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Difendiamo le lingue e i dialetti d'Italia

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L’Italia ama le lingue regionali

by Brian Sciretti 6 Comments

Pensi che lo Stato italiano sia il nemico giurato delle lingue regionali italiane? Sei convinto che dal 1861 a questa parte non ha fatto altro che combatterle con ogni mezzo? Allora questo articolo è scritto proprio per te.

Scoprirai alcune nozioni storiche e giuridiche che nessun professore ti dirà mai…

Indice

  • Il primo inno d’Italia era in sardo
  • La lingua lombarda nella propaganda unitarista
  • La repressione fascista
    • Fascismo e dialetti
  • Chivasso e i Partigiani
  • La Costituzione Italiana tutela i dialetti
    • L’autonomia delle Regioni
    • No alla discriminazione linguistica
    • Sì alla tutela linguistica
    • Che cosa comporta?
    • Cosa ci insegna la storia delle Regioni
  • Il CSPL è nato grazie alla RAI

Il primo inno d’Italia era in sardo

Come ben sappiamo l’Italia non nacque dal caso, ma dall’espansione del Regno dei Savoia, il cui nome ufficiale era Regno di Sardegna.

Il tuo insegnante di storia in classe avrà ripetuto mille volte: in realtà i Savoia rimanevano piemontesi, la capitale era a Torino e usavano l’italiano come lingua amministrativa. Di sardo c’era solo il nome ufficiale dello Stato. 

E invece c’è dell’altro: l’inno del Regno di Sardegna era in lingua sarda!

Chiamato S’hymnu sardu nationale, venne scritto nel 1830 circa da Vittorio Angius. Si tratta di un canto per coro. Il testo è una invocazione a Dio per la protezione del Re, per contenuti abbastanza simile all’inno inglese God Save the Queen.

Affiancato dalla Marcia Reale dopo l’Unità d’Italia, restò ufficialmente inno italiano fino al 1943, quando Badoglio lo sostituì con la più nazionalista Leggenda del Piave.

La lingua lombarda nella propaganda unitarista

Il patriota Carlo Cattaneo era un grande cultore del dialetto milanese, e riteneva che nell’Italia unita si dovessero mantenere le differenze linguistiche locali, affiancando le lingue regionali ad una lingua unica da usare nell’amministrazione.

Forse questo lo sapevi già.

Ma c’è una storia che nessuno ti ha mai raccontato. E’ la storia di Giovanni Rajberti, colui che mise in rima l’orgoglio del popolo milanese dopo la rivolta antiaustriaca delle Cinque Giornate di Milano.

Rajberti era un chirurgo che lavorava in un ospedale di Monza. Pur essendo un fervente patriota italiano, non partecipò attivamente alle Cinque Giornate, limitandosi ad ascoltare i racconti che gli riferirono i testimoni oculari.

L’entusiasmo dei milanesi dopo quei giorni di gloria lo contagiò a tal punto da spingerlo a scrivere una breve opera in versi intitolata Marzo 1848.

Non la scrisse in italiano, ma in lingua lombarda. Per l’esattezza, in dialetto milanese.

Il testo non è una cronaca dei fatti avvenuti nelle Cinque Giornate, ma un tributo al popolo meneghino che ha combattuto con orgoglio per scacciare gli Austriaci dalla città.

Il testo divenne presto popolare, spingendo molti Milanesi a prendere parte al movimento unitarista.

Non avendo diritti di copyright, Marzo 1848 di Giovanni Rajberti è disponibile gratuitamente in formato digitale. Puoi consultarlo direttamente nel box qui sotto.

P.S. il testo è in lombardo, ma l’introduzione è in italiano.

La repressione fascista

Il fascismo era un movimento fortemente centralista e ostile all’autonomia. Il regime di Benito Mussolini dunque guardò sempre con diffidenza la diversità linguistica, opponendosi fermamente alle minoranze linguistiche straniere.

In quel caso l’oppressione fu pesantissima: parlarle era illegale e usarle pubblicamente in canti o opere era punito severamente.

Ne sa qualcosa Lojze Bratuž, corista italiano di lingua slovena, che per aver mantenuto un coro sloveno venne rapito e costretto a bere un cocktail di olio di ricino, olio motore e pezzi di vetro.

Morì un mese dopo all’ospedale di Gorizia, e i suoi amici si riunirono sotto l’ospedale cantando in sloveno, fuggendo prima di essere arrestati.

Fascismo e dialetti

File:Fascist italianization.jpgUn po’ migliore, anche se non propriamente rose e fiori, era il rapporto del fascismo con le lingue regionali d’Italia. La diversità di quelli che all’epoca venivano definiti “dialetti” italiani non era avvertita come un problema. Infatti, vigeva l’idea, risalente a Dante, dell’esistenza di un’unica lingua italiana parlata da Nizza a Palermo. In questa visione del patrimonio linguistico, tutti gli idiomi parlati da Italiani erano considerati semplici varietà dell’italiano, e perciò sottoposti alla lingua italiana, derivata dal volgar nobile toscano.

Per questo motivo l’eliminazione delle lingue regionali non era nell’agenda del Duce. Ma ciò non significa che il regime avesse a cuore la diversità linguistica dell’allora Regno d’Italia…

Il fascismo non amava i dialetti. Li osteggiava, seppure in modo non troppo evidente.

Usare i “dialetti” nella stampa era vietato. Vennero soppresse numerose pubblicazioni dialettali, che ripresero solo dopo la fine della guerra.

Nelle scuole i “dialetti” furono osteggiati con umiliazioni e punizioni esemplari per gli alunni colti a parlarli. Questo nonostante alcuni scienziati e ministri dell’inizio Novecento inizialmente avessero suggerito l’uso dei “dialetti” come lingue di insegnamento per favorire l’apprendimento dell’italiano.

Nonostante tutto l’uso delle lingue regionali in contesti pubblici e privati era tutto sommato tollerato, dato che i “dialetti” erano la lingua madre per la stragrande maggioranza degli italiani ed erano impossibili da eliminare in tempi brevi.

Per tutto il periodo fascista l’Inno Sardo Nazionale rimase l’inno ufficiale. Anche se in lingua sarda (anzi, per usare i termini dell’epoca, in dialetto sardo), non poteva essere proibito per motivi di propaganda: si trattava pur sempre del primo inno nazionale italiano. Dunque, è stato un argine che ha difeso, seppure indirettamente, le lingue d’Italia dalla sostituzione con l’italiano standard.

Chivasso e i Partigiani

Emile Chanoux (1906-1944), eroe della Resistenza valdostana e padre della Carta di Chivasso.

Ovviamente ai Partigiani il fascismo non piaceva, né come assetto politico né culturale. Ed è proprio negli ambienti della Resistenza che venne scritta una delle pietre miliari della tutela linguistica in italia: la Dichiarazione di Chivasso.

Una carta che auspicava l’eliminazione non solo governativa del fascismo, ma anche ideologica. E in cui viene dichiarato (ipse dixit):

  • che la libertà di lingua, come quella di culto, è condizione essenziale per la salvaguardia della personalità umana;
  • DISTRUZIONE DELLA COLTURA LOCALE, per la soppressione della lingua fondamentale del luogo, là dove esiste, la brutale e goffa trasformazione in italiano dei nomi e delle iscrizioni locali, la chiusura di scuole e di istituti autonomi, patrimonio culturale che è anche una ricchezza ai fini della migrazione temporanea all’estero.
  • Diritto di usare la lingua locale, là dove esiste, accanto a quella italiana in tutti gli atti pubblici e nella stampa locale.
  • Diritto all’insegnamento della lingua locale nelle scuole di ogni ordine e grado con le necessarie garanzie ai concorsi perché gli insegnanti risultino idonei a tale insegnamento. L’insegnamento in genere sarà sottoposto al controllo ed alla direzione di un consiglio locale.

Avete presente i tanto sfottuti e derisi “esami di dialetto” per lavorare nelle scuole? Ecco, i primi a pensarli furono un gruppo di visionari partigiani valdostani e piemontesi. 

Chi si dichiara antifascista ha il dovere di saperlo.

Eppure la Carta di Chivasso è conosciuta da pochissimi, ancor meno sono quelli che ne conoscono il contenuto.

Tra di loro ora ci sei anche tu. Benvenuto nel Club!

Ma a proposito di “dialetti e antifascismo”, non è finita qui!

La Costituzione Italiana tutela i dialetti

La Costituzione Italiana è favorevole alle lingue regionali.

Infatti i Costituenti hanno capito bene che l’unico modo per tener unite comunità con storie e lingue millenarie è concedere autonomie territoriali.

L’autonomia delle Regioni

L’Italia, in linea teorica, dovrebbe essere uno Stato regionale.

La Costituzione infatti prevede espressamente la possibilità di concedere più autonomie alle Regioni che lo richiedono e anche di modificare il titolo V, modificando le competenze delle Regioni.

Tra di esse è possibile anche gestire una legislazione a favore del patrimonio linguistico e culturale. Molte Regioni hanno già legiferato a favore delle proprie lingue regionali.

  • La Lombardia nel 2017 a favore della lingua lombarda.
  • L’Emilia Romagna nel 1994 e nel 2014, a favore dei dialetti (sic) dell’Emilia Romagna.
  • Il Piemonte a più riprese dal 1979 ad oggi, e a più livelli, comprendendo sia il piemontese sia le minoranze linguistiche riconosciute nella legge di tutela statale.
  • La Sicilia nel 1981, a favore del siciliano.
  • Il Veneto nel 2016, a favore della lingua veneta.

No alla discriminazione linguistica

La Costituzione italiana dice, all’articolo 3:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche , di condizioni personali e sociali.

Sì alla tutela linguistica

E cosa dice l’articolo 6, che viene citato dal Senato in relazione a “lingua”?

La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche

Che cosa comporta?

Queste tre disposizioni, unite insieme, portano ad una constatazione.

Secondo la legge, nessun italiano deve essere discriminato per la propria lingua, che parli italiano, lombardo, friulano, griko, siciliano e così via.

Lo dice la Costitizione, basta leggere… Meno male che per qualcuno sono vellietà secessioniste…

Cosa ci insegna la storia delle Regioni

Le Regioni non hanno tutte la stessa età.

Le Regioni a Statuto Speciale infatti erano attive fin dall’entrata in vigore della nostra Costituzione, nel 1948.

E quelle ordinarie? Beh, vennero istituite nel 1970. Esatto, i cittadini delle Regioni a Statuto ordinario non ebbero diritto all’autonomia locale (garantita dall’articolo 5 della Costituzione) per ben 22 anni.

Oggi, riguardo alle politiche linguistiche, siamo in una situazione simile.

Dopo 51 anni dall’entrata in vigore della Costituzione, nel 1999 lo Stato italiano ha finalmente approvato una legge a tutela delle minoranze linguistiche storiche.

Per ora lo Stato si impegna a tutelare i diritti linguistici di alcune minoranze. Sono passati ormai quasi 20 anni da questa norma, e inizia ad esserci un risveglio anche delle minoranze ancora non tutelate che chiedono di essere tutelate.

Il CSPL è nato grazie alla RAI

Conosci già la storia della nascita del CSPL? No? Ti consiglio di leggerla, è interessante.

In occasione del 150° dell’Unità d’Italia la RAI trasmise degli spot pubblicitari in cui le lingue d’Italia venivano spacciate per un ostacolo all’unità nazionale, quando in realtà non è assolutamente vero.

Guardare per credere.

Il giornalista Giovanni Marco Polli, attivo da decenni nella tutela delle lingue locali, creò un gruppo Facebook per protestare. In poche settimane il gruppo raggiunse 3000 membri, e la RAI fu costretta a sospendere la trasmissione degli spot.

Per la prima volta la lotta per le lingue regionali ebbe un’occasione di unione e di confronto tra professionisti e appassionati. Ed ecco che dal gruppo Contro lo spot RAI nacque il Comitato per la Salvaguardia dei Patrimoni Linguistici (CSPL).

A pochi anni dalla sua nascita, stiamo già vedendo segnali incoraggianti verso la rinascita delle nostre lingue locali, un patrimonio inestimabile che tutta l’Europa ci invidia.

Per questo dobbiamo ringraziare la RAI. Senza di lei tutto ciò non sarebbe mai accaduto!

Filed Under: Bilinguismo Tagged With: Bufale linguistiche, Dialetto e italiano, Glottofobia, Letteratura dialettale, Linguistica italiana

Comments

  1. Giovanni Pontoglio says

    Luglio 14, 2017 at 12:17 pm

    Considerazioni notevoli, ma ho un dubbio:

    che cosa intendevano veramente per lingua “locale” gli estensori della Carta di Chivasso? Non penso che si riferissero a quelle che oggi chiamiamo lingue regionali o collaterali, che allora erano per tutti soltanto “dialetti” e che erano all’epoca in Italia parlati così universlmente (o quasi) che difficilmente si sarebbe pensato alla necessità d’una loro tutela e valorizzazione.

    Credo che sia più verosimile a che si riferissero alle lingue delle minoranze di confine: cioè dei francofoni, germanofoni, slavofoni —, probabilmente non ancora degli occitanofoni, all’epoca non ancora consapevoli della posizione linguistica di quello che allora era sentito solo come il volgare “patoà” degli spregiati “viton”.
    In ogni caso è fuori discussione come il superamento del monoliguismo e del “totalitarismo linguistico” fosse visto come un requisito necessario della nuova Italia libera.

  2. Christian Arrobio says

    Luglio 16, 2017 at 12:40 am

    Come spiegato in un altro articolo del Cspl sull’arpitano, in Valle d’Aosta la lingua popolare era quella (il patoà), mentre il francese era la lingua colta. Un po’ lo stesso rapporto fra piemontese e italiano in Piemonte. Idem nelle valli valdesi la lingua popolare era piemontese e quella colta il francese. Gli autori della Carta di Chivasso venivano principalmente da quelle due aree, VDA e valli valdesi. Mi sembra stonato ritenere che, quando l’hanno scritta, parlando di lingue locali volessero tutelare la lingua dei professori, dei dotti, dei preti o dei pastori (il francese nei loro casi), e non quella concretamente parlata dalla gente comune, arpitano, occitano e piemontese. Oltretutto i valdostani stessi pochi anni dopo rifiutarono le volontà annessioniste francesi nei loro confronti. Quale migliore occasione sarebbe stata per vedere riconosciuta la preminenza del francese?

  3. Christian Arrobio says

    Luglio 16, 2017 at 12:42 am

    Correggo, nelle valli valdesi la lingua popolare era occitano e piemontese, quella colta il francese, anche per le storiche relazioni col mondo calvinista svizzero e d’oltralpe.

  4. Marco says

    Marzo 20, 2018 at 1:04 pm

    È giusto, non è l’Italia il grande nemico delle lingue regionali, ma sono gli italiani. Ormai chi per odio, chi per lavaggio del cervello, chi per essere radical chic, globalista o semplicemente per non essere tacciato di secessionismo o leghismo, perpetuano i vecchi pregiudizi e luoghi comuni. Basta vedere le reazioni alle proposte di introduzione del “dialetto a scuola”, e della levata di scudi di linguisti più o meno politicizzati, e l’ignoranza ben radicata nell’ “italiano medio” sull’argomento. Ovviamente lo stato prende atto e approfitta semplicemente della situazione del tutto favorevole, non sforzandosi certo per fare un po’ di chiarezza. D’altronde a quale scopo, se ora sono loro (e i loro fedeli seguaci della crusca) a decidere cosa è lingua o dialetto, con semplici leggi?

  5. Anna says

    Giugno 29, 2020 at 12:48 pm

    Vorrei condividere una poesia di Miguel Leon Portilla, originariamente in lingua nahuatl, tradotta poi in francese, giapponese, polacco, veneto, inglese, portoghese, spagnolo, rumeno, tongano e portoghese:

    Quando una lingua muore,
    ciò che è divino,
    le stelle, il Sole, la Luna,
    le cose umane,
    Il pensare e il sentire
    non si riflettono più
    In quello specchio.

    Quando muore una lingua,
    tutto ciò che esiste,
    mari, fiumi,
    animali, alberi e piante,
    né pensano, né pronunciano
    con sguardi e suoni
    che non esistono più.

    Quando muore una lingua,
    perciò, si chiude
    a tutti i popoli del mondo
    una finestra, una porta,
    un affacciarsi
    in maniera diversa
    su quanto sia l’essere e la vita sulla terra.

    Quando muore una lingua,
    le sue parole d’amore,
    l’intonazione di dolore e nostalgia,
    talvolta i canti antichi,
    I racconti, i discorsi, le preghiere,
    nessuno riuscirà a ripeterli
    così com’erano un tempo.

    Quando muore una lingua,
    molte altre saranno già morte
    e altre possono ancora morire.
    Specchi bruciati per sempre,
    ombra di voci
    per sempre zittite:
    e l’umanità s’impoverisce.

  6. Samuele says

    Aprile 29, 2021 at 10:47 pm

    Bellissima poesia Anna!

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