La musica in lingua lombarda spazia dalla antiche ballate al cantautorato più raffinato, dagli stornelli popolari ai generi più moderni come il rock e perfino il rap.
In questo articolo ne ripercorrerò la storia, dalle origini al giorno d’oggi, cercando di parlare di tutti gli autori più rappresentativi.
So di non essere stato esaustivo, ma ho cercato di corredare questo racconto con molte canzoni. Buona lettura, e buon ascolto!
La musica popolare
Come tante altre regioni d’Italia, anche la Lombardia ha avuto una sua florida produzione musicale popolare, spesso in comune col resto della Pianura Padana.
Tra i temi affrontati dalla canzone popolare lombarda, troviamo:
- antiche ballate dal sapore epico medievale
- brani rituali e di devozione popolare
- canzoni d’amore
- canzoni legate ai mestieri, al lavoro nei campi e, più tardi, nelle industrie
- stornelli e canzonette da osteria
Dal punto di vista musicale, in genere le canzoni tradizionali del territorio lombardo non si distanziano molto da quelle suonate nel resto della Pianura Padana. Va però sottolineata la specificità di alcuni strumenti tipici lombardi, come il baghett bergamasco, che negli ultimi decenni è stato di nuovo valorizzato.
Tra le zone più interessanti per la musica tradizionale lombarda (e genericamente settentrionale) c’è quella delle cosiddette Quattro Province: Pavia, Genova, Alessandria e Piacenza; un luogo di molteplici scambi tra le varie popolazioni, siano essi economici o culturali.
Ballate antiche
La ballata (o canto narrativo) trova origine nella cultura europea medievale: essa si diffonde grandemente in Italia nell’epoca feudale. Successivamente viene ripresa dai fogli volanti e dai cantastorie itineranti.
Dunque molte delle canzoni più antiche del patrimonio musicale lombardo hanno punti di contatto con tutta l’area italiana, o addirittura con quella europea. Per esempio è il caso di Donna lombarda (conosciuta in tutto il Centronord), Gh’era el fioeul d’un conte (che richiama la terribile fiaba francese di Barbablù) e del Testamento dell’Avvelenato (che pare avere riscontri fino in Scozia).
La maggior parte di queste canzoni non è integralmente in lombardo, bensì in un misto di lombardo e italiano più o meno maccheronico.
La produzione e la trasmissione di queste canzoni nelle sue diverse varianti andrà avanti almeno fino all’alba del boom economico: circostanza che ha permesso di raccoglierle dagli ultimi custodi di questa tradizione orale straordinaria.
Canti religiosi
Nella vita della società contadina lombarda aveva molto spazio, ovviamente, anche la vita religiosa e devozionale.
Tutta la vita durante l’anno era scandita da festività e rituali (spesso risalenti a un’età precristiana), a potevano essere associate nenie e canzoni.
Un esempio di questo sono canzoni (attestate nella Brianza rurale) come El ven sgenee de la bona ventura – cantata dalle ragazze nubili verso la fine dell’inverno – o il Cristee – antico rito prepasquale.
Mentre i canti liturgici erano in latino oppure in italiano, non di rado quello extraliturgici potevano essere anche in lombardo. Molti di essi erano ispirati da storie provenienti dai vangeli apocrifi. Spesso essi si confondevano tra i canti narrativi dei cantastorie.
Nel novero dei canti extraliturgici sono presenti anche numerose nenie e preghiere serali.
Ecco invece una testimonianza orale di un brano della devozione popolare, la cosiddetta Pastorella di Casnigo (canzone relativa alla Natività di cui esistono versioni simili nel resto della regione, per esempio col titolo di Piva piva):
Bisogna anche dire che il rapporto con il sacro (e soprattutto con il clero) non è sempre idilliaco, e sono molto frequenti canzoni che prendono in giro preti e monaci.
Canti d’amore
Com’è naturale, anche l’amore (o perlomeno il rapporto tra uomini e donne, con i suoi contrasti) viene lungamente trattato nelle canzoni lombarde.
In molti casi esso viene trattato con bonaria ironia, con botta e risposta tra uomini e donne, che un po’ si respingono e un po’ si desiderano. Nelle canzoni d’amore (anche in chiave satirica), viene spesso usato lo schema dello strambotto, cioè una sequenza di endecasillabi.
D’altronde la canzone a contrasto è molto usata nella canzone popolare: non solo tra uomo e donna, ma anche tra madre e figlia, ricco e povero, padrone e contadino.
Un’occasione per “parlare male” delle donne in relativa libertà era l’osteria (da cui, come vedremo, provengono molti canti lombardi), che un tempo era aperta solo per gli uomini:
In molti altri casi non ci si sottrae a cantare canzoni ricche di doppi sensi (celebre il caso de Lo spazzacamino) e riferimenti più o meno velati al sesso (come el scossarin bagnaa “il grembiule bagnato” di canzoni come La mia morosa cara e Dove te veet o Mariettina).
Il lavoro
Infine, non mancano le canzoni legate al mondo del lavoro. Storicamente in Lombardia c’era una gran quantità di lavoratori stagionali (stagnini, arrotini, spazzacamini, ombrellai) che dalle valli alpine scendevano in pianura durante l’inverno, e che diventavano quindi figure ben riconoscibili.
Inoltre questa tipologia di canzoni ha un’importante dimensione femminile, visto che già ai tempi della prima rivoluzione industriale le donne cominciano a essere impiegate nelle filande, per non parlare poi dell’impiego massiccio di mondine nelle risaie (spesso provenienti da Cremona e Mantova, o dall’Emilia) tra Milano e Vercelli.
In questo senso, i canti di lavoro delle donne operaie e contadine (come la famosissima Scior padron da li belli braghi bianchi) possono essere considerate proto-femministi.
I cantastorie e le bosinate
Generalmente le canzoni popolari lombarde venivano insegnate e raccontate da paese a paese da cantastorie ambulanti, chiamati torotutella.
I cantastorie si recavano nelle fiere, nei mercati, alle sagre, e lì esercitavano la propria professione tutti i giorni dell’anno. Talvolta questi “cantanti di piazza” erano provvisti di un corredo di figure o “quadri” con i quali, armati di bacchetta, spiegavano al pubblico il contenuto delle ballate.
Gli ultimi cantastorie lombardi hanno continuato ad operare fino ai primi decenni del XX secolo. Uno degli ultimi cantastorie milanesi fu Enrico Molaschi detto El Barbapedana (1823-1911), autore – tra le altre – della famosa canzone El piscinin:
Un tipo di composizione musicale (che spesso influenzava anche la letteratura in lingua locale, nei suoi aspetti più popolareschi) era anche la bosinata: stampata su fogli volanti e cantata per le strade, trattava di argomenti di stretta attualità o anche di semplici storie divertenti.
Canti di osteria e stornelli
Un altro aspetto molto interessante della musica tradizionale lombarda sono i canti delle osterie, che spesso univano motivi popolareschi (come le bosinate o vari stornelli) ad arie di celebri melodrammi. Le rime e le strofe poi, potevano essere aggiornate e rielaborate col passare del tempo, anche in epoca piuttosto recente.
Spesso poi i vari motivi venivano concatenati tra di loro per creare degli antesignani dei medley, che venivano chiamati minestron, risott, rostisciada (per indicare il gran mischione di elementi musicali). In essi gli avventori davano pieno sfogo alla propria fantasi e al nonsense tipici di molto dell’umorismo lombardo.
C’è da sottolineare che la produzione di stornelli, anche piuttosto satirici e volgari, è abbastanza florida persino nella Milano del boom economico. Sono celebri per esempio le due canzoni del 1968 di El Pinza (vero nome Luciano Sada, 1929-1999), cioè L’era mai sucess/La seduta – qui potete trovare un articolo approfondito.
Giovanni D’Anzi e la musica degli Anni ’30-’40-’50
Per arrivare alla nascita della canzone d’autore in lombardo bisogna però aspettare gli Anni Trenta del XX secolo. In quegli anni si afferma la stella di Giovanni D’Anzi (1906-1974).
Musicista e compositore molto prolifico (spesso in coppia col suo fidato paroliere Alfredo Bracchi), realizza numerosissime canzoni in italiano e, cosa nuova, anche in milanese.
In una scena musicale dominata dalla canzone napoletana, D’Anzi riesce a proporre un modello alternativo, che con grazia e ironia parla di Milano e dei milanesi: tra i suoi titoli più famosi Nostalgia de Milan, On milanes sentimental, Quand sona i campann, Lassa pur che ‘l mond el disa e, soprattutto, la canzone che è diventata quasi l’inno ufficioso di Milano: La Madonina.
Sulla scia di D’Anzi si inserisco, tra gli Anni Trenta e Quaranta, altri autori di canzonette leggere come:
- Gorni Kramer con la sua Crapapelada (1936), in seguito reinterpretata anche dal Quartetto Cetra;
- Giuseppe “Nino” Rastrelli e Giacomo Somalvico con Pepè e paposs (1938);
- Mario Panzeri con Il tamburo della banda d’Affori (1942), censurata perché sospettata di allusioni satiriche a Mussolini;
- Eros Sciorilli con Bitte Fräulein (1943), curioso pastiche italiano-tedesco-lombardo nella Milano occupata dai nazisti;
Nel frattempo, a un livello più popolare ancora, continua la produzione di canzoni: è il caso, per esempio, della celeberrima La Balilla, di Italo Corrias (di origine sarda) detto “El Barberin”.
Un’altra canzone celebre del primo Novecento milanese è Porta Romana (mista in italiano e lombardo, con molte rielaborazioni), che richiama gli ambienti della ligera (la “mala” milanese), e che ispirerà anche uno dei primi successi discografici di Giorgio Gaber.
Non bisogna però credere che solo a Milano si scrivano canzoni in lingua locale: già negli Anni Trenta a Bergamo ci sono testimonianze di canzoni in lombardo (una tradizione poi riscoperta da Luciano Ravasio, come vedremo più in fondo):
Il cantautorato milanese
Nel Secondo Dopoguerra (soprattutto a partire dai primi Anni Sessanta) si afferma in Italia il fenomeno del cantautorato, a cui negli Anni Settanta si associa una riscoperta della musica popolare e “folk”.
Anche la canzone lombarda è interessata dal fenomeno: in questo frangente, operano due degli artisti più significativi ed emblematici: i milanesi Enzo Jannacci (1935-2013) e Nanni Svampa (1938-2017).
A essi, soprattutto a Milano, si affiancano poi anche alcuni autori “minori”.
Enzo Jannacci
Jannacci (nato da padre pugliese) è sicuramente tra i cantautori più importanti della musica italiana, nonché tra i pionieri del rock nel nostro Paese. Medico cardiologo di professione, diviene una figura di riferimento per molti cantautori, nonché per comici e artisti di cabaret.
Per la sua sensibilità poetica e la sua attenzione verso personaggi bizzarri e ai margini della società, viene spesso chiamato “il poeta degli ultimi”.
Com’è noto, egli incomincia la sua carriera con brani di ambientazione milanese, che molto spesso sono cantati in lombardo. È il caso, per esempio, dell’album La Milano di Enzo Jannacci (1964), di cui dieci canzoni su dodici sono in milanese.
Tra queste, le più celebri sono sicuramente Andava a Rogoredo, E l’era tardi, Per un basin e soprattutto El portava i scarp del tennis, una delle canzoni-simbolo di tutta la sua carriera.
In molti casi collabora con l’amico Dario Fo, col quale per esempio scrive pezzi come T’hoo compraa i calzett de seda, Ohè sont chì, La forza dell’amore e Sei minuti all’alba (misto tra italiano e lombardo).
Nel suo repertorio sono inoltre presenti canzoni milanesi scritte da altri autori: per esempio Faceva il palo di Walter Valdi (che Jannacci riarrangia in modo totalmente nuovo) e La ballata del pittore, scritta da Didi Martinaz e Lino Patruno.
Nanni Svampa
Ancor più di Jannacci, Svampa è stato IL cantante milanese per antonomasia.
Fondatore e membro del famoso quartetto dei Gufi (1964-1969), già durante quest’esperienza Svampa inizia a studiare e a presentare negli spettacoli il repertorio musicale milanese e lombardo. Inoltre scrive anche alcune canzoni proprie, come La circonvalazion e Piazza Fratelli Bandiera.
Intrapresa la carriera di solista, Svampa si dedica a due grandiosi progetti discografici, che costituiscono una pietra miliare per la storia della canzone in lombardo.
Il primo (del 1971) è una raccolta in tre album delle traduzioni in milanese delle canzoni di Georges Brassens (1921-1981), il suo grande idolo musicale. Come scritto da molti, la musicalità simile del milanese e del francese contribuiscono alla felicità dell’operazione.
La seconda è invece una raccolta in dodici album (pubblicati nel 1970, nel 1973 e nel 1977) dove vengono interpretati molti dei brani del patrimonio musicale lombardo, dal Medioevo al XX secolo. Questo lavoro discografico viene condotto con rigore filologico, affidandosi anche alle note e agli studi di musicologi come Roberto Leydi.
Ivan Della Mea
Tra le figure meno celebri ricordiamo anche Ivan Della Mea (1940-2005): di origine lucchese, impiegato alla Mondadori, inizia a cantare molto giovane e sceglie subito il lombardo milanese come lingua delle sue canzoni, caratterizzate da un forte impegno politico di sinistra.
Tra le sue canzoni in lombardo ricordiamo A quell omm, Ballata per l’Ardizzone e la cruda El mè gatt.
Walter Valdi
Di registro completamente diverso è il repertorio di Walter Valdi (1930-2003, vero nome Walter Pinnetti). Di professione avvocato, sin da giovane si avvicina al mondo del cabaret e comincia a cantare e comporre, diventando uno dei personaggi più conosciuti e apprezzati della scuola cabarettistica milanese.
Valdi è conosciuto a livello nazionale per aver composto alcune celebri canzoni dello Zecchino d’Oro (per esempio Cocco e Drilli e Il caffè della Peppina), ma è autore anche di alcuni grandi classici milanesi: La busa noeuva, I Wahka Puhtanga, Però però, Epur mì disi, Un milanese a Milano e soprattutto Faceva il Palo, resa celebre (con un diverso arrangiamento) da Jannacci.
Altri autori
In quegli anni la canzone milanese viene “frequentata” anche da molti altri artisti, più o meno legati alle figure che abbiamo menzionato sopra. Qui di sotto, alcuni esempi.
il drammaturgo Giorgio Strehler (1921-1997), autore assieme a Fiorenzo Carpi (1918-1997) della famosissima Ma mì, cantata per la prima volta da Ornella Vanoni (nata nel 1934) ma interpretata anche da molti altri:
Il già citato Dario Fo (1926-2016), che oltre a collaborare con Jannacci, canta alcune delle sue composizioni, e scrive per la Vanoni la canzone Sentii come la vosa la sirena:
Anche l’ex Gufo Gianni Magni (1941-1992) nella seconda metà degli Anni Settanta segue l’esempio del collega Svampa, e presenta un album di cover di Giovanni D’Anzi.
Inoltre tra i diversi interpreti possiamo ricordare anche la cantante e attrice Milly (1905-1980), i comici Cochi e Renato, l’attore teatrale Piero Mazzarella (1928-2013).
Si ricordi infine anche il brianzolo Francesco Magni (nato nel 1949), amico di Svampa (che ne interpreta due canzoni nella sua antologia).
Al giorno d’oggi
Dopo la stagione d’oro degli Anni ’60-’70 la musica milanese perde slancio: Jannacci dirada sempre più l’uso del milanese nelle sue canzoni (la sua ultima canzone in milanese, El mè indirizz, è del 1975), mentre Svampa cessa di fatto l’attività compositiva in favore di quella concertistica.
Tra gli epigoni della canzone milanese in tempi più recenti ci sono Nino Rossi (1923-1997), considerato erede della poetica di Giovanni D’Anzi, il cantante di liscio Claudio Merli (nato nel 1961) e Walter Di Gemma (nato nel 1968), autore di diverse traduzioni di Jacques Brel – nonché di un cospicuo repertorio in proprio.
Tuttavia, a partire dall’inizio degli Anni Novanta, comincia ad affermarsi una nuova generazione di artisti che cantano in lombardo: con la differenza, fondamentale, che si tratta di autori provenienti dalle altre province lombarde, e non più dalla metropoli.
Precursore di questa nuova ondata di cantanti “di provincia” è stato il gruppo La cantina di Ermete (attivo dal 1977), specializzato in brani prog-rock in bresciano.
Va anche ricordata l’attività del gruppo milanese Barabàn (attivo dal 1982), specializzato nella ricerca e nella riproposizione del patrimonio musicale folklorico lombardo.
Davide Van de Sfroos e “discepoli”
Il comasco Davide Van de Sfroos (Davide Bernasconi, nato nel 1965) è autore di una vera e propria rivoluzione musicale: cantando nel dialetto di Mezzegra (CO) canzoni dal sapore folk sulle storie del lago e della sua gente crea letteralmente un nuovo filone musicale.
Il suo successo oltrepassa i confini regionali: Van de Sfroos compie concerti persino in Sardegna, Campania, Sicilia, stringendo collaborazioni artistiche con cantanti folk di altre regioni. La sua consacrazione sulla scena nazionale culmina con la partecipazione al Festival di Sanremo del 2011 con Yanez (la prima canzone in lombarda mai presentata nella storia della competizione canora), arrivando addirittura quarto.
L’influenza in Lombardia di Davide Van de Sfroos è enorme, e dà vita a una nutrita schiera di imitatori e discepoli.
In Canton Ticino per esempio abbiamo i mendrisiotti Vad Vuc (attivi dal 2000), che dal folk dalle atmosfere celtiche sono passati progressivamente a composizioni sempre più raffinate dal punto di vista cantautoriale.
Invece nel Varesotto possiamo ricordare i luinesi Trenincorsa.
Luciano Ravasio
Sempre in questo periodo nasce anche una discreta tradizione di canzoni bergamasche e bresciane.
Il capostipite, senz’ombra di dubbio, è Luciano Ravasio (nato nel 1955). Professore di scuola media, è interprete di numerose canzoni tradizionali bergamasche, nonché adattatore in musica di alcune delle poesie degli autori più importanti della letteratura cittadina (come Pietro Ruggeri da Stabello o Bortolo Belotti).
A quest’opera si aggiungono anche composizioni proprie e anche alcune scherzose parodie di canzoni dei Beatles.
Il Bepi
A Bergamo opera poi Il Bepi (nome d’arte di Tiziano Incani). Originario di Rovetta, il Bepi (accompagnato dai The Prismas) ha all’attivo quasi una decina di album, ed è diventato una vera icona nella provincia bergamasca.
Rocker con delle grandi capacità di intrattenitore, il Bepi scrive canzoni spesso amare e sarcastiche sulla società bergamasca e italiana.
Tra le sue canzoni più importanti c’è Gleno (del 2009), dove racconta la tragedia della diga che nel 1923 uccise circa 500 persone in Val di Scalve.
I fratelli Cinelli
Nel Bresciano inoltre troviamo il cantautore Charlie Cinelli, a cui successivamente si aggiunge anche il fratello minore Piergiorgio.
Il primo (attivo dalla fine degli Anni Novanta) ha una solida preparazione musicale, e nella sua carriera si è dedicato sia alla produzione propria che a interpretazioni del patrimonio musicale e poetico dell’area bresciana.
Il secondo, benché sia specializzato in parodie bresciane di canzoni famose, ha scritto anche canzoni proprie come Via de corsa.
Dellino Farmer
Nato nel 1983, Dellino Farmer (nome d’arte di Andrea Dellavedova) rappresenta la nuova generazione della musica in lombardo. Appassionato di musica rap, intraprende i primi passi della sua carriera musicale intorno al 2008, prima di tutto con il progetto Italian Farmer.
Intrapresa l’attività solista (anche se spesso collabora con Piergiorgio Cinelli), Dellino si definisce l’inventore del biorap, cioè del rap che parla della campagna – nel suo caso la Bassa bresciana – e delle sue problematiche: dalla precarietà del lavoro (Sanc e sidur) alla speculazione edilizia (Trenta piò) ai consueti interrogativi esistenziali della generazione nata negli Anni Ottanta (20-25-30).
A margine, è bene ricordare che Dellino Farmer è uno dei primi artisti che parla esplicitamente di “lingua lombarda” in una sua canzone!
Altri autori
Ricordo infine altri autori importanti per la musica in lombardo affermatisi negli ultimi anni.
I milanesi Teka-P, che uniscono la canzone milanese al jazz:
I Luf, originari della Val Camonica, che uniscono le canzoni folk in lombardo all’impegno politico di sinistra:
Il brianzolo Renato Ornaghi, che negli ultimi anni si è dedicato a un’intensa attività di traduzioni di brani inglesi, dai Beatles ai Rolling Stones, da Adele a Bob Dylan e altri capisdaldi della musica anglosassone moderna.
Il milanese (di provincia) Lissander Brasca, che coniuga l’attivismo per la lingua lombarda a canzoni dai testi ricercati e dalla lingua volutamente mischiata tra le diverse varietà lombarde.
In ordine sparso, segnalo anche:
- i varesotti Longobardeath, autori di cover metal di canzoni tradizionali;
- il bergamasco (di Calcio) Zano, autore nel 2015 di un interessante album folk chiamato Tera de cunfì;
- Gianluca Gennari, nato a Crema e residente nel lodigiano;
- la mantovana (di Ostiglia) Ornella Fiorini (anche poetessa e pittrice), attenta osservatrice della condizione femminile;
- i milanesi-brianzoli Sulutumana, con un repertorio perlopiù in italiano ma con diversi brani in lombardo;
- gli alto mantovani (di Castel Goffredo) Di’n del nas;
- il gruppo punk ticinese dal nome goliardico di Vomitors;
Altri usi recenti
Inoltre c’è da ricordare che diversi artisti, hanno saltuariamente usato il lombardo (soprattutto milanese) in alcune loro canzoni.
Roberto Vecchioni (nato nel 1943) ha cantato una canzone in milanese chiamata Mond lader.
Gli Articolo 31 (attivi tra il 1990 e il 2006) hanno inserito come ‘ghost track’ nell’album Domani Smetto (del 2002) La ballata di Johnny Cannuccia, canzone che omaggia alcune atmosfere da mala milanese degli Anni Cinquanta.
Lorenzo Monguzzi (già cantante dei Mercanti di liquore) ha recentemente cantato Portavèrta (“porta aperta”), dedicata ai migranti.
Gli Elio e le Storie Tese (attivi dal 1980 circa), tra gli eredi della tradizione musical-cabarettistica milanese, hanno cantato nel 1993 Zelig: la cunesiùn del pulpacc (brano in “milanese sbagliato”, secondo la loro stessa definizione) e inserito due intermezzi in milanese (questa volta corretto) in Parco Sempione, nel 2008.
Un bilancio
La canzone in lombardo ha saputo rinnovarsi negli anni, passando dalle composizioni più tradizionali ai generi più in voga nei diversi decenni: dai valzer di D’Anzi al cantautorato folk e al rap.
La Lombardia è diventata quindi una terra molto fertile per cantanti che desiderano usare la lingua del territorio come mezzo di espressione artistica, spesso di altissima qualità.
Basterà a tenere viva la lingua lombarda?
Non bisogna nascondersi alcune difficoltà. La maggior parte degli autori di cui ho parlato in questo articolo hanno diversi problemi a farsi conoscere al di là dei propri confini provinciali; da molti la “musica in dialetto” viene considerata secondaria; e in generale il lombardo non gode della stessa simpatia (anche per pregiudizi politici) rivolta ad altre lingue regionali, come il napoletano o il salentino.
Per finire, non sempre gli stessi cantanti paiono avere una piena consapevolezza linguistica.
D’altro canto, nella stessa produzione musicale lombarda possiamo trovare diversi approcci alla questione.
Si può seguire Francesco Magni, che nella sua La mia terra cantava disilluso (già nel 1978):
La mia terra la va in malora; gh’è pu nient, pu nient de fà. […] E se mì moeuri, moeuri de vergogna, perchè riessi a fà on bell nient.
Oppure si può ascoltare chi, come Dellino Farmer (in Sanc e sidur, 2014), trova ancora qualcosa per cui combattere.
El sangh in de le vene al moment el manca miga, el mè sudor l’è dad de la passion e de la fadiga!
Chi vivrà vedrà.
Bibliografia consultata
- Attilio Frescura, Giovanni Re, Canzoni popolari milanesi, 1939
- La mia morosa cara (a cura di Nanni Svampa), Milano, Mondadori, 1980.
- AA. VV., Canti popolari del Milanese e della sua provincia, Roma, Ricordi, 2001.
- Elio e le Storie Tese, Vite bruciacchiate, Salani, 2006.
- AA. VV., Storia della Brianza, vol. 5: le culture popolari, Oggiono, Cattaneo, 2010.
- Andrea Pedrinelli, La canzone a Milano dalle origini ai giorni nostri, Milano, Hoepli, 2015.