Scighera è forse una delle parole milanesi più conosciute, anche da chi non sa parlare in lombardo.
D’altronde è legata a una caratteristica proverbiale di Milano (soprattutto un tempo), e di tutta la pianura lombarda.
Forse però non tutti sanno che:
- non è una parola usata in tutta la Lombardia
- può assumere sfumature più precise
- è una parola con un’origine inaspettata, ma facilmente riconoscibile
- ha un corrispondente in una lingua romanza molto lontana
Curioso? Ecco dunque tutto quello che devi sapere sulla parola scighera!
Cosa vuol dire “scighera”?
La scighera (/sci-ghé-ra/, pronunciato [ʃi’ge:ra]) è il modo con cui tradizionalmente i milanesi chiamano la nebbia.
Dove si usa “scighera”?
Scighera è una parola milanese che non si è diffusa in tutta la Lombardia, ma solo nelle zone più direttamente soggette all’influenza linguistica della città: per essere più precisi, la Brianza (con Lecco), il Comasco (fino a Chiavenna), il Varesotto, il Ticino, oltre che una parte della Valtellina e della Valle Imagna (BG).
Altre parole in lombardo per indicare la nebbia
- nebia (o nibia), diffuso nel Novarese, nella Bergamasca, nel Pavese;
- borda, diffuso nel Lodigiano e nel Cremasco, oltre che in certe zone della Bergamasca e del Milanese;
- fumana, diffuso tra Cremona e Mantova;
- gheba (o ghiba), tipico di Brescia, di parte del Cremonese e della Valtellina;
Inoltre qua e là per la Lombardia sono presenti altri termini, come lova o golp (lupa, volpe), a indicare la voracità della nebbia che inghiotte tutto.
Insomma, se nella vostra varietà lombarda è presente la parola scighera, è molto probabile che viviate non troppo lontano da Milano!
Per completezza di informazione, il termine scighera ha dato origine a molti alterati:
- inscigherass: annebbiarsi
- scigherad o inscigherad: annebbiato, nebbioso, fosco, velato, appannato, torbido (di vino)
- scigherella: nebbiolina
- scigherent: nebbioso, torbido
- scigheretta: nebbiolina
- scigherin: nebbiolina
- scigherina: nebbiolina
- scigheron: nebbione
- scigheros: nebbioso, fosco
Cosa vuol dire scighera in altri dialetti del lombardo
Anche in altre varietà del lombardo si trovano parole con la stessa origine di scighera, ma con significati diversi:
- a Cremona la scighera [si’gɛ:ra] è uno squarcio di sole improvviso tra le nuvole che danneggia la frutta;
- a Villa di Chiavenna e a Talamona (SO) oltre che la nebbia può essere un nuvolone
- a Premana (LC) è quella nebbia tipicamente autunnale che alberga lungo il pendio dei monti;
- a Bogogno (NO) scighera significa “galaverna”, cioè la brina gelata;
- sempre a Cremona scigherad [sige’ra:t] vuol dire “guastato dal sole”, in riferimento alla frutta;
- a Lodi scigherent [sige’rent] significa anche “freddo intenso”
Sinonimi di scighera e sfumature di significato
In ogni caso, nemmeno a Milano si usa solo scighera: anche in milanese è presente il termine nebia.
Un esempio celebre lo troviamo nella canzone di Giovanni D’Anzi, Lassa pur che ‘l mond el disa:
E la nebia, che bellezza!/La va giò per i polmon!
Un altro nella canzone Ma mì:
Son sarraa su in ‘sta rattera/piena de nebia, de fregg e de scur.
Che differenza c’è tra nebbia e scighera?
Pietro Monti, nel suo vocabolario comasco del 1845 ci dà una mano a far luce nelle nebb… ehm, nel mistero:
scighêra: nebbione, nebbia folta. La scighêra, è più folta e opaca della nebbia. (pag. 250)
Dello stesso avviso è Antonio Tiraboschi, che nel nel suo vocabolario bergamasco del 1873 annota:
scighéra V.I. [Valle Imagna, ndr]: nebbia fitta. (pag. 1177)
Insomma, mentre la scighera indicherebbe la nebbia più densa, la nebia sarebbe quella più leggera.
Tuttavia in tempi più recenti (2003) una pubblicazione a cura della Regione Lombardia presenta questa distinzione: mentre la nebia sarebbe la nebbia, la scighera sarebbe invece la bruma (nebbia di umidità).
Non deve stupire che una regione come la Lombardia, così soggetta alla presenza di nebbia, abbia sviluppato diverse sfumature per indicare questo fenomeno atmosferico. A queste due accezioni se ne può aggiungere almeno un’altra, grena (usata in Ticino e nel Novarese), che significa “nebbia mista a nevischio”.
Nel Canton Ticino inoltre scighera ha assunto anche significati come “brina, galaverna, umidità”, ma anche “offuscamento della vista” e “cispa”.
Col tempo però pare che scighera e nebia abbiano perso qualsiasi sfumatura, e che siano semplicemente sinonimi. D’altro canto, lo stesso Francesco Cherubini nel suo dizionario milanese di metà Ottocento sembra suggerire che la vera differenza tra i due termini sia che il primo è più gergale.
Un’etimologia curiosa
Qual è l’etimologia di scighera?
L’origine di questa parola è molto interessante: infatti deriva dal latino *caecaria, parola collegata al latino caecus (“cieco”). Insomma, per i lombardi la scighera è qualcosa che acceca, perché ti impedisce di vedere oltre il tuo naso: e in effetti, in alcuni luoghi della Lombardia questa descrizione calza a pennello!
In Valtellina esiste un sinonimo che mostra ancora di più il collegamento tra la nebbia e la cecità: scega, che deriva direttamente da caeca. Inoltre, il Tiraboschi testimoniò nel 1873 la presenza del termine scèc in Val Gandino (BG), sempre col significato di “nebbia”, anche se erroneamente lo associò all’inglese shade (“ombra”).
Parole lombarde correlate all’etimologia di scighera
Un’altra sopravvivenza di parole legate a caecus in lombardo sono:
- il milanese e ticinese scigaa (“abbagliato; annebbiato, velato, offuscato; accecato, anche dalla passione”)
- il comasco e mendrisiotto scigh (“torbido, fosco”);
- il chiavennasco scighè [ʃi’ɟɛ] (“abbagliare, accecare, ingannare, convincere”) e il ticinese scegà/sceghì (“accecare; lusingare, tentare; vederci poco”)
- i livignaschi ceghéda (“nebbia persistente”) e ceghér (“rannuvolarsi”);
- i ticinesi scegheri (“nebbia fitta, gran fumo”), scegagna (“umore dell’occhio, cispa”), scegagnad (“velato dalle nuvole; cisposo”), scegana (“foschia; torpore, mancanza di lucidità”);
In lombardo si sono potuti usare questi termini per indicare la nebbia perché la parola comunemente utilizzata per dire “cieco” non deriva da caecus, bensì da orbus.
Questa cosa è comune a tutto il Nord Italia: vedi il piemontese (alessandrino) òrb, il lombardo, emiliano e trentino orb, il ligure òrbo, il veneto orbo, il friulano uarp.
Dal nord Italia il latino orbus è stato importato anche in Sicilia e nella Calabria meridionale, dove si ha orbu anziché il generico meridionale cicatu (da caecatus).
Il tipo caecus sopravvive in Romagna (zigh), in Valsesia (cieugo) e in alcune vallate ticinesi (scegh, scédegh o, italianizzato, cech). Nel ligure alpino di Pigna (IM) è attestata l’espressione cigà [<- caecare] i ègli per “chiudere gli occhi”.
In tutti casi dunque si tratta di zone periferiche che non sono state raggiunte dall’innovazione lessicale di orbus.
Una lontana parentela col rumeno!
Per una curiosa coincidenza, i termini scighera e scega trovano un corrispondente nella lontanissima Romania: difatti laggiù per indicare la nebbia si usa ceaţa, parola derivata da un latino volgare *caecia.
Più vicino alla Lombardia, infine, possiamo trovare qui e là nel romancio i termini tscheia (a Sils), tschega (Bivio), tschiera (Ardez, Zernez, Zuoz) o tschagera (Pitasch).
Bibliografia consultata
- Francesco Cherubini, Vocabolario milanese-italiano, Milano, Imperialregia stamperia, 1839-1845
- Pietro Monti, Vocabolario dei dialetti della città e diocesi di Como, Milano, 1845
- Angelo Peri, Vocabolario cremonese-italiano, Cremona, 1847
- Antonio Tiraboschi, Vocabolario dei dialetti bergamaschi antichi e moderni, Bergamo, 1873
- Cletto Arrighi, Dizionario milanese-italiano, Milano, Hoepli, 1896
- Karl Jaberg, Jakob Jud, Sprach- und Sachatlas Italien und der Südschweiz, 1928-1940 (carta numero 365)
- Andrea Bombelli, Dizionario etimologico del cremasco e delle località limitrofe, Crema, 1943
- Dizionario cremonese, Cremona, Libreria del Convegno, 1976
- Alessandro Carretta, Vocabolario lodigiano-italiano, Lodi, Lodigraf, 1982
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- Dizionario milanese (a cura del Circolo Filologico Milanese), Milano, Vallardi, 2001
- Parlate e dialetti della Lombardia: lessico comparato (a cura di Claudio Beretta), Milano, Mondadori, 2003
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- Mæta ch’al piova. Una proposta di dialetto e cultura bogognese (a cura della Società di Cultura Bogognese e di Storia Locale), Bogogno, 2005
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