Ospitiamo volentieri questo contributo di Paolo Coluzzi, membro del comitato scientifico interno del CSPL e tra i massimi esperti accademici di pianificazione linguistica.
Paolo ha studiato il modo in cui le lingue crescono, si sviluppano e si salvano dall’estinzione e ha voluto condividere le sue riflessioni su Patrimonilinguistici.it.
PIANIFICAZIONE LINGUISTICA PER LE LINGUE REGIONALI D’ITALIA
di Paolo Coluzzi (Università di Malaya)
per il Comitato Salvaguardia Patrimoni Linguistici
Anche se ora vivo nel Sud-est asiatico e mi sto occupando di alcune delle tante lingue minoritarie presenti in Malesia, non ho mai smesso di pensare alle lingue del mio Paese, e soprattutto alle due lingue regionali che ho sentito parlare sin da piccolo: il lombardo da una parte e il lucano che parlava e continua a parlare la mia famiglia paterna dall’altra.
Il milanese dunque non è stata per me varietà parlata in famiglia (mia madre è danese), ma è la lingua storica del territorio in cui sono nato e cresciuto, e perciò anche la mia lingua, che ho cercato di imparare come potevo, anche se la mia competenza, almeno per il momento, è soprattutto passiva.
Dal punto di vista accademico, prima di dedicarmi alle ’piccole lingue’ della parte del mondo dove ora risiedo, mi sono occupato delle lingue minoritarie e regionali d’Italia, particolarmente del friulano, del cimbro e del lombardo occidentale, su cui ho pubblicato un libro e vari articoli, quasi tutti in inglese. Credo, e mi sento orgoglioso per questo, che i miei siano stati i primissimi scritti a livello accademico internazionale a trattare le nostre lingue regionali come lingue a tutti gli effetti da tutelare e promuovere, e non come ‘dialetti’ buoni solo ad essere studiati dal punto di vista linguistico.
Al centro del mio lavoro c’è stata sempre l’idea di promozione, non per altro la mia specialità accademica è proprio la cosiddetta ‘pianificazione linguistica’, ovvero la disciplina che si occupa di promuovere e diffondere le lingue, in questo caso le lingue parlate storicamente in Italia oltre all’italiano.
Sappiamo tutti molto bene che tutte le ‘piccole’ lingue d’Italia sono in pericolo, soprattutto le lingue regionali che non godono di nessun tipo di tutela a livello statale.
Mentre alcune si potrebbero considerare semplicemente ‘minacciate’, ovvero al livello 6b della scala EGIDS di Lewis e Simons (2010), come il veneto, il napoletano o il siciliano, che mantengono ancora una buona base di parlanti, altre, come ad esempio il lombardo, devono essere considerate per lo meno ‘instabili’ (livello 7 EGIDS), se non ‘moribonde’ (livello 8a EGIDS). Se pensiamo che una lingua si può considerare relativamente al sicuro solo a partire dal livello 6a e fino ad arrivare al livello 2 (i livelli 1 e 0 sono riservati alle lingue statali ed internazionali), ci possiamo rendere conto che di strada da fare ce n‘è ancora molta.
Giusto a titolo di esempio, l’asturiano, una lingua regionale spagnola, si può solo considerare al livello 6b della scala EGIDS nonostante sia tutelata a livello regionale e venga pure insegnata a scuola.
C’è chiaramente un crescente interesse verso le lingue locali e questo mi sembra un ottimo segnale, ma se vogliamo che esse rimangano o in alcuni casi tornino ad essere lingue vive e parlate da tutti c’è ancora tantissimo da fare.
Ma che cosa si può fare per rafforzare queste lingue ed evitare che si estinguano?
Chiaramente un riconoscimento statale e delle risorse finanziare adeguate per aiutarne la promozione aiuterebbero molto, anche se per il momento mi sembra che non ci si possa contare molto.
Eppure qualcosa si può e si deve fare.
Prima di tutto penso che si debba evitare di mischiare la politica dei partiti e la tutela delle lingue regionali, cosa che ha parecchio nuociuto all’immagine di queste ultime, soprattutto a Nord, ed ha allontanato persone potenzialmente interessate.
In secondo luogo, ciò che si può fare deve essere portato avanti a due livelli: a livello di normativizzazione (corpus planning) e a quello di normalizzazione (status planning).
Da una parte è necessario che persone che ne abbiano la competenza comincino un discorso di standardizzazione che allo stato attuale può significare elaborare una grafia regionale che possa essere utilizzata per tutte le varianti tra loro relazionate presenti in un determinato territorio, come è stato fatto in Lombardia con la grafia polinomica di Lissander Brasca. Avendo a disposizione un sistema grafico di questo tipo, si può cominciare a pensare alla produzione di libri e periodici che possano essere letti anche al di là della ristretta zona dove viene parlata una determinata varietà. Una grafia comune è il primo importantissimo passo per potere poi dedicarsi all’aspetto più importante della pianificazione, ovvero la normalizzazione della lingua.
Normalizzazione significa dare prestigio e status alla lingua aumentando gli ambiti e domini in cui questa viene usata, soprattutto alcuni degli ambiti ‘alti’ in cui ora domina l’italiano. E se per un programma radiofonico la scrittura non è fondamentale, lo è invece per qualsiasi tipo di pubblicazione, che siano racconti, poesie, fumetti o, perché no, libri di divulgazione. E insieme a tutto questo direi sarebbe fondamentale cominciare a lavorare su libri che insegnino le lingue, per allargare la base e permettere a chi non parla la lingua di apprenderla. La diffusione delle lingue non può avvenire solo all’interno delle famiglie di chi già le parlano, ma deve essere sostenuta anche da nuovi parlanti, soprattutto dai giovani che non hanno avuto l’opportunità di imparare la lingua locale in famiglia.
E più una lingua è visibile ed ha un aspetto ‘moderno’, e più il suo prestigio tende ad aumentare, anche perché la lingua diventa utile non solo per essere adoperata a livello orale, ma anche per leggere, per intrattenere. Perché è difficile convincere qualcuno ad imparare una lingua se non ne riesce a vedere l’utilità.
Pianificare per una lingua significa anche e soprattutto cercare di renderla utile.
Quindi, penso, i nostri sforzi debbano andare in questa direzione:
- scrivere, possibilmente utilizzando la grafia comune (che deve essere insegnata e diffusa senza però discriminare altre grafie più tradizionali), e scrivere di tutto (anche traducendo dall’italiano o da altre lingue) cercando di farlo pubblicare (pensando anche a materiale per i più piccoli, tipo racconti, fumetti, ecc.).
- E’ anche importante proporre conferenze, dibattiti, programmi radio, pubblicizzare la lingua locale in maniera aperta e non discriminante, ad esempio preparando magliette o adesivi con scritte nella lingua regionale locale (magari assieme all’inglese, per mostrare che entrambe le lingue sono importanti, anche se in modo diverso), organizzare concorsi letterari o musicali, eccetera. Un’idea che mi sembra molto buona, che è stata realizzata nelle Asturie, è quella di preparare un kit di adesivi da distribuire nei negozi e locali interessati, con adesivi che abbiano scritte tipo ‘qui si parla anche il…’ o anche ‘servizi uomo’, ‘servizi donna’, ‘aperto’, ‘chiuso’, ecc.
Insomma, bisogna darsi da fare. A breve termine non possiamo aspettarci tanto, ma almeno avremo la consapevolezza e la soddisfazione di avere fatto qualcosa per fermare la deriva delle nostre belle ed importantissime lingue.
Paolo Coluzzi
Università di Malaya