Pensi che la lingua lombarda, la lingua veneta e la lingua siciliana siano degli esperanti regionali che porteranno alla morte dei dialetti locali? Questo articolo fa per te!
Per prima cosa partiamo da un principio: Non è colpa tua se non sai le cose come stanno.
Difatti la scuola italiana è drammaticamente confusa nel descrivere la realtà linguistica d’Italia, con necessario e connesso apprendimento della linguistica.
Si esce con l’idea che la “lingua” sia lo “standard linguistico“. Cioè che sia uguale dappertutto e tutti i madrelingua parlino “con lo stampino”.
Ma non è così che funziona…
Se fosse vero che una lingua è tale perché è parlata in modo identico da tutti i suoi parlanti, le lingue non esisterebbero. E nemmeno la lingua italiana esisterebbe, dato che in ogni regione si parlano differenti varietà di italiano. Solo che ci siamo abituati alle diverse pronunce regionali e non ci facciamo più caso.
Dunque, se vogliamo parlare di lingua lombarda, lingua veneta, lingua napoletana e così via, dobbiamo accettare due cose:
- Le lingue possono avere molte sfumature (cioè i dialetti);
- Le lingue tendono a sviluppare convenzioni sovradialettali comuni. Possono riguardare la grafia, il lessico, la grammatica o altri aspetti della lingua.
Molti, quando sentono parlare di “convenzioni sovradialettali” si spaventano. Pensano:
Io non voglio che il mio dialetto venga sostituito da un esperanto regionale!
Se anche tu sei uno di loro, continua a leggere l’articolo. Capirai che non hai nulla da temere!
Ma prima di tutto…
Cos’è l’esperanto?
L’esperanto è una lingua artificiale, ossia creata da uno studioso, il dottor Zamenhof, medico e linguista. Conserva una media intelligibilità con le lingue neolatine ed è creata in modo da essere il più regolare possibile, infatti la sua grammatica presenta un numero infinitesimale di eccezioni.
Il suo lessico deriva da radici già esistenti, ed è ben presente l’agglutinazione e la verbalizzazione di queste radici.
Ma dunque, cosa c’entra questa interessante lingua con le nostre lingue regionali?
Dal fatto che molte persone abbiano, per il motivo esposto nell’introduzione, l’ossessione dello standard. E dunque pensano che per poter parlare di lingue, e dunque di lingua lombarda, lingua piemontese, lingua veneta e lingua siciliana ci sia per forza la necessità di appianare tutte le differenze dialettali e creare un’unica parlata entro i confini regionali. Ma così non è!
Constatazione di unità
Parlare di lingua lombarda, veneta, siciliana ma anche di lingue riconosciute come friulano e sardo vuol dire semplicemente constatare che i dialetti che le compongono hanno fonetica, grammatica e lessico molto simili e pertanto costituiscono una lingua unica.
Non si tratta di voler prendere gli elementi che ci piacciono di un gruppo di dialetti, buttarli dentro un calderone e creare un polpettone artificiale da insegnare nelle scuole ed usare nella pubblica amministrazione come unica varietà linguistica degna di prestigio.
In verità, trattare così i dialetti locali sarebbe una violazione dei diritti linguistici poco migliore dell’imposizione dell’italiano a bacchettate nelle scuole…
Quindi, qual è il modo corretto di procedere?
Basta semplicemente riconoscere l’unità linguistica nonostante le differenze dialettali, offrendo una forma di tutela migliore, capace di evitare al meglio sprechi, di diventare una fonte di reddito e un collante sociale per la regione.
Vuol dir tagliare con il passato folkloristico del dialetto che fa lingua in ogni paese, e permette di concentrare meglio le risorse per una politica seria di pianificazione linguistica.
Perché è importante concentrarsi sulla “lingua regionale” e non sul “dialetto locale”?
Semplice: fare diversamente è impossibile.
Immagina di volere tutelare seriamente ogni dialetto di ogni minuscolo paese. Dovresti scrivere una grammatica, un vocabolario e codificare una grafia per ognuno di essi. In Italia ci sono 8000 comuni, con diverse frazioni caratterizzate da dialetti peculiari…
Capisci bene che si tratta di un lavoro estremamente lungo e complicato, che comporta una notevole dispersione di energie che potrebbero essere impiegate per azioni di tutela più efficienti.
A questo proposito ti posso fare un esempio molto pratico.
Il libro Il piccolo principe è stato tradotto diverse volte in diversi dialetti della lingua lombarda. Abbiamo svariate versioni in dialetti praticamente uguali…
Non sarebbe meglio usare una grafia unitaria per avere una versione del Piccolo Principe in lombardo e conservare tempo ed energie per tradurre altri libri?
Grafie unitarie: perché sono utili
Ho parlato di grafie unitarie. Non voglio addentrarmi in un dibattito sulla grafia polinomica, ma offrire alcuni spunti per pensare.
Per prima cosa l’idea di “scrivere come si pronuncia” è fallace.
L’unico modo per scrivere come si pronuncia è usare l’IPA (Alfabeto Fonetico Internazionale), mentre qui vuol dire scrivere lingue con sistemi fonetici completamente differenti da quello dell’italiano con l’ortografia italiana.
Ogni lingua è un mondo a sé, con le sue peculiarità morfologiche e fonetiche, dunque ha bisogno di una grafia appositamente studiata per essere efficiente. Non puoi prendere arbitrariamente la grafia dell’italiano e cercare di calarla sulle lingue regionali.
I risultati non sono tanto diversi dallo scrivere “du iu spic inglisc” la frase inglese do you speak english.
Se pensi che la tradizione ci impone una grafia basata sull’italiano, ti dirò una cosa che ti farà cambiare idea…
Quelle grafie fonetiche italianeggianti che spesso vengono chiamate “classiche” o “tradizionali” in realtà sono di adozione molto recente (dalla prima metà del Novecento in poi). Un nulla, se le paragoniamo alla storia delle nostre lingue, che risale almeno ai tempi di Carlo Magno.
Purtroppo negli ultimi 100 anni sono state abbandonate molte ortografie storiche in favore di ortografie italianeggianti. Il motivo?
Nei circoli dei dialettofili si è diffusa questa malsana idea:
Il dialetto è parte dell’italiano. Dunque il dialetto va scritto con la grafia dell’italiano.
Peccato che le grafie secolari sviluppate in precedenza, per quanto imperfette e spesso non codificate, funzionassero di gran lunga meglio! Non c’era la necessità di scrivere le parole in 20 modi diversi per adattarle a 20 modi di pronuncia differenti.
Per fortuna la tendenza sta mano a mano andando verso il recupero e lo sviluppo di grafie sovradialettali studiate per le lingue regionali e non basate sul modello italiano.
Ci sono diversi progetti interessanti. Per la lingua lombarda c’è l’ottima opera Scriver Lombard, una grafia sviluppata dal linguista Lissander Brasca. Per la lingua veneta c’è l’ortografia dell’Academia de ła Bona Creansa, che punta a diventare il riferimento per lo standard grafico della lingua.
In ogni caso, è ora di lavorare tutti insieme, senza impazzire per scrivere ogni singolo fonema del dialetto di ogni singolo paesello.
Tiriamo le somme
Questo articolo può essere sintetizzato in questi principi generali:
- I dialetti sono sfumature diverse di un’unica lingua. Dunque a domande come “Ma il veneto cos’è? Il veneziano, il vicentino o il padovano?” possiamo rispondere “Tutti questi dialetti, e anche il talian, il veronese, il bellunese, il gradese e via discorrendo”
- Una lingua può esistere anche senza una varietà standard
- Un’ortografia comune è un passo importante per salvare le nostre lingue