Il telegiornale ha trasmesso un servizio con una rivelazione scandalosa: gli studenti italiani non sanno cosa voglia dire “collimare”. Orrore, terrore, raccapriccio, disgusto, pioggia meteoritica! O forse no?
Bene, diciamocelo chiaramente, sì, l’italiano si è impoverito. Ma c’è un ma: è perfettamente normale!
Da lingua scritta a lingua comune
Per lunghi secoli, le lingue di tutti i giorni rimanevano sempre e solo le lingue regionali. Dunque i “dialetti” erano usati per esprimere tutto: dalle cose più banali a quelle più colte, mentre l’italiano no.
L’italiano era usato quasi esclusivamente per scrivere poesie, in campo legislativo e per la pubblicazione di libri. Insomma, l’italiano era una lingua scritta tipica dell’alta società. E’ dunque è ovvio che abbia sviluppato un lessico molto ricercato.
I nobili e gli intellettuali erano, per dirla come i giovani d’oggi, degli swag della lingua. Non si accontentavano si esprimersi in modo semplice e diretto. Volevano fare vedere a tutti che loro erano più avanti degli altri, che avevano studiato. E quindi usavano la lingua in modo ricercato, andando a raccattare parole strane e desuete che poi, a forza di essere imitate da chi non voleva essere da meno, finivano a far parte del vocabolario comune della lingua italiana.
Un giorno però l’italiano cambiò completamente utilizzo. Da lingua scritta per intellettuali divenne un idioma di tutti i giorni.
Da quel momento sono cambiate molte carte in tavola. Persone poco istruite, povere di idee o che semplicemente non hanno necessità di usare termini e costrutti ricercati, hanno iniziato ad usare l’italiano, prima accanto alla lingua locale, poi in sua sostituzione.
Capirai che se si insegna l’italiano a un muratore bergamasco, il fatto di parlare la lingua di Dante e Petrarca non cambierà il suo mestiere né la sua conoscenza. Se in lombardo al ciapa un quadrell e al lo met insema ai olter con la cassoela, in l’italiano prende un mattone e lo unisce agli altri con la cazzuola.
Che usi l’italiano o il lombardo, nulla cambia in lui: né la sua professionalità né la sua cultura. Semplicemente chiamerà le cose in un modo diverso.
Non credo proprio che senta la necessità di imparare termini tipici del linguaggio intellettuale come “collimare” o “all’uopo”. Tu cosa ne pensi?
Ma una volta si scriveva meglio!
Molte persone fanno questa osservazione. Dicono che una volta si scriveva molto meglio. C’era una maggiore attenzione alla lingua italiana, c’era una migliore propensione delle persone ad utilizzare un linguaggio corretto. Non c’era alcuna tolleranza per gli errori di grammatica e lo stile era considerato una priorità.
Addirittura la calligrafia era migliore, con bacchettate sulle mani per chi scriveva a zampe di gallina!
Quindi molte persone hanno quest’idea un po’ idilliaca dell’italiano di una volta.
Ma si tratta di una fantasia, perché questa presunta purezza non è mai esistita.
La realtà è decisamente più prosaica.
Una volta c’erano più analfabeti
Al giorno d’oggi l’analfabetismo è praticamente scomparso. Mi riferisco al senso letterale del termine, e non all’idea di analfabeta funzionale, cioè una persona che sa leggere ma non riesce a comprendere un testo scritto (di quelli purtroppo è pieno).
Per quanto possa apparirci incredibile, fino a pochi decenni fa c’erano persone incapaci di scrivere il proprio nome, e che non erano in grado di leggere documenti, cartelli, affissioni. Non di capirle, ma proprio di leggerle!
Eppure negli anni ’60 agli analfabeti fu dedicato un celeberrimo programma della RAI, Non è mai troppo tardi, condotto da Alberto Manzi.
Oggi pensare di organizzare corsi per analfabeti è qualcosa di assurdo e completamente fuori dalla nostra visione delle cose. Ci verrebbe quasi da ridere se ne sentissimo parlare con toni seri. Suvvia, siamo tutti capaci di leggere e scrivere le lettere dell’alfabeto!
Eppure questo negli anni passati non era vero.
Ora, considerato questo, pensi ancora che negli anni passati le persone scrivessero in italiano corretto?
Oggi si scrive di più
Mi dirai: Ok, ma degli orrori grammaticali come quelli di oggi non si erano mai visti fino ad ora!
Certo. E c’è anche un perché!
Una volta le persone poco istruite non scrivevano quasi mai.
Fino a pochi anni fa, chi scriveva erano i cosiddetti colletti bianchi, cioè persone che svolgevano un mestiere di tipo intellettuale. Ad esempio notai, avvocati, insegnanti, impiegati, geometri.
Questi avevano seguito una lunga preparazione scolastica e quindi tendevano a scrivere correttamente in italiano.
Per le persone con bassa scolarità il discorso è diverso.
Un operaio semplice, ad esempio, non aveva alcun motivo pratico per mettersi a scrivere. Tutta la sua vita era basata sull’oralità. In linea teorica, avrebbe potuto vivere una vita piena e soddisfacente dal primo giorno di lavoro alla pensione quasi senza aver bisogno di scrivere, e con una infarinatura minima di capacità di lettura.
Ecco perché molte persone addette al settore primario e secondario non hanno mai affinato le proprie competenze di scrittura. Semplicemente non ne sentivano la necessità, rimanendo analfabeti funzionali.
Oggi però le esigenze sono cambiate. Queste persone si connettono alla Rete tramite il loro smartphone, hanno un account su Facebook e lì danno sfoggio della propria incompetenza linguistica con post e commenti sgrammaticati.
Ecco spiegato perché ci sembra di essere circondati da una massa di semianalfabeti che fino a pochi anni fa non esisteva.
Il fatto è che ci sono sempre stati, e forse erano anche più di oggi. Solo che stavano nei campi e nelle officine senza scrivere messaggi pubblici nel loro italiano incerto.
Errori elementari di studenti universitari
Siete troppo ottimisti. Qui si parla di un’epidemia di alfabetismo. Gli errori grammaticali sono diffusi persino tra gli studenti universitari! Ma dai, non li leggete i giornali?
Certo che li leggiamo. Ad esempio, sappiamo che il Messaggero ha riportato l’appello di 600 docenti universitari preoccupati per la grammatica sempre più scadente dei loro studenti. Si parla addirittura di errori da terza elementare che dovrebbero essere corretti durante il percorso scolastico e che invece si trovano persino al culmine del percorso di istruzione.
Quindi abbiamo universitari ignoranti? Sembra un ossimoro, ma è proprio così!
Premetto che non voglio insultare nessuno, e non voglio insinuare che tutti gli studenti universitari siano ignoranti.
Il fatto è che in questa lamentela sull’italiano in pericolo non si prende in considerazione un fatto fondamentale: l’aumento della base di studenti universitari.
Se 30 anni fa arrivare fino alla quinta superiore e iscriversi a una facoltà universitaria era relativamente raro, oggi è quasi la norma.
Le statistiche parlano chiaro: la popolazione universitaria negli ultimi decenni è aumentata in modo esponenziale. Al tempo stesso, i giovani sono di meno rispetto a quelli dei decenni passati.
Questo cosa significa? Significa che tra molti studenti universitari sono presenti anche quei figli di analfabeti funzionali che hanno adottato certi usi linguistici appresi nell’ambiente familiare, e li hanno trasportati nel mondo universitario.
Ehi, ma questi ragazzi non sono forse andati a scuola? E allora perché la maestra non ha mai corretto il loro brutto andazzo?
Ci vuole più italiano nelle scuole?
È evidente che i giovani non sanno più l’italiano. A scuola non si riconosce abbastanza l’importanza della nostra bella lingua!
Basta avere gli occhi per rendersi conto della colossale falsità di questa affermazione.
Partiamo da un fatto assodato: in Italia la lingua italiana è onnipresente.
Accendi la radio e parlano in italiano.
Accendi la televisione e parlano in italiano.
Navighi sul web e ti si apre la finestra di Google in italiano.
Facebook è in italiano.
Gli smartphone, li accendi e sono già impostati in italiano.
Tutti sanno parlare in italiano.
Nella scuola, tutte le materie sono insegnate in italiano, sempre. Persino le lingue straniere in genere vengono insegnate in italiano. Questo dal primo anno di asilo fino all’ultimo anno di università.
Ma non finisce qui!
Infatti, nella scuola dell’obbligo, gli insegnamenti umanistici e letterari sono quelli su cui si spende il maggior numero di ore. L’insegnante di italiano è in genere anche il coordinatore della classe. L’italiano ha un’ampia fascia oraria e una articolata serie di attività ad esso dedicate: temi, studio della grammatica, narrativa, antologia…
La grammatica italiana compare nei programmi della scuola dell’obbligo per ben 3 volte: nella scuola primaria, alla scuola media e infine nel biennio delle scuole superiori. Siccome la grammatica non cambia, puoi ben immaginare che si tratta della stessa identica cosa insegnata 3 volte.
Francamente faccio fatica a immaginare una scuola dove si dà maggiore importanza alla lingua italiana.
Lo studio dell’italiano è già abbondante, anzi addirittura ridondante. È evidente che non si può andare più in là di così.
Ma allora qual è il problema?
Temo che il vero problema sia il nostro atteggiamento da italiani nei confronti della nostra lingua nazionale.
In Italia abbiamo ancora paura delle lingue. Ma non tanto delle lingue straniere. Abbiamo paura delle nostre lingue.
Sì, perché quegli idiomi che qualcuno chiama in modo dispregiativo “dialetti” nella maggior parte dei casi non sono varietà di italiano, ma lingue autonome.
Questo era inaccettabile per una nazione che, fino all’Ottocento, ha fatto della lingua il perno della propria identità.
Di conseguenza, si è voluto dare al popolo italiano una lingua unica. Ma è stato fatto alla svelta, e soprattutto con lo scopo dichiarato di eliminare le lingue locali.
Al tempo stesso l’italiano standard è stato venerato come una divinità intoccabile. Era chiaro che molti alunni, messi di fronte a questa creatura mitologica pura e perfetta come il mitico unicorno, si sarebbero arresi pensando: io sono un semplice essere umano e non potrò mai padroneggiarlo. E quindi, sotto questa luce, ogni errore non solo diventa accettabile, ma persino inevitabile!
Per far fronte all’impoverimento dell’italiano, dunque, andrebbero chiariti 2 punti fondamentali.
1. La lingua italiana non è il suo standard
Come abbiamo detto, quando la lingua italiana letteraria è stata imposta come lingua quotidiana alla massa degli italiani, si è appiattita su un uso pratico e popolare.
Ciò però non significa che l’italiano si sia sciupato in qualche modo. Anzi, il suo registro colto è ancora più vitale che mai, e le buone vecchie parole di una volta sono state salvate nei vocabolari di italiano.
Solo che non tutti sentono la necessità di padroneggiare un italiano standard perfetto. Facciamocene una ragione. Intanto continuiamo a dare il buon esempio scrivendo correttamente senza comportarci da grammar nazi.
2. L’italiano e il “dialetto” sono due lingue diverse
Gli italiani sono stati educati a pensare al “dialetto” come a una versione sporca e un po’ eccentrica della lingua italiana. Di conseguenza, non hanno mai concepito una divisione netta tra le due lingue e hanno continuato a mischiarle tra loro. Oggi abbiamo un dialetto annacquato di italiano, ma anche un italiano dialettizzato, e dunque pieno di errori.
Per evitare questo equivoco (e anche una ampia fetta degli errori grammaticali), sarebbe sufficiente inserire il bilinguismo scolastico italiano-lingua regionale in tutta Italia. Questa sarebbe un’ottima cosa per imparare a distinguere tra italiano e forme dialettali.
Questo aiuterebbe enormemente l’apprendimento dell’italiano, e al tempo stesso ci aiuterebbe a mantenere il nostro eccezionale patrimonio linguistico.
Siamo ancora in tempo per salvare sia l’italiano, sia i “dialetti”… che ne dite di svoltare adesso?