando durante il mio PhD in Linguistica mi confermano continuamente la ragionevolezza delle scelte fatte allora.

L’ortografia Scriver Lombard (SL) serve a scrivere in modo parzialmente uniforme tutti i dialetti (varietà locali) della lingua lombarda (bresciano, ossolano, milanese, pavese, mantovano, bormino ecc.). È simile alle ortografie adottate dalle lingue di normazione recente (occitano, catalano, gallese, ladino ecc.) ma i principi su cui si basa si trovano anche alla base delle ortografie di lingue letterarie storiche (inglese, francese) e dell’ortografia usata nella tradizione letteraria lombarda più antica (Belcalzer, Bonvesin, Uguçon ecc.). Per mezzo dell’ortografia SL una persona che parla uno qualunque dei dialetti lombardi può scrivere un testo

  • comunicativamente ‘importante’,
  • di interesse sovraprovinciale,
  • subito comprensibile per tutti gli altri lombardofoni,
  • senza dover pensare quel testo in un dialetto diverso dal proprio
  • e senza nascondere completamente l’identità del proprio dialetto nello scritto.

 

Indice

  • PRESUPPOSTI
  • GRAFIA FONETICA vs. ORTOGRAFIA POLINOMICA
  • LA STANDARDIZZAZIONE POLINOMICA DELLA LINGUA LOMBARDA
  • L’ORTOGRAFIA POLINOMICA SCRIVER LOMBARD
    • LA PRONUNCIA DI UNA LINGUA VIVA LA SI IMPARA TRAMITE L’ORALITÀ, NON TRAMITE LA SCRITTURA
    • LEGGENDO PERCEPIAMO ISTINTIVAMENTE LA PAROLA COME UN’ICONA
  • GLI OBIETTIVI PARTICOLARI DELL’ORTOGRAFIA SL
    • DARE LA PRECEDENZA ALLA RAPPRESENTAZIONE ICONICA E UNIFORME DELLE UNITÀ DI SIGNIFICATO (morfemi) e non alla rappresentazione univoca della sequenza dei suoni per ogni dialetto. Ecco alcuni esempi:
    • MANTENERE VISIBILE NELLA SCRITTURA UNA PARTE DELLE DIFFERENZE DI PRONUNCIA CHE CI SONO TRA I DIALETTI LOMBARDI
    • FAR EMERGERE NELLA SCRITTURA LE FORME SOGGIACENTI COMUNI A TUTTI I DIALETTI LOMBARDI

PRESUPPOSTI

Il progetto Scriver Lombard si basa su alcuni presupposti che non possono essere discussi in questo breve documento e che espongo sinteticamente di seguito.

  1. Esiste una mutua intelligibilità molto alta tra i dialetti lombardi, dunque esiste una lingua lombarda. Infatti anche l’UNESCO menziona testualmente “La Lingua Lombarda”. La lingua lombarda è parlata in tutte le province della Lombardia amministrativa, in provincia di Novara, VCO, Canton Ticino, valli meridionali dei Grigioni e in Trentino occidentale e in alcuni comuni della provincia di Alessandria e del Garda veronese.
  2. I dialetti lombardi sono la lingua lombarda. Come tutte le lingue del mondo anche il lombardo è costituito di varietà locali (dialetti) leggermente diversi l’uno dall’altro ma abbondantemente intercomprensibili. La varietà dialettale interna al lombardo non è un’anomalia e non è affatto più marcata che in altre lingue, bensì è una caratteristica normale di qualsiasi lingua storica.
  3. Il lombardo non si sta trasmettendo ai bambini, ecco perché l’UNESCO lo cita tra le lingue in pericolo (“endangered languages”). Una lingua è viva se è parlata dai bambini.
  4. Vogliamo salvare la lingua lombarda dall’estinzione.
  5. Se vogliamo salvarla dobbiamo fare in modo che la lingua lombarda ispiri nei lombardi la sensazione di prestigio e potenziale equivalenza funzionale rispetto all’italiano. Cioè dobbiamo mostrare ai lombardi che in lombardo si possono scrivere tutti i tipi di testo che oggi si scrivono solo in italiano, anche quelli considerati ‘importanti’ (burocrazia, istruzione, giornalismo ecc.).
  6. Le edizioni di testi letterari, pratici, giornalistici e scolastici danno alla lingua prestigio e la rendono utile. Dunque dobbiamo incrementare le edizioni in lombardo perché le mamme e le nonne trasmettono più volentieri ai bambini una lingua se questa è percepita come prestigiosa e utile.
  7. Per poter condividere un’editoria, non solo letteraria ma anche pratica, scolastica e giornalistica, i parlanti dei vari dialetti di una lingua hanno bisogno di una ortografia comune.
  8. Vogliamo salvare tutti i dialetti (varietà locali) della lingua lombarda. Fortunatamente, data la forte comprensione orale reciproca tra i nostri dialetti – che è destinata a crescere ulteriormente con il recupero dell’uso quotidiano della lingua -, non è necessario privilegiare un dialetto come varietà orale ufficiale escludendo tutti gli altri, come invece si è dovuto fare per dare una lingua comune ai cittadini dello Stato italiano, che storicamente non parlavano dialetti della stessa lingua bensì lingue diverse.

Se accettiamo questi presupposti concludiamo che tutti i dialetti della lingua lombarda possono e devono essere tutelati ma hanno assolutamente bisogno di una ortografia comune. Quale?

 

GRAFIA FONETICA vs. ORTOGRAFIA POLINOMICA

A questo punto è necessario introdurre una distinzione. Le lingue del mondo sono scritte per mezzo di due tipi diversi di ortografia. Alcune lingue – per es. tedesco, spagnolo, italiano – usano un’ortografia cosiddetta fonetica, altre lingue – per es. inglese, francese, occitano – usano un’ortografia polinomica. Un’ortografia fonetica tende a rappresentare univocamente la sequenza precisa dei suoni pronunciati in una parola. Un’ortografia polinomica invece dà più importanza a che la rappresentazione delle parole (e dunque dei loro significati!) sia uniforme tra una provincia e l’altra quindi chiara per i parlanti dei vari dialetti di quella lingua. Questo significa che l’ortografia polinomica prevede una certa molteplicità di pronunce per la stessa parola scritta.

Dato il nostro obiettivo di rappresentare in modo identico o molto simile pronunce un po’ diverse della stessa parola, la nostra preferenza deve andare decisamente a un’ortografia di tipo polinomico. Infatti, se al contrario rappresentassimo foneticamente ogni pronuncia dialettale di una parola, saremmo costretti a rappresentare la stessa parola, per esempio ‘strada’, in modi diversi secondo il dialetto: <straa, strà, htradå, sc’tradhä, strada ecc.>. In questo modo nessun dialetto lombardo risulterebbe utilizzabile per scrivere testi importanti. Infatti, per potersi fidare al 100% della propria capacità di capire il significato di una parola scritta, un lombardo dovrebbe conoscere dettagliatamente la pronuncia di ogni dialetto locale, e questo è impensabile nel contesto di qualsiasi lingua, non solo nel contesto lombardo.

Facciamo un esempio pratico. Mettiamo che vogliamo scrivere in lombardo l’avviso ‘L’ultima corsa della funivia è alle ore cinque’ e assumiamo che, come abbiamo detto, vogliamo valorizzare ogni dialetto lombardo tramite la scrittura. Usando una grafia fonetica dovremmo scrivere le parole ‘cinque’ e ‘ore’ in modi diversi a seconda della provincia:

sich,  hich,  cinch,  scinch,  zich…                 ure,  uur,  uri…

Gli amministratori e gli operatori turistici giungerebbero comprensibilmente a due possibili conclusioni, a. e b.:

  1. “…È meglio scrivere l’avviso in una varietà lombarda, convenzionalmente scelta come varietà standard/ufficiale, per esempio il milanese”.
  2. “…È meglio scrivere l’avviso in italiano, così siamo sicuri di capirci tutti perfettamente”.

Nel caso a. la grande maggioranza dei lombardi sarebbe obbligata ad apprendere e usare una varietà (ufficiale) diversa dalla propria e ‘sentirla’ come più prestigiosa e più utile della propria. Sarebbe il fallimento del nostro progetto ortografico ‘democratico’ e sarebbero prevedibili le rivendicazioni localiste. Il caso b. rappresenterebbe il fallimento totale della politica di tutela del lombardo.

Quindi concludiamo che un’ortografia fonetica non è uno strumento utile per raggiungere il nostro obiettivo. Purtroppo tutte le grafie ‘dialettali’ in circolazione, usate negli ultimi secoli per scrivere le poesie nei vari dialetti lombardi, sono di tipo fonetico, volutamente municipali, e non possono aiutarci.

Ora invece vediamo come il modello di ‘standardizzazione polinomica’ ci fornisce strumenti pratici e scientifici, moderni ma anche storici, per raggiungere il nostro obiettivo.

 

LA STANDARDIZZAZIONE POLINOMICA DELLA LINGUA LOMBARDA

Seguendo questo modello, già usato per l’occitano, il catalano, il gallese, il ladino ecc.,

  • a tutti i dialetti lombardi si attribuisce lo stesso valore sociale e le stesse funzioni,
  • la lingua lombarda viene concepita come il serbatoio del lessico usato in tutti i dialetti (la stragrande maggioranza delle parole è già condivisa da tutti i dialetti),
  • scriviamo ogni dialetto lombardo con una ortografia polinomica comune…

…risultato: ogni dialetto locale è adatto per produrre scritti importanti e di interesse sovraprovinciale.

 

L’ORTOGRAFIA POLINOMICA SCRIVER LOMBARD

L’ortografia Scriver Lombard (SL) si inserisce appieno in tale strategia polinomica per la tutela di tutti i dialetti della lingua lombarda. Il suo obiettivo generale è

la rappresentazione scritta parzialmente uniforme delle parole di tutti i dialetti lombardi

  • affinché qualunque lombardofono possa scrivere testi importanti di interesse sovralocale,
  • facilmente comprensibili per tutti gli altri lombardofoni,
  • senza dover pensare in una varietà diversa dalla propria.

Facciamo subito un esempio pratico. Traduciamo in (lombardo) bergamasco e in (lombardo) milanese un breve passaggio tratto dal sito di Regione Lombardia, scrivendolo con l’ortografia SL.

Bergamasco:

“Quand qe hoo decidid de ciapar-m la responsabilitaa direita de la reforma, savive cosa ris’ciave: g’hoo metid la faça e, se l’havess miga fait, adess am saress miga qé a parlar de qesta lej de reforma del Servize socio-sanitare”. L’ha diit ol president de la Rejon Lombardia.

Milanese:

“Quand qe hoo decidud de ciapar-s la responsabilitaa direita de la reforma, savevi cosè qe ris’ciavi: g’hoo metud la faça e, se l’havessi minga fait, adess sariom minga qì a parlar de questa lej de reforma del Servizi socio-sanitari”. L’ha diit el president de la Rejon Lombardia.

Come si vede, qualche piccolo particolare lascia capire l’origine bergamasca e milanese dei due scriventi, tuttavia le differenze sono veramente trascurabili. Dunque, usando SL, un lombardo che abbia una buona competenza del proprio dialetto non avrebbe nessun problema a capire un testo scritto in un altro dialetto lombardo. Questo ci fa intravedere una conseguenza pratica che già rivela il potenziale terapeutico della nostra ortografia: usando SL, qualsiasi parlante di qualsiasi dialetto lombardo potrebbe lavorare come redattore – per esempio per il sito di Regione Lombardia – pensando e scrivendo nel proprio dialetto testi destinati a tutti i cittadini lombardi!

Ma analizziamo bene le due brevi traduzioni qui sopra. Se conoscete un po’ il milanese e il bergamasco avrete sicuramente notato che la sequenza delle lettere scritte nelle due traduzioni non corrisponde sempre alla sequenza dei suoni effettivamente pronunciati nei due rispettivi dialetti. Verosimilmente vi starete chiedendo: “ma come fa uno a sapere come si pronuncia quella frase, se la scrittura non rappresenta pedissequamente la sequenza dei suoni?”

Ebbene, questo è un falso problema. Due fatti (1. e 2.) spiegano il perché:

  1. LA PRONUNCIA DI UNA LINGUA VIVA LA SI IMPARA TRAMITE L’ORALITÀ, NON TRAMITE LA SCRITTURA

Infatti quando una lingua è veramente viva ed è parlata quotidianamente nelle case e nelle strade, i bambini imparano a pronunciare una gran quantità di parole prima di imparare a scriverle, sentendole dai genitori, dai nonni e dagli interlocutori di costoro. Poi da adulti impareranno molte altre parole, ma in ogni caso sentendole pronunciare da qualcuno. Quindi quando una lingua è veramente viva, i suoi parlanti imparano a scrivere l’orale, non a pronunciare lo scritto.

Questo fatto è ben noto a chi studia il francese. Chi di noi ha studiato questa lingua sa bene che non sarebbe mai in grado di derivare dalla sola scrittura la pronuncia corretta delle parole contenute nelle frasi seguenti:

Ils parlent pendant un moment avec le vent

La fille dans la ville sur l’ île

Nelle frasi qui sopra si notano i seguenti fenomeni: a) la stessa sequenza di lettere si pronuncia diversamente in due parole diverse (-ent, -ille), b) in compenso, sequenze diverse di lettere si pronunciano nello stesso modo in parole diverse (-ant/-ent; -ille/île). Se un francofono – madrelingua o meno – è capace di pronunciare queste parole correttamente è solo perché qualche altro francofono gli ha fatto sentire come si pronunciano. In ogni caso, all’origine della sua competenza c’è qualche francofono madrelingua. Infatti i francesi madrelingua, come tutti i parlanti di una lingua viva, si tramandano il francese e la sua pronuncia tramite l’oralità.

Il secondo fatto è questo:

  1. LEGGENDO PERCEPIAMO ISTINTIVAMENTE LA PAROLA COME UN’ICONA

È stato dimostrato che una persona alfabetizzata, cioè abituata a leggere e scrivere una lingua secondo le regole dell’ortografia di quella tale lingua, legge la parola scritta come fosse un’icona, cioè riconosce la sua forma un po’ come se fosse un disegno. Questo succede qualunque sia il sistema di scrittura usato. Facciamo un esempio, provate a leggere velocemente la frase riportata qui sotto, come se leggeste il giornale:

Alla stazione ho comprato…

UN 31GL1ETT0 D1 4ND4T4 E 21T02N0 PE2 M1L4N0

Dai test fatti con frasi simili a questa, risulta che nessuno legge istintivamente le lettere e le cifre in sequenza una a una (‘un trentuno gl uno ett zero…’). Bensì, chi legge ha una percezione globale, ‘pittorica’, appunto ‘iconica’ della parola, aiutata dalle aspettative create dal contesto (‘Alla stazione ho comprato…’).

Facciamo un altro esperimento, leggete velocemente e spensieratamente le frasi seguenti:

Le città lombarde sono bellissime. Ti piaecrebbe visitare il cenrto di Cremona?

Oggi piove, invece ieri il tepmo è stato stpuendo!

Molto probabilmente avete letto correttamente anche le parole in cui le lettere sono ‘mescolate’ (riguardate con calma…). Infatti ‘percezione iconica della parola’ significa che non è necessario rappresentare la sequenza precisa dei suoni affinché la parola sia letta agevolmente. Anche in questo caso il contesto aiuta.

‘Percezione iconica della parola’ significa anche che non è necessaria una corrispondenza 1 : 1 tra suono e segno grafico. Si può prendere qualche esempio perfino dall’italiano, che usa un’ortografia decisamente fonetica:

un ragazzo negligente negli impegni

Noi italofoni fluenti, che sappiamo come si pronunciano le parole ‘negligente’ e ‘negli’, leggiamo la sequenza di lettere -gli- senza esitazione in due modi diversi anche se essa è identica nelle due parole. Lo stesso si può dire per il prossimo esempio:

scendi dalla bici, la ruota è scentrata

La naturalità della percezione iconica della parola e l’oralità della trasmissione della lingua hanno portato un esperto di ortografie, Edward Carney, a scrivere “reading is an informed guess” cioè “leggere è un indovinare aiutato da suggerimenti”. Questo, ricapitolando, significa che 1. noi impariamo tramite l’oralità la pronuncia delle parole della nostra lingua, 2. la scrittura ci suggerisce iconicamente la parola (senza necessariamente indicarci la sequenza precisa dei suoni), 3. noi “indoviniamo” di che parola si tratta e la leggiamo correttamente perché sappiamo già come si pronuncia.

 

GLI OBIETTIVI PARTICOLARI DELL’ORTOGRAFIA SL

Adesso vediamo più da vicino le caratteristiche tecniche dell’ortografia SL. Quali sono i suoi obiettivi particolari? Vi illustro i tre più importanti. Il primo grosso modo l’abbiamo già presentato:

 

  1. DARE LA PRECEDENZA ALLA RAPPRESENTAZIONE ICONICA E UNIFORME DELLE UNITÀ DI SIGNIFICATO (morfemi) e non alla rappresentazione univoca della sequenza dei suoni per ogni dialetto. Ecco alcuni esempi:

. con SL tutti scriviamo sempre la -r nei verbi all’infinito, anche chi non la pronuncia: parlar, finir…

. tutti scriviamo sempre la -d per il participio passato: parlad, finid, savud/savid… e ognuno pronuncia secondo il proprio dialetto

. tutti scriviamo la -e del femminile plurale, anche chi non la pronuncia: scœle, reforme, culture…

. completando l’esempio di qualche paragrafo fa, con SL tutti scriviamo cinq ore e ognuno pronuncia secondo il proprio dialetto [ sich ure, cinch uur, zich uri, scinch… ]. Questo è possibile perché le differenze tra le pronunce dei dialetti lombardi sono ampiamente regolari.

 

  1. MANTENERE VISIBILE NELLA SCRITTURA UNA PARTE DELLE DIFFERENZE DI PRONUNCIA CHE CI SONO TRA I DIALETTI LOMBARDI

  2. prima di tutto, questo vale la pena farlo proprio perché molte differenze di pronuncia tra le province non compromettono affatto la comprensione reciproca;
  3. secondariamente perché, proprio grazie alla diffusione dell’ortografia SL,
  • si avrebbe più condivisione interprovinciale di testi pensati e scritti in ogni dialetto,
  • di conseguenza tutti si familiarizzerebbero di più con i dialetti delle altre province,
  • il che farebbe diminuire la necessità di una koineizzazione (uniformazione) totale.

Per esempio, con SL si può scrivere…

ier sera sont rivad a cà ai dex ore                  oppure            ier sira sont ruvad a cà ai dex ore

incœ vem a Milan                                         oppure            incœ am va a Milan

ol gat al ronca                                                 oppure            el gat al ronca

…a seconda del dialetto che parliamo.

Concedendo tale discreto spazio alla manifestazione di alcune peculiarità locali, anche la scrittura verrà percepita come più democratica, meno livellatrice e provocherà meno resistenze localiste.

 

  1. FAR EMERGERE NELLA SCRITTURA LE FORME SOGGIACENTI COMUNI A TUTTI I DIALETTI LOMBARDI

Le forme soggiacenti sono i suoni che si pronunciano in certi contesti ma non in altri.

Per esempio i bergamaschi pronunciano la parola per ‘vino’ in tre modi diversi a seconda del contesto:

bicier de i                   però dicono                bicier del vì                e dicono          bicier del vinell

Come si vede in questo esempio, i bergamaschi (e altri) non pronunciano la v- quando è tra due vocali, però la pronunciano dopo una consonante. Analogamente non pronunciano la -n in fine di parola, però la pronunciano prima della vocale del diminutivo. In tutti questi casi è evidente che la radice lessicale per ‘vino’ è solo una, dunque non è per niente pratico scriverla in tre modi diversi. È molto più economico che i bergamaschi scrivano sempre <vin-> e pronuncino la v- e la -n solo quando il loro dialetto lo prevede. Nella linguistica moderna si dice che la /v/ e la /n/ sono presenti sempre nella mente di tutti i lombardi, compresi i bergamaschi, ma ‘emergono’ nella pronuncia di questi ultimi solo in certi contesti. Dunque usando SL un bergamasco scriverebbe:

de vin                                                             del vin                                                del vinell

Lo stesso identico discorso vale per la forma milanese di ‘sale’. I milanesi dicono

la saa                          però dicono                la polenta l’è salada

dunque possono scrivere <sal, salada> e pronunciare la -l solo dove il loro dialetto lo prevede.

Scrivendo sempre la forma soggiacente, sia i bergamaschi sia i milanesi rappresentano la forma linguistica completa che hanno veramente nella propria testa. Nel contempo si vengono incontro reciprocamente: i bergamaschi scrivono <vin> come scriverebbero foneticamente i milanesi, i milanesi scrivono <sal> come scriverebbero foneticamente i bergamaschi. Questo confronto esemplificativo tra milanese e bergamasco può essere moltiplicato per tutte le coppie di dialetti.

 

 

Per finire, qui di seguito confronterò parola per parola due versioni della stessa frase, una in bresciano l’altra in milanese. Nelle prime due righe confronto le due versioni scritte con una grafia fonetica tradizionalmente ‘dialettale’. Nelle due righe sottostanti confronto le due stesse versioni scritte però entrambe con SL. Sono sicuro che noterete e apprezzerete come le versioni scritte con SL, pur lasciando un certo margine alla manifestazione di diversità tra il bresciano e il milanese, rappresentano le due varietà lombarde in modo decisamente e utilmente più simile.

 

  • Grafia fonetica:

i  póncc    i        era        stacc            cusìcc             da        mà       sperte             e   fine     Bs

i  punt               eren      staa              cüsìi                da        man     spèrt                e   finn     Mi

 

  • Ortografia polinomico-locale (SL):

i  ponts     i        era         staits           coxids             de        man      sperte             e   fine             Bs

i  ponts              eren       staits           cuxids             de        man      sperte             e   fine             Mi

I punti erano stati cuciti da mani esperte e delicate

 

Adesso lo stesso confronto lo farò tra bergamasco e milanese.

  • Grafia fonetica:

ol         s’cèt      l’ha       hentit           ü          trù         egnì               zó        del       cel             Bg

el         fiöö       l’ha       sentüü          un        trun       vegnì             giò       del       cel             Mi

 

  • Ortografia polinomico-locale (SL):

ol         s’ciet     l’ha        sentid          un        tron        vegnir          jo         del       ciel             Bg

el         fiœl       l’ha        sentud         un        tron        vegnir          jo         del       ciel             Mi

Il ragazzo ha sentito un tuono scendere dal cielo

 

Ecco sotto qui i links per due testi di approfondimento, tra cui l’integrale in lombardo del libro Scriver Lombard, un’ortografia polinomeg-local per la lengua lombarda, ed. Menaresta.

http://inlombard.eu5.net/Lissander_Flip_corretto/Scriver_Lombard_L99_Lissander_Brasca.html

http://inlombard.eu5.net/manualetPrateg.pdf

 

Lissander Brasca

Bangor University, UK

Agosto 2015

 

Scarica l’articolo in formato PDF: SCRIVER LOMBARD pres. italian 

Filed Under: Lingue e dialetti italiani Tagged With: Dialetto a scuola, Glottologia, Letteratura dialettale, Lingua lombarda, Lingue gallo-italiche, Politica linguistica, Scrivere in dialetto, Sociolinguistica, Tecnologia e linguistica

Comments

  1. simona says

    Giugno 23, 2018 at 10:40 am

    Scriver Lombard, ed. Menaresta, 2011,
    autore Lissander Brasca
    ESAURITO
    Disponibile gratuitamente online
    http://inlombard.eu5.net/Lissander_Flip_corretto/Scriver_Lombard_L99_Lissander_Brasca.html

  2. Giovanni Pontoglio says

    Giugno 25, 2018 at 7:29 pm

    Non ho letto l’intero testo cui rinvia il collegamento (lo leggerò senz’altro!), ma trovo di grande interesse, per lo meno nel metodo, la proposta di Brasca e penso che costituisca un contributo prezioso. Trovo in gran parte condivisibili ed appropriate le premesse e le finalità, tuttavia mi permetterei anche di rilevare alcune perplessità che mi suscita e un punto sul quale devo senz’altro dissentire.

    Comincio da quest’ultimo: dove il Nostro sostiene che “la pronuncia si impara …. tramite l’oralità, non tramite la scrittura”, ebbene afferma una mezza verità. Certamente il bambino impare i fondamenti della lingua materna (e d’altre lingue con cui venisse a intensio contatto) dalla voce degli altri, prima d’imparare a leggere e scrivere, ma in seguito la competenza linguistica s’affina attraverso la lettura; tutti del resto facciamo l’esperienza di vocaboli, specie scientifici o tecnici, che incontriamo prima (e magari soltanto) nello scritto. Ne è prova che spesso proprio la pronuncia delle voci culte è oscillante (es. sclérosi / sclèrosi / sclerósi / scleròsi) quando non ci s’imbatte in vere e proprie pronunce sbagliate, evidentemente “grafiche” (sentii una volta biotòpo), come spesso negli anglismi letti “all’italiana” (pensiamo ai mostriciattoli sòcial, pèrformans, autòriti… oltre al vecchio tramvài) o in vari nomi propri (Frìuli, Arbataks, Biksio …).
    L’importanza della scrittura aumenta poi nell’apprendimento delle lingue straniere, e, se è vero che per acquisire l’esatta articolazione dei fonemi è raccomandabile, e per l’esatta intonazione di frase indispensabile, il modello orale d’un parlante competente, una volta però che ciò sia stato acquisito e si siano assimilate le regole di conversione segno-suono (ovvero il valore delle trascrizioni fonetiche per lingue come l’inglese con corrispondenze poco prevedibili), è possibile pronunciare correttamente quasiasi parola nuova (se non è un’eccezione) senza bisogno dell’imbeccata d’un parlante nativo o comunque competente (o della sua registrazione audio). Questo dovrebbe a mio avviso valere a fortiori per l’apprendimento delle lingue regionali, che devrebbe essere reso possibile anche a chi non ha la fortuna di frequentare quotidianamente situazioni dialettofone, ormai sempre più rare qui in Lombardia (e non solo).
    Con questo non voglio affatto attaccare il modello polinomico, tutt’altro, soltanto ritengo che sia opportuno cercare di individuare soluzioni grafiche che permettano di risalire ad una pronuncia sentita come possbile dai parlanti nativi. Ora modelli polinomici come quello occitanico (alibertiano e suoi successivi adattamenti) o quelli proposti per lo scots o per varie “lingue d’oïl” rispettano fondamentalmente questo principio: il rapporto grafema-fonema è sí complesso e vi sono eccezioni, ma in linea di massima è possibile in queste lingue pronunciare una parola mai sentita in modo da non farsi deridere dai parlanti ereditari. Come si vede, considero molto importante il punto di vista dei “neoparlanti” o potenziali tali, perché penso che da essi soprattuto possa dipendere una speranza di futuro per le lingue regionali, più che dai parlanti “ereditari”, molti di quali ormai troppo anziani per poter trasmettere la lingua in famiglia e, soprattutto, per la maggior parte ignari del valore del dialetto (come dimostra il fatto che in genere non l’abbiano trasmesso ai propri figli).

    Veniamo ora alle perplessità.
    Credo che la definizione d’un modello polinomico sia utile e anzi necessaria, però in una seconda fase, e cioè una volta che la lingua lombarda venisse accettata come possibile e normale strumento di comunicazione, insomma quando fossimo vicini alla normalització (per usare il termine della sociolinguistica catalana) della lingua. Nulla vieta di pensarci fin d’ora, ma non penso che sia la priorità.
    La grafia è un tipoco esempio di pianificazione di corpus, che però va aromizzata con le altre due pianificazioni linguistiche, quella di status e quella dell’acquisizione. E qui a mio avviso sta il grande problema: mancano (e mancheranno ancora per parecchio tempo…) le condizioni in cui sia possiblie un’alfabetizzazione diffusa in lombardo (deficit di pianificazione d’acquisizione) perché questa non è sentita come utile o sensata, a causa dell’irrilevanza del lombardo nella vita reale a cominciare da quella pubblica (deficit di pianificazione di status).
    Spiragli aperti dalla legge regionale del 2016 potrebbero essere un primo passo, ma per essere efficaci occorrerebbe non solo procedere oltre, ma anche e soprattutto che facessero la loro parte i mondi della scuola, della ricerca, della cultura, senza i quali non se ne fa nulla o tutt’al più si cade nel foklorismo. Ma qui sta il punto dolente: buona pare dei succitati mondi non mostra alcun interesse, se non addiritura è ostile, vuoi per carente informazione, vuoi anche e soprattutto per la critica (a mio avviso giustficatissima) all’abbondate zavorra ideologico-identitaria in cui i politici filodialettali rivestono progetti che di per sé (a prescindere cioè dalle motivazioni ideologiche) meriterebbero attenzione, ma subiscono il destino del bambino gettato via coll’acqua sporca. E anche questa situazione, unica a quanto mi risulta in Europa, non sembra destinata a cambiare.
    Che cosa occorre allora? A mio avviso occorre partire dal basso, dalle risorse esistenti, e creare poco alla volta spazi e occasioni di legittimazione del dialetto che dev’essere reso accessibile sia nella sua forma scritta ai parlanti nativi – cosa ben difficile con grafie troppo lontane dalla pronuncia – sia nelle forma e scritta e parlata (che quindi è bene che siano congruenti) ai parlanti “evanescenti” e ai (rari) neoparlanti.
    Anche il ladino dolomitico, forse unica lingua regionale d’Italia che sia ancora largamente trasmessa in famiglia (credo che la tempestiva apertura ad esso di spazi, per quanto inizialmente limitati o addirittura simbolici, nella scuola e nella vita pubblica abbia avuto un ruolo importante in questo successo), all’inizio veniva scritto (e insegnato) nelle varie e disomogenee grafie locali, e solo per gradi si è andati convergendo verso mikrokoinaí di valle e anche qualche convenzione “intervalle” e s’è elaborato uno standard comune (che peraltro non è propriamente polinomico, perché è abbastanza vincolante nella morfologia), ancora lontano però dall’accettazione generale. Dunque l’esigenza dell’oggi credo che sia piuttosto quella di definire grafie “fonetiche” (che sfruttino le corrispondenze grafema-fonema dell’italiano, ma integrandole in caso d’ambiguità e per i fonemi privi di corrispondenza nella lingua nazionale), intuitive o comunque rapidamente apprendibili per il parlante nativo e che siano una buona guida per chi non ha avuto la fortuna di “nascere in dialetto”. Credo che ad esempio la grafia proposta dalla RID (magari con qualche adattamento) sia un buon punto di partenza (un buon esempio, per un’altra area linguistica, è la “grafia lessicografica” del bolognese). Una volta che l’usare il lombardo come lingua di comunicazione non connotata, nell’ambito locale, fosse accettato, allora si porrà il tema d’allargarne il raggio di comunicazione e qui allora una grafia polinomica si rivelerà utile e necessaria. Ma tutto cio è ancora molto lontano…

    Qualche altra mia perplessità riguarda invece il merito d’alcune scelte del Nostro.
    Per esempio non capisco perché non unificare el / ol (ma anche al, le) in una grafia senza vocale l (che sta al femm la come tutti gli altri maschili), vocalizzabile dal parlante secondo le proprie abitudini, che variano anche entro aree ristrette.
    Altre volte a mio avviso la proposta di Brasca mi sembra invece che unifichi troppo. Mi riferisco per esempio al femminile plurale: -e/-i (di cui verosimilmente il secondo è il tipo più antico) e zero sono due tipi morfologici differenti, come mostra ad esempio, vicino a noi, l’emiliano, e mi sembra forzato livellarli. Anche il generalizzare -ad, -id, -ud/üd nei participi non mi convince, giacché le forme lombarde occidentali senza la dentale risalgono più verosimilmente ad una trafila fonetica del tipo -atu(m) > -ado > -ao > -ò/-a , e una fase del tipo -ad probabilmente non è mai esistita nella zona occidentale, a quanto mi risulta. Ancora più discutibile mi sembra il plurale maschile in -s, che sembrerebbe suggerire una derivazione dall’accusativo latino, mentre nel lombardo come nel rimanente italoromanzo la derivazione è chiaramente dal nominativo (-i), come mostrano sia i plurali per palatalizzazione, sia le metafonie ticinesi (e non solo), sia le tracce di -i effettivamente documentate per qualche varietà isolata (Premana) e quindi difficilmente liquidabili come itailanismi.

  3. Giovanni Pontoglio says

    Giugno 25, 2018 at 8:26 pm

    P.S.
    Ho detto che avrei letto il testo integrale cui rimandano il collegamenti. Tuttavia l’antivirus segnala il sito come pericoloso. Che sia stato “piratato”?

  4. simona says

    Agosto 31, 2018 at 7:16 am

    Salve, grazie. Molte risposte le troverà nel libro.
    Il link corretto è http://inlombard.eu5.net/Lissander_Flip_corretto/mobile/index.html
    a me non da segnalazioni di sorta,
    cordialmente
    Simona Scuri

  5. simona says

    Agosto 31, 2018 at 7:17 am

    Grazie, questo è il link
    http://inlombard.eu5.net/Lissander_Flip_corretto/mobile/index.html

  6. Giovanni Diassise says

    Dicembre 9, 2020 at 11:50 am

    Articolo molto interessante però, a mio parere, una grafia storica e polinomica è da applicarsi in determinate situazioni. Vorrei partire dall’esmpio della mia lingua: il genovese. Alcune grafie che ricalcano quelle classiche esistono e sono spesso diffuse. In queste grafie sono presenti alcune caratteristiche (doppie che non si pronunciano, S sorde e sonore scritte allo stesso modo,…) che sono conoscibili solo una volta conosciute in maniera approfondita e molto spesso solo grazie ad un forte contatto con questa lingua. Una grafia sicuramente che ricalca davvero la letteratura genovese e che, in caso di legge di tutela e ripresa della diffusione (anche a livello istituzionale e/o scolastico) sarebbe da riprendere. Dobbiamo però misurarci con la realtà Genova è una città in cui si parla davvero pochissimo la lingua regionale e chi avesse intenzione di impararla, troverebbe moltissime difficoltà se non ci fossero persone in casa a parlarla: quando va pronunciata la doppia? Quando devo leggere questa parola in questo modo? Ponendo questa grafia nei social (vedi Facebook), in alcuni giornali ed in altri siti si arriva poi a delle inevitabili conseguenze: la gente pronuncia pure le doppie che non deve pronunciare e legge male alcune lettere. Ciò non accadrebbe se esistessero tutele forti che speriamo presto ci saranno, però ora come ora risulta dannosa perché porta solo problemi per coloro che non sono di lingua madre. Pertanto io e molti altri adoperiamo una grafia che ricalca le grafie storiche ma che ha corrispondenza biunivoca tra suono e simbolo. Questo significa che ogni genovese può scrivere nel suo dialetto ma non esclude la possibilità di adoperare una forma standardizzata. Se un giovane vuole imparare il genovese lo può fare in modo autentico grazie a delle poche regole grafiche e molti, grazie a questa grafia, lo hanno fatto, genovesi e non solo. Poi, ripeto, quando e se ci saranno delle tutele, per le quali bisogna combattere e sulle quali voi avete davvero scritto moltissimo, allora si possono rimettere in chiaro alcuni punti. Questo discorso vale comunque per il genovese, non voglio intromettermi in discorsi troppo generali su situazioni che non conosco.

  7. Marco says

    Novembre 18, 2021 at 10:24 am

    Sono, assolutamente d’accordo su quello che hai detto, e non è un’intrusione, anzi, come vale nel genovese vale anche per il Lombardo. Anzi è un discorso da applicare in tutte le lingue in via d’estinzione che hanno queste ortografie ambigue.

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