A partire dal secondo weekend di novembre fino a domenica 10 dicembre si tiene a Spirano (BG) un’importante festival musicale: il Festival della Nuova Musica Lombarda.
Finanziato e sostenuto dalla Regione Lombardia, il festival ha il grande merito di presentare sullo stesso palco artisti che cantano in lingua lombarda, pur venendo da diverse zone della provincia e da percorsi musicali spesso molto differenti.
Tra gli artisti che partecipano alla rassegna, ricordiamo Dellino Farmer, Walter Di Gemma, Gianluca Gennari, Charlie Cinelli, Lissander Brasca, i Lombard Street, Bepi & the Prismas, Roberto Sironi, Giò Desfàa, Ul Mik Longobardeath, e molti altri.
Un’occasione d’oro per conoscere il vasto panorama della musica in lingua lombarda in tutte le sue sfaccettature, e per capire come la lingua del territorio possa avere una funzione vitale anche nel XXI secolo.
Ne parliamo con Gioann March Pòlli, direttore artistico della rassegna, oltre che tenace difensore delle lingue locali, membro fondatore del nostro Comitato e grande appassionato di musica.
Come nasce l’idea del Festival? Come si è sviluppata?
Da molto tempo, considerata la crescita della qualità e della quantità delle proposte musicali di gruppi che utilizzano principalmente o almeno in parte la lingua lombarda nei loro testi, mi sembrava interessante poter ideare una manifestazione in cui questi artisti potessero dar vita a una sorta di rassegna, creando una rete tra di loro e il pubblico, senza più presentarsi come casi isolati.
In realtà il fenomeno della musica regionale o in lingua regionali negli ultimi anni si è sviluppato contro ogni aspettativa, trovando interesse soprattutto nelle nuove generazioni.
D’altra parte esistono precedenti illustri. Mi permetto di scomodare il festival della Canzone napoletana oppure, in tempi più recenti, quello della Canzone siciliana, una vera e propria istituzione nell’Isola.
C’è anche il precedente illustre della rassegna Id&m del 2009, curata artisticamente da Davide Van De Sfroos e purtroppo non più riproposta, che nella sua prima parte andata in scena al Teatro Dal Verme di Milano presentava proprio artisti lombardi: diversi di loro sono presenti a Spirano. Una sorta di continuità di quell’esperienza che sarebbe stato un peccato rimanesse lettera morta.
L’amministrazione comunale di Spirano è sempre stata molto sensibile alla lingua e alla cultura lombarda, sia nella toponomastica, sia nell’uso istituzionale, sia per l’arte e la musica.
Il sindaco Giovanni Malanchini mi ha quindi chiesto di ideare il progetto del Festival da presentare alla Regione Lombardia, nel quadro del bando sulla lingua lombarda.
Il progetto non solo è stato approvato, ma è anche quello che ha ricevuto più fondi di tutti i sette ammessi al finanziamento.
Quali riscontri sta avendo?
Luci e ombre.
Tra le prime, un pubblico che tributa applausi davvero entusiasti alla qualità dei concerti e degli artisti. Viene compresa ed apprezzata anche la scelta precisa – ammetto, parecchio rischiosa – di presentare in una stessa serata generi musicali anche parecchio distanti tra loro, o varianti della lingua lombarda non immediatamente vicine le une alle altre.
Ottimo il riscontro pure all’altra provocazione, quella di avviare il festival della musica lombarda con le ospitalità, quindi con musica non lombarda. I primi tre gruppi o artisti in cartellone provenivano infatti dalla Sardegna, dalla Calabria e dal Friuli, regioni con una forte identità culturale e linguistica.
Ho voluto espressamente che fossero proprio loro a “battezzare” l’ingresso anche della musica lombarda nel filone della “world music”, musica dei popoli e dei territori.
Se parliamo delle ombre, allora una nota di biasimo alla stampa e all’informazione mainstream, che si sta accorgendo davvero poco dell’importanza del nostro lavoro. Questo non ci aiuta certo nel far lavorare la manifestazione a pieno regime.
Può essere un modello esportabile fuori dalla Lombardia?
Assolutamente sì, a condizione che si rispettino le linee fondamentali: con tutto rispetto per le sagre di paese, il Festival di Spirano non è una sagra di paese.
Il rischio della “dialettizzazione” dei contenuti e delle forme, o la loro folkloristizzazione, è sempre molto elevato. Se invece vogliamo proseguire nell’evoluzione di un’identità artistica – quindi di un’identità tout court – regionale, occorre che chi organizza una manifestazione come il Festival di Spirano guardi più al futuro che al passato.
Senza rinnegare il primo, anzi, facendolo conoscere nei suoi aspetti migliori e storici. Ma cercando sempre le novità, le evoluzioni, gli incontri, le contaminazioni, non la conservazione di stili di altri epoche e contesti.
Esistono iniziative analoghe al di fuori del nostro Paese?
Tante, non si contano.
Le regioni del mondo (con questa parola intendo per comodità territori e popoli contenuti all’interno di uno Stato, dotati di una lingua regionale o minoritaria differente da quella dello Stato stesso) che siano consapevoli di se stesse e della propria identità curano molto gli aspetti dell’arte popolare, come la musica.
Sottolineo ancora una volta però quel “Nuova” nell’intestazione del Festival spiranese. Ci sono manifestazioni in cui si privilegiano composizioni tradizionali oppure nuove ma in stile tradizionale. Qui invece ricerchiamo l’aspetto più evolutivo e moderno rispetto a quello tradizionale. Occorre riprendere il filo di un discorso che si è interrotto portandolo verso il futuro, non fermandosi a rimpiangere il passato.
Qui sono di scena le contaminazioni con il rap, il combat folk, il jazz, il rock fino ad arrivare all’heavy metal.
Quale ti sembra lo stato dell’arte della musica in lingua regionale, specie lombarda?
Vi sono Regioni in cui il genere non ha mai conosciuto crisi: il caso della musica napoletana è l’esempio forse più noto a tutti.
In altre regioni ha ripreso piede nelle sue forme più tradizionali. Penso al grande boom di pizzica e taranta: questi generi restano perfettamente riconoscibili anche quando contaminati con il rock.
Gli ultimi decenni – a partire dal grandissimo lavoro di gruppi come la NCCP fino al grande movimento del Folk Revival a cavallo tra i ’70 e gli ’80 – hanno portato nuova linfa alle identità regionali, quindi anche alle loro lingue. Anche qui dobbiamo però prestare attenzione: non tutto è oro.
In agguato, il grande rischio rappresentato dal filone delle parodie goliardiche di canzoni famose, per esempio. Forse il nemico più insidioso delle identità linguistiche regionali in musica, perché contribuisce a perpetuare l’immenso equivoco tra cultura territoriale e subcultura.