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Lingue regionali: esperanto locale o dialetto vivo?

by Brian Sciretti 6 Comments

Pensi che la lingua lombarda, la lingua veneta e la lingua siciliana siano degli esperanti regionali che porteranno alla morte dei dialetti locali? Questo articolo fa per te!

Per prima cosa partiamo da un principio: Non è colpa tua se non sai le cose come stanno.

Difatti la scuola italiana è drammaticamente confusa nel descrivere la realtà linguistica d’Italia, con necessario e connesso apprendimento della linguistica.

Si esce con l’idea che la “lingua” sia lo “standard linguistico“. Cioè che sia uguale dappertutto e tutti i madrelingua parlino “con lo stampino”.

standard linguistico homer

Ma non è così che funziona…

Se fosse vero che una lingua è tale perché è parlata in modo identico da tutti i suoi parlanti, le lingue non esisterebbero. E nemmeno la lingua italiana esisterebbe, dato che in ogni regione si parlano differenti varietà di italiano. Solo che ci siamo abituati alle diverse pronunce regionali e non ci facciamo più caso.

Dunque, se vogliamo parlare di lingua lombarda, lingua veneta, lingua napoletana e così via, dobbiamo accettare due cose:

  1. Le lingue possono avere molte sfumature (cioè i dialetti);
  2. Le lingue tendono a sviluppare convenzioni sovradialettali comuni. Possono riguardare la grafia, il lessico, la grammatica o altri aspetti della lingua.

Molti, quando sentono parlare di “convenzioni sovradialettali” si spaventano. Pensano:

Io non voglio che il mio dialetto venga sostituito da un esperanto regionale!

Se anche tu sei uno di loro, continua a leggere l’articolo. Capirai che non hai nulla da temere!

Ma prima di tutto…

Indice

  • Cos’è l’esperanto?
  • Constatazione di unità
  • Perché è importante concentrarsi sulla “lingua regionale” e non sul “dialetto locale”?
    • Grafie unitarie: perché sono utili
  • Tiriamo le somme

Cos’è l’esperanto?

Esperanto flag
Bandiera esperantista

L’esperanto è una lingua artificiale, ossia creata da uno studioso, il dottor Zamenhof, medico e linguista. Conserva una media intelligibilità con le lingue neolatine ed è creata in modo da essere il più regolare possibile, infatti la sua grammatica presenta un numero infinitesimale di eccezioni.

Il suo lessico deriva da radici già esistenti, ed è ben presente l’agglutinazione e la verbalizzazione di queste radici.

Ma dunque, cosa c’entra questa interessante lingua con le nostre lingue regionali?

Dal fatto che molte persone abbiano, per il motivo esposto nell’introduzione, l’ossessione dello standard. E dunque pensano che per poter parlare di lingue, e dunque di lingua lombarda, lingua piemontese, lingua veneta e lingua siciliana ci sia per forza la necessità di appianare tutte le differenze dialettali e creare un’unica parlata entro i confini regionali. Ma così non è!

Constatazione di unità

Parlare di lingua lombarda, veneta, siciliana ma anche di lingue riconosciute come friulano e sardo vuol dire semplicemente constatare che i dialetti che le compongono hanno fonetica, grammatica e lessico molto simili e pertanto costituiscono una lingua unica.

Non si tratta di voler prendere gli elementi che ci piacciono di un gruppo di dialetti, buttarli dentro un calderone e creare un polpettone artificiale da insegnare nelle scuole ed usare nella pubblica amministrazione come unica varietà linguistica degna di prestigio.

In verità, trattare così i dialetti locali sarebbe una violazione dei diritti linguistici poco migliore dell’imposizione dell’italiano a bacchettate nelle scuole…

Quindi, qual è il modo corretto di procedere?

Basta semplicemente riconoscere l’unità linguistica nonostante le differenze dialettali, offrendo una forma di tutela migliore, capace di evitare al meglio sprechi, di diventare una fonte di reddito e un collante sociale per la regione.

Vuol dir tagliare con il passato folkloristico del dialetto che fa lingua in ogni paese, e permette di concentrare meglio le risorse per una politica seria di pianificazione linguistica.

 

Perché è importante concentrarsi sulla “lingua regionale” e non sul “dialetto locale”?

Un dialettologo alle prese con la standardizzazione di tutti i dialetti locali, uno ad uno… 

Semplice: fare diversamente è impossibile.

Immagina di volere tutelare seriamente ogni dialetto di ogni minuscolo paese. Dovresti scrivere una grammatica, un vocabolario e codificare una grafia per ognuno di essi. In Italia ci sono 8000 comuni, con diverse frazioni caratterizzate da dialetti peculiari…

Capisci bene che si tratta di un lavoro estremamente lungo e complicato, che comporta una notevole dispersione di energie che potrebbero essere impiegate per azioni di tutela più efficienti.

A questo proposito ti posso fare un esempio molto pratico.

Il libro Il piccolo principe è stato tradotto diverse volte in diversi dialetti della lingua lombarda. Abbiamo svariate versioni in dialetti praticamente uguali…

Non sarebbe meglio usare una grafia unitaria per avere una versione del Piccolo Principe in lombardo e conservare tempo ed energie per tradurre altri libri?

Grafie unitarie: perché sono utili

Ho parlato di grafie unitarie. Non voglio addentrarmi in un dibattito sulla grafia polinomica, ma offrire alcuni spunti per pensare.

Per prima cosa l’idea di “scrivere come si pronuncia” è fallace.

L’unico modo per scrivere come si pronuncia è usare l’IPA (Alfabeto Fonetico Internazionale), mentre qui vuol dire scrivere lingue con sistemi fonetici completamente differenti da quello dell’italiano con l’ortografia italiana.

Ogni lingua è un mondo a sé, con le sue peculiarità morfologiche e fonetiche, dunque ha bisogno di una grafia appositamente studiata per essere efficiente. Non puoi prendere arbitrariamente la grafia dell’italiano e cercare di calarla sulle lingue regionali.

I risultati non sono tanto diversi dallo scrivere “du iu spic inglisc” la frase inglese do you speak english.

Se pensi che la tradizione ci impone una grafia basata sull’italiano, ti dirò una cosa che ti farà cambiare idea…

Quelle grafie fonetiche italianeggianti che spesso vengono chiamate “classiche” o “tradizionali” in realtà sono di adozione molto recente (dalla prima metà del Novecento in poi). Un nulla, se le paragoniamo alla storia delle nostre lingue, che risale almeno ai tempi di Carlo Magno.

Purtroppo negli ultimi 100 anni sono state abbandonate molte ortografie storiche in favore di ortografie italianeggianti. Il motivo?

Nei circoli dei dialettofili si è diffusa questa malsana idea:

Il dialetto è parte dell’italiano. Dunque il dialetto va scritto con la grafia dell’italiano.

Peccato che le grafie secolari sviluppate in precedenza, per quanto imperfette e spesso non codificate, funzionassero di gran lunga meglio! Non c’era la necessità di scrivere le parole in 20 modi diversi per adattarle a 20 modi di pronuncia differenti.

Per fortuna la tendenza sta mano a mano andando verso il recupero e lo sviluppo di grafie sovradialettali studiate per le lingue regionali e non basate sul modello italiano.

Ci sono diversi progetti interessanti. Per la lingua lombarda c’è l’ottima opera Scriver Lombard, una grafia sviluppata dal linguista Lissander Brasca. Per la lingua veneta c’è l’ortografia dell’Academia de ła Bona Creansa, che punta a diventare il riferimento per lo standard grafico della lingua.

In ogni caso, è ora di lavorare tutti insieme, senza impazzire per scrivere ogni singolo fonema del dialetto di ogni singolo paesello.

Tiriamo le somme

Questo articolo può essere sintetizzato in questi principi generali:

  • I dialetti sono sfumature diverse di un’unica lingua. Dunque a domande come “Ma il veneto cos’è? Il veneziano, il vicentino o il padovano?” possiamo rispondere “Tutti questi dialetti, e anche il talian, il veronese, il bellunese, il gradese e via discorrendo”
  • Una lingua può esistere anche senza una varietà standard
  • Un’ortografia comune è un passo importante per salvare le nostre lingue 

Filed Under: Riflessioni Tagged With: Bufale linguistiche, Dialetto e italiano, Politica linguistica, Sociolinguistica

Comments

  1. Giovanni Pontoglio says

    Settembre 20, 2017 at 8:24 pm

    A dir vero mi sembra che qualche volta il rischio che la,lingua regionale si trasformi nell’imposizione d’una norma rigida onnicomprensiva (non solo ortografica, dove in fondo non si tratta che di convenzioni, ma anche lessicale e garmmaticale) non sia del tutto assente, visti ad esempio i casi del “romantsch grischun” imposto (per motivi “ragionieristici”, non in seguito ad una chiara scelta di pedagogia linguistica!) come unica variante ammessa per i manuali scolastici (rendendo così problematica l’alfabetizzazione nei tradizionali dialetti di valle romanici), del friulano unificato, o, nel caso d’una lingua ancora priva di statuto, del piemontese, i cultori del quale sembrano in genere escludere l’uso scritto di varianti non standard.

    La scelta di superare il principio (pseudo)fonetico per avvicinare le varietà d’una medesima lingua regionale mediante una grafia etimologizzante, “diafonemica”, può essere di per sé una buona scelta, e del resto sono grafie etimologgizzanti quelle che tengono insieme lingue policentriche plurinazionali come ad esempio il portoghese; tuttavia non opssiamo trascurare un’importante differenza rispetto a queste ultime.
    Un portoghese dirà che per “as noites” i brasiliani dicono “aznôitxiç”, mentre un brasiliano dirà che in Portogallo la stessa espressione “as noites” si dice “ajnôit’x”, perché ciascuno è abituato sin da bambino a collegare una sequenza grafica – in questo caso “as noites” per entrambi – con la sua specifica pronuncia, che gli appare quindi ovvia.
    Ciò non può però applicarsi così facilmente alle lingue regionali perché non sono, nelle grande maggioranza dei casi, lingue d’alfabetizzazione, cosicché il parlante tenderà ad applicare anche alla lingua regionale il rapporto segno-suono della lingua “tetto” (o magari dell’inglese), e di fronte ad un forte divario penserà di trovarsi di fronte a qualcosa che non ha nulla a che vedere col suo dialetto.
    .
    Da ciò deduco che – finché non si potrà contare su una diffusa possibilità d’alfebetizzazione anche nelle lingue regionali, ma da ciò siamo in Italia ancora lontanissimi – sia meglio evitare di percorrere questa strada (che è giusto sì fin d’ora studiare e ipotizzare onde disporre di strumenti di pianificazione di corpus idonei per quando – e se – si perverrà ad una corrispondente pianificazione di status), e puntare piuttosto a soluzioni in cui il dialettofono comune possa riconoscere la propria parlata nativa, sia pure non al 100%. L’esigenza del momento è quindi a mio avviso, piuttosto quella di trovare accettabili soluzioni microareali (e quindi grafia almeno approssivativamente “fonetiche”)..
    In ogni caso si debbono a mio avviso anche tener presente le differenti situazioni sociolinguistiche: dove di fatto esista già una tendenziale koinè o per lo meno forte convergenza regionale (Veneto, Sicilia …) è probabilmente più facile che soluzioni sovrammunicipali vengano accettate, rispetto a situazioni dove ogni variante vive solo nella dimensione strettamente paesana e manca nei parlanti una qualche coscienza di più ampio respiro geolinguistico.

  2. Mike Sciking says

    Settembre 21, 2017 at 8:23 pm

    Commento utile ed interessante!
    Concordo con la necessità di avere grafie unificanti ma dove il parlante possa identificarsi, almeno in attesa dell’alfabetizzazione in lingua.

  3. Michele Ghilardelli says

    Settembre 22, 2017 at 8:32 am

    In tutta l’analisi, a mio avviso, manca un dettaglio: il fatto che la maggior parte delle persone non è interessata ad apprendere una grafia.

    Nel caso del Piemonte, ad esempio, c’è già una grafia standard che sembra essere l’uovo di colombo: storica, impiegata nella letteratura, su base fonetica, semplicissima da apprendere per un italofono. Peccato che quasi nessuno scriva piemontese correttamente. Il fatto che il gruppo piemontesofono più numeroso si chiami Nui Parluma Piemunteis (cavatemi gli occhi!) è emblematico.

    Detto ciò, ritengo che lo sviluppo di grafie per andare incontro al beneplacito della gente comune sia una mera perdita di tempo. Tanto vale puntare a grafie con polinomia avanzata e perseguirle a barra dritta fino a quando saranno insegnate ai bambini.

    In Galles e in Catalogna hanno fatto così, e pare che funzioni.

  4. Alessandro says

    Febbraio 17, 2019 at 5:59 pm

    La lingua si forma prendendo come base il principale dialetto e su questo si lavora introducendo anche qualche parola proveniente da altri dialetti. E’ quanto succede anche in italiano dove per es. La parola anguria (nord) si trasforma in cocomero al sud, l'”anche” del nord è prevalentemente “pure” al sud.
    Premesso che lingue strettamente fonetiche ne esistono poche (anche l’italiano non è fonetico in quanto la “g” e la “c” possono avere suoni diversi a seconda della vocale seguente, che pure la “s” può avere suoni diversi e così la vocali “e” ed “o”), io conosco come lingua fonetica solo l’ungherese, non ritengo che l’uso di questo Scriver lombard proposto nell’articolo sia una buona soluzione, anzi dirò che la ritengo pessima. La lingua deve essere il più possibile fonetica. Parlando del lombardo ritengo che il dialetto più prestigioso sia il milanese e su questo si deve lavorare per dare una lingua ufficiale ai lombardi. Bisogna lavorare sia dal punto di vista fonetico, sia dal punto di vista grammaticale, in quanto il dialetto milanese è quello più inquinato dalla lingua italiana.

  5. Alberto Dal Grande says

    Marzo 19, 2019 at 10:25 am

    Vi segnalo questo articolo pubblicato su Il Gazzettino. Non so se abbiate tempo, ma mi pare una tipica argomentazione glottofoba. Valutate voi se rispondere o meno.
    In ogni caso, buon lavoro!

    https://www.ilgazzettino.it/AMP/nordest/lingua_veneta_venezia-4367505.html

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  1. Wikipedia in dialetto: Come funziona, quanto è utile e quanto è visitata? - Patrimoni Linguistici ha detto:
    Maggio 9, 2017 alle 9:25 am

    […] Sono sottowikipedie di Wikipedia in italiano? E soprattutto, sono utili per il futuro delle nostre lingue regionali o sono solo uno spreco di […]

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