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Non politicizziamo le lingue regionali e minoritarie!

by Giuseppe Delfino

In Italia (e non solo) il problema dell’attivismo verso le lingue regionali e minoritarie è che certi esponenti tendono a politicizzarle. Vediamo quali sono, nel nostro Paese, le più comuni false idee in tal senso.

Esse purtroppo sono deleterie, poiché danno il fianco a coloro che si oppongono alla salvaguardia di queste lingue. Non si dimostrano infatti migliori delle argomentazioni usate da chi è contro di esse.

La situazione linguistica nell’Italia pre-unitaria

Presso molti attivisti, è diffusa l’idea che l’Italia pre-unitaria fosse un’area geografica linguisticamente felice. Salvo poi arrivare l’Unità d’Italia ad imporre la “cattivona” lingua italiana per distruggere questa diversità.

Certo, nessuno dubita che dall’Unità in poi le politiche del governo – soprattutto durante il fascismo – siano state orientate in tal senso (ignorando chi, già nell’Ottocento, era a favore di un qualche tipo di salvaguardia linguistica). E che a queste si sia aggiunto il decisivo ruolo della televisione negli anni ’50 e ’60.

Tuttavia, i fatti non si sono svolti in maniera così lineare. Infatti:

  • Già prima dell’Unità d’Italia sono avvenuti casi di sostituzione ed assimilazione linguistica: penso, ad esempio, all’arretramento del greco nell’estremo Sud Italia fin dal Tardo Medioevo;
  • Anche dopo l’Unità, erosioni linguistiche sono avvenute indipendentemente dall’azione dell’italiano. Ad esempio dall’azione esercitata dai flussi migratori interni su alcune regioni del Nord, che han fatto sì che l’affermazione dell’italiano fosse soltanto una conseguenza di questo fenomeno.

Lingua = identità

Si tratta di una falsa equazione. Parlare una medesima lingua non implica avere percezione di una medesima identità.

In tal senso cito il caso che mi coinvolge personalmente, perché è quello che conosco meglio. Parlo della mia città, Reggio Calabria (della quale, per questo sito, sto pubblicando una serie di articoli dedicati proprio alla sua storia linguistica).

Reggio, pur trovandosi geograficamente in Calabria, presenta un dialetto associabile alle parlate della dirimpettaia Sicilia: ciò per ragioni sia di continuum linguistico, sia di mai cessati legami storico-culturali con l’isola (specialmente con Messina). Infatti, storicamente lo Stretto di Messina ha unito più che diviso.

Prendo ad esempio ciò che scrive (1988) il linguista siciliano Alberto Varvaro (1934-2014):

«Rispetto ad altre situazioni romanze, quella sic. è caratterizzata dalla facilità di identificare la delimitazione del dialetto con i limiti dell’isola (e delle isole minori). Questa convenzione attribuisce dunque un significato assai rilevante allo stretto di Messina, elevato a sede di un confine linguistico che a dire il vero non trova alcun riscontro nella realtà, in quanto i caratteri delle parlate delle due sponde sono del tutto analoghi, come lascia prevedere, a non dire altro, la frequenza dei contatti tra le due rive (fino ad epoca moderna assai più agevoli di quelli con molte località del montuoso e difficile territorio alle spalle di Messina). Il fatto è che tutte le isoglosse che distinguono il siciliano dai dialetti meridionali si distribuiscono a varia altezza lungo la Calabria.»

Tuttavia, i reggini continuano a sentirsi calabresi, anche se è diffusa una certa consapevolezza dei legami con l’isola. Diversamente dai molti siciliani che si considerano isolati rispetto al Continente.

Lingua diversa = identità diversa

Da contraltare al precedente paragrafo è la falsa idea secondo cui locutori di lingue diverse non possano possedere la medesima identità. Quindi, molti sfruttano la propria lingua regionale in chiave indipendentistica o autonomistica.

Mike Sciking ha giustamente scritto che l’attivismo per le lingue regionali non equivale all’indipendentismo.

Tuttavia, è un fatto che l’attivismo linguistico e l’indipendentismo possano a volte combaciare.

In ogni caso, parlanti di idiomi differenti (come lingua materna) possono condividere la medesima identità. Anche quando appartengono a famiglie linguistiche diverse. Anche quando – nel caso di uno Stato – non vi sia una forma di governo federale.

Esempi di questa situazione sono gli arvaniti e gli aromeni di Grecia.

L’identità dei popoli

Una considerazione di carattere etnologico.

Attivisti appartenenti ad una certa fazione politica parlano dei popoli quasi come se questi fossero blocchi distinti e paralleli. Quasi come se fossero un fatto biologico e non sociologico.

In realtà, come scrive (2008) uno dei maggiori antropologi italiani, Marco Aime (1956-):

«Un gruppo umano diventa etnia, popolo o nazione non sulla base di dati ascritti, ma per via di un progetto, e di conseguenza organizza il mondo sulla base di un’alterità, creata, che definisce il confine noi/loro.»

Il quale ribadisce inoltre che:

«Le identità sono perciò inscritte in un processo storico continuo e sono in mutamento perenne.»

Considerando la storia dell’Italia – e considerato l’influsso del romanticismo ottocentesco che ha prodotto il nazionalismo moderno – direi che le riflessioni di Aime (le quali, in realtà, appartengono a tutta l’antropologia culturale) sono più che azzeccate.

Conclusioni

La battaglia per le lingue regionali e minoritarie deve essere assolutamente avulsa da considerazioni di tipo politico/identitario.

Ovviamente ogni persona ha il diritto di sentirsi ciò che vuole, ma quando si tratta di considerazioni di tipo scientifico, la scienza come tale ha il dovere di essere imparziale!

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