Benché la lingua locale più parlata sia il francoprovenzale (o arpitano), e benché questo sia riconosciuto anche dalla legge dello Stato, nella regione autonoma valdostana viene tutelato nei fatti solo il francese.
Perché?
Le ragioni sono molte, e vanno indietro nel tempo. Cercherò di sviscerarle in questo articolo.
La Val d’Aosta nei domini sabaudi
In Italia l’arpitano ha sempre avuto come “lingua tetto” il francese, pur non appartenendo mai al territorio francese. Anzi, cominciò a usarlo in modo ufficiale da prima del regno di Francia stesso. Difatti negli Stati Sabaudi vigeva una sorta di bilinguismo amministrativo differenziato, e così composto:
- Piemonte e Contea di Nizza (e dal 1815 Genova): italiano
- Ducati di Aosta e di Savoia: francese
Di fatto, al momento dell’Unità d’Italia l’italiano in Val d’Aosta era conosciuto solo da poche persone. A ben vedere, la regione è un territorio plurilingue, dove si incontrano arpitano e piemontese (lingue parlate), francese e italiano (lingue scritte).
La maggior parte delle persone che conosceva l’italiano era concentrata nel capoluogo, Aosta, mentre il piemontese si era diffuso nella bassa valle, attorno a Pont-Saint-Martin. La questione della lingua diventava dunque ancora più urgente che in altre aree d’Italia.
I primi tentativi di italianizzazione
Le politiche nazionaliste italiane cercarono di ridurre sempre più l’influenza francese nel territorio valdostano, partendo dal clero, dall’insegnamento e dalla burocrazia statale.
Le politiche di italianizzazione e di riduzione dell’autonomia valdostana cominciano dalla fine degli anni Cinquanta dell’Ottocento:
- nel 1859, con la riforma amministrativa, il ducato di Aosta diventa un circondario della Provincia di Torino;
- nel 1860 il francese viene sostituito dall’italiano come lingua di insegnamento nel ginnasio di Aosta;
- nel 1862 la diocesi di Aosta diventa suffraganea di quella di Torino, e non più di quella di Chambéry;
in questo modo, si faceva sì che il personale burocratico e quello religioso dovessero formarsi in un’area di lingua italiana, lingua da esportare poi nella valle.
Il dibattito linguistico nella Valle
In questo frangente, la difesa del francese di una parte della società valdostana (con in prima linea il mondo cattolico) mette in secondo piano l’importanza del “patois”, che non viene visto come un vero simbolo identitario contro l’italianizzazione, al contrario del francese.
D’altronde, il mondo cattolico e clericale ha molto da rimproverare all’Italia, nata combattendo le grandi potenze cattoliche delle Due Sicilie e dell’Austria, nonché contro il Papa in persona. Opporsi all’italianizzazione (spesso propugnata dai liberali) significa anche combattere per la Chiesa.
Da questo punto di vista, particolare antipatia viene espressa verso il piemontese, considerato un “gergo” invasore (al contrario della gloriosa lingua francese autoctona), strumento occulto dell’italianizzazione della valle.
Il “patois”, benché trovi cultori e studiosi, viene considerato dai difensori della francofonia una lontana reminiscenza del passato. Anzi, ridurre la valdostanità al solo patois (che per i francofoni è indissolubilmente legato al francese) sarebbe un grave danno, e un favore alle spinte italianizzanti.
Il sostegno che i partigiani della francofonia danno al patois è spesso strumentale per combattere sul piano vernacolare l’invadenza del piemontese, il nemico pubblico numero uno. Non è un caso che uno dei primi studiosi del francoprovenzale sia un prete, l’abate Jean-Baptiste Cerlogne.
Il valdostano che parla piemontese è un traditore della propria terra e della religione. La Chiesa aostana ancora nel 1925 giunge a paragonare l’uso del piemontese tra i valdostani alle bestemmie.
D’altra parte, per molti nazionalisti italiani lo sradicamento del francese nella valle significa mettere fine a una “anomalia” inammissibile in una terra da sempre italiana.
Il principio del XX secolo
Il Novecento vede un aumento costante dell’italianizzazione: la Prima Guerra Mondiale (che vede i soldati valdostani combattere a fianco di italiani di tutte le regioni) e una massiccia immigrazione di operai e commercianti dal resto del Paese – iniziata intorno al 1920 – contribuiscono a erodere sempre di più il terreno del francese e del francoprovenzale.
In questo frangente, il vero nuovo strumento dell’italianizzazione voluta dallo Stato centralista non è più il piemontese, bensì la burocrazia statale, composta spesso da italiani meridionali che non conoscono la realtà locale.
Anche la Chiesa aostana si vede costretta a usare sempre più l’italiano (cioè, in molti casi, il piemontese) per poter proseguire la sua opera di evangelizzazione. Inoltre, anche a causa di divergenze politiche con il movimento autonomista sorto nel Secondo Dopoguerra, si disinteressa sempre di più alla causa della lingua, privilegiando l’importanza dell’evangelizzazione in qualunque linguaggio sia necessario per arrivare ai fedeli.
Con questo disimpegno ecclesiastico, la difesa della lingua locale in Val d’Aosta perde uno dei suoi alleati più importanti.
Il fascismo dà una spinta decisiva in questo senso, arrivando ad italianizzare addirittura i nomi dei paesi, spesso con esiti abbastanza goffi e ridicoli.
La tutela del francese diventa quindi un terreno fertile per l’antifascismo valligiano, sia in chiave liberale che autonomista. Famoso è il caso del notaio Émile Chanoux, figura di spicco della Resistenza valdostana, morto nel carcere di Aosta nel 1944.
Il Secondo Dopoguerra e il nuovo ruolo del francese
Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, le forze francesi che combattevano a fianco degli Alleati pretesero, una volta finito il conflitto, la “riunificazione totale” della Val d’Aosta alla Francia. Queste mire espansionistiche misero in allarme gli autonomisti valdostani, timorosi di venire schiacciati dal pesante centralismo francese, non meno pericoloso di quello espresso dal fascismo.
Gli antifascisti della valle dunque si operarono perché si riuscisse a ottenere una soluzione di autonomia (anche culturale e linguistica) all’interno dello Stato italiano. Non è quindi un caso che, quando le forze francesi occupano la valle, abbiano luogo curiose alleanze tra partigiani e formazioni repubblichine per impedire con le armi l’annessione di Aosta alla Francia
In questo frangente, vengono espresse alcune delle più importanti prese di posizione sulla tutela delle lingue di minoranza. Parliamo, per esempio, della celebre “Dichiarazione di Chivasso”, firmata nel dicembre del 1943 da un gruppo di rappresentanti della Resistenza delle valli alpine piemontesi e dalla Val d’Aosta. In essa si rivendica, tra le varie cose, il diritto di poter usare la lingua locale accanto a quella italiana in tutti gli atti pubblici, di poterla insegnare nelle scuole, di vederla ripristinata nella toponomastica.
Anche in base a questi eventi, nella Costituzione repubblicana verrà inserito l’articolo 6, con cui la Repubblica si impegna a tutelare con apposite norme le minoranze linguistiche. I primi territori dove questo avviene sono le regioni a statuto speciale, su tutti l’Alto Adige (col tedesco) e la Val d’Aosta (con il francese).
Nel frattempo però il francese continua a perdere importanza, perché viene sempre meno usato dall’élite e sostituito dall’uso dell’italiano, dovuto anche a una decisa immigrazione da parte di altri italiani, soprattutto del Sud e delle isole.
A partire dal Secondo Dopoguerra dunque, poiché il ruolo pubblico del francese è inesorabilmente decaduto, l’arpitano acquista un peso identitario maggiore, in quanto vera lingua natìa del popolo valdostano: l’autonomismo valdostano di sinistra, a partire dagli Anni Settanta, comincia a rigettare il francese, ritenuta lingua colonizzatrice alla pari dell’italiano, espressione dei notabili e della classe dominante.
La tutela linguistica e i suoi problemi
Oggigiorno il francese è la lingua coufficiale della Val d’Aosta: sono bilingui tutti gli atti pubblici, le scuole, la segnaletica stradale (la toponomastica invece è, a esclusione di Aosta e poche altre eccezioni, esclusivamente monolingue francese). Anche le trasmissioni radiotelevisive regionali hanno una parte della programmazione in francese. Tutti i partiti regionalisti (che hanno diritto a una quota di rappresentanti nel Parlamento italiano) hanno un nome in francese.
In tutto questo però la percentuale dei madrelingua francese non arriva nemmeno all’1% della popolazione valdostana. La stragrande maggioranza dei valdostani ha come lingua madre l’italiano (71,50%) o, tutt’al più, il francoprovenzale (16,20%).
In breve, ci troviamo di fronte a un bilinguismo istituzionale che però, nei fatti, non considera la vera situazione linguistica della regione. Si continua a tutelare una lingua “di cultura” che in effetti non è mai stata la vera lingua del popolo valdostano (fuorché una élite ristretta, che oggi però usa l’italiano).
La legge 482/1999 tutela sia il francese che il francoprovenzale, dando di fatto ai comuni valdostani una doppia minoranza linguistica, quando però in effetti solo una delle due comunità linguistiche è vitale e presente effettivamente sul territorio. Questo, tra l’altro vale anche per un gruppo di comuni piemontesi in Val Susa, che si sono proclamati di minoranza francese (anche lì la lingua di Molière era stata a lungo lingua ufficiale, e parte del territorio era stato sotto la Francia fino al 1714), benché nei fatti sia molto più usato l’occitano, o addirittura il piemontese.
La regione Val d’Aosta ha intrapreso una serie di iniziative per valorizzare e conoscere meglio le varietà francoprovenzali parlate nel territorio (parte del materiale è consultabile nel sito patoisvda.org), ma non ha in cantiere progetti di reale tutela, così come richiederebbe per esempio la Carta europea delle Lingue Regionali e Minoritarie. Quel posto, in Val d’Aosta, è ormai occupato dal francese.
E d’altronde, dopo usanze secolari, è difficile mettere in discussione il primato del francese (lingua di respiro internazionale) a favore di una lingua poco standardizzata e da sempre ritenuta inferiore. Ma a questo punto è opportuno chiedersi: qual è il senso che diamo (anche in rapporto all’articolo 6 della Costituzione italiana) alla tutela delle minoranze linguistiche?
Bibliografia consultata
- Tullio Omezzoli, Lingue e identità valdostana, in AA. VV., Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi: la Valle d’Aosta, Torino, Einaudi, 1995.
- Fiorenzo Toso, Le minoranze linguistiche in Italia, Bologna, Il Mulino, 2008.