La parola ‘esperanto’ viene spesso usata a sproposito sui media in senso metaforico per indicare un qualsiasi pastiche linguistico, di solito con intento dispregiativo. Ma in realtà l’esperanto è una lingua viva. Vediamo qui di che si tratta e perché l’esperanto è interessante per la salvaguardia dei patrimoni linguistici italiani (e non solo).
Se un giornalista si fosse recato all’inizio di ottobre a Krikkenhaar, una casa vacanze immersa nel verde, in una piccola località olandese non lontana dal confine con la Germania, avrebbe sentito parlare esperanto.
Olandesi, tedeschi, italiani, rumeni, iraniani, si erano trovati per un corso intensivo di lingua e cultura esperanto.
Se infatti i corsi base sono più concentrati sugli aspetti dell’apprendimento linguistico, quelli intermedi e avanzati affrontano anche anche aspetti della cultura esperantista.
In particolare, uno dei corsi avanzati aveva come tema la relazione tra la letteratura fantastica e fantascientifica e l’esperanto – a partire da Jules Verne, che negli ultimi anni della sua vita fu presidente del gruppo esperantista di Amiens.
Alla fine del corso il gruppo, composto di sette persone, ha scritto per esercizio (con sommo divertimento!) un breve racconto di fantascienza in lingua, dove l’esperanto gioca un ruolo nella trama.
La comunità esperantista
L’esperanto oggi è molto di più del progetto linguistico lanciato da Ludwik Lejzer Zamenhof nel 1887.
Il finesettimana di studio olandese appena menzionato è stato un piccolo incontro di meno di cento persone, ma i Congressi Universali di Esperanto attirano diverse centinaia di persone, se non migliaia, tutti gli anni, a partire dal 1905.
Dopo un iniziale entusiasmo per una rapida accettazione della lingvo internacia come lingua internazionale della diplomazia, della scienza e del commercio, frenato bruscamente con l’avvento della Grande Guerra, l’esperanto ha passato una serie di peripezie, compresa la persecuzione esplicita dei regimi totalitari di Hitler e Stalin, che la consideravano la lingua pericolosa, per riprendere la felice espressione dello storico Ulrich Lins, che ha pubblicato un libro sul tema, di cui esiste una versione in italiano.
Per la verità non serve molto per verificare che l’esperanto è una lingua viva: basta mettere la parola ‘esperanto’ su un motore di ricerca qualsiasi e si trova una miriade di informazioni aggiornate sul tema.
Esperanto: stop alla confusione
In Italia il riferimento principale è la Federazione Esperantista Italiana, un’organizzazione non governativa senza scopo di lucro con sede a Milano, i cui gruppi locali sono sparsi in tutta Italia.
Eppure per certi giornalisti italiani evidentemente è troppo faticoso. Purtroppo sui media italiani la parola ‘esperanto’ è spesso usata a sproposito, con il significato generico di ‘lingua mista’, e con connotazioni negative, come una cosa poco seria, da ridere, oppure fatta male e non espressiva.
L’ultima uscita in ordine di tempo è l’articolo su La Repubblica che presenta tale Celenza, fenomeno del web che parlerebbe un ‘esperanto dialettale’. Non entro nel merito delle qualità artistiche di Celenza, non è il mio ambito e non mi interessa: il punto è che il gergo inventato da Celenza – perché di questo si tratta, non di una lingua – con l’esperanto non ha nulla a che fare.
Sarebbe anche ora di smetterla con questa brutta metafora.
Movimento esperantista e diritti linguistici
Il movimento esperantista negli ultimi vent’anni ha mostrato una considerazione attenta e consapevole verso diritti linguistici come elemento fondante della democrazia, in particolare riguardo le lingue minoritarie, come si può leggere nel Manifesto di Praga.
È interessante notare come le associazioni nazionali esperantiste non coincidano con i confini degli stati nazionali, e infatti per esempio esiste un’associazione catalana d’esperanto e una associazione esperanto scozzese.
Tramite l’esperanto le persone si incontrano su un terreno neutrale, che non appartiene a nessun gruppo etnico o nazionale in particolare, e possono discutere anche di temi spinosi che non verrebbero affrontati allo stesso modo usando altre lingue.
Per esempio, in questo momento gli esperantisti catalani e spagnoli riescono a condividere i rispettivi punti di vista parlandosi in esperanto, alla ricerca di un terreno comune rispetto al futuro prossimo della Catalogna e della Spagna. Non avrebbero discusso allo stesso modo se avessero parlato in spagnolo o catalano.
Contemporaneamente, gli esperantisti di tutto il mondo accedono a notizie di prima mano sulla questione, non filtrate dai media tradizionali. Si tratta solo di un piccolo esempio, ma concreto. Il punto è che l’esperanto viene usato in pratica nella realtà di oggi, e quindi non merita di essere bistrattato con brutte metafore.
Non sarà diventato la lingua internazionale usata da tutti in tutto il mondo, ma l’esperanto è riuscito a sopravvivere ai drammi del Novecento e continua ad avere un suo valore specifico, specialmente per tutti coloro che hanno a cuore la salvaguardia dei patrimoni linguistici, in Italia e nel mondo.
Federico Gobbo