Tra le molte lingue minoritarie italiane, un posto d’onore lo ha sicuramente la lingua del popolo walser, a causa delle sue vicende storiche e per le sue speciali caratteristiche.
Antica lingua germanica giunta in Italia nel Medioevo, è riuscita a resistere tenacemente per secoli alle influenze esterne; e anche oggi che la sua estinzione pare quasi inevitabile, ci aiuta a conoscere capitoli della nostra storia locale poco noti.
Distribuzione e storia
Il nome con cui chiamiamo questa lingua (e il suo popolo) ne ricorda chiaramente l’origine: infatti walser è una contrazione di walliser, cioè “originario del Canton Vallese” (in tedesco Wallis). Inoltre il nome locale della lingua tradisce la chiara origine germanica: titsch, titschu, töitschu si collegano allo “svizzero tedesco” tüütsch, al tedesco deutsch, all’olandese duits, all’inglese dutch e al danese tysk. Localmente, walser è il nome del popolo walser, mentre titsch(u) quello della lingua walser.
Ricerche storiche e studi linguistici hanno dimostrato che le popolazioni walser sono originarie proprio del Canton Vallese: a partire dal XIII secolo, molte comunità emigrarono lungo le Alpi e attraversarono molti passi alpini per creare nuove colonie. Tale circostanza fu aiutata dal fatto che in quel periodo c’era stato un forte aumento delle temperature, e che quindi era possibile valicare anche alti passi di montagna, anche a 3.000 metri di altezza, in cui i ghiacciai si erano molto ritirati. Inoltre si poté approfittare del fatto che nel Medioevo le valli erano piuttosto spopolate e inospitali. A questo periodo di alte temperature ne seguì un altro di glaciazione, che di fatto isolò le diverse colonie walser dalla madrepatria.
Si crede che i walser si siano diffusi nelle alpi francesi, italiane, svizzere e che siano arrivati fino in Liechtenstein e in Austria.
In Italia si stabilirono soprattutto attorno alle pendici del Monte Rosa: in Val d’Ossola, in Valsesia, in Valle d’Aosta (valli del Lys e d’Ayas). Da questi insediamenti partirono anche colonie secondarie. Le colonie più importanti furono:
- in Val d’Ossola: Macugnaga (z’Makanaa), Ornavasso (Urnafasch) con la frazione di Migiandone, le due frazioni di Premia Salecchio (Saley) e Agaro (Ager) e Formazza (Pomatt);
- in Valsesia: Alagna (Im Land), Carcoforo (Kirchof), Rima San Giuseppe (Arimmu/ind Rimmu), Rimella (Remmalju) e Riva Valdobbia (Riifu);
- in Valle d’Aosta: le due parti di Gressoney (Greschòney), Issime (Eischeme) e alcune frazioni montane di Ayas, Champdepraz e Gaby.
Inoltre vi fu una colonia walser anche a Campello Monti (Kàmpelj) in Valle Strona, non lontano da Rimella, e a Bosco Gurin (Griin), nell’attuale Canton Ticino (Valle Maggia, non lontano da Premia e Formazza).
Come ho scritto prima, il progressivo isolamento delle colonie walser italiane portò questi paesi a confrontarsi sempre di più con quelli del resto della valle, di lingua neolatina. Sicché, la maggior parte dei walser dovette imparare anche la lingua dei paesi del fondovalle: chi il francoprovenzale, chi il piemontese, chi il lombardo. In ogni caso, per molto tempo i walser rimasero in contatto col mondo germanico: molti walser migravano stagionalmente in Germania o in Svizzera, dove esercitavano la professione di mercanti.

Inoltre, a lungo si insegnò il tedesco nelle sue scuole (per esempio a Gressoney), che veniva anche usato nelle prediche a Messa. Il fatto che molti preti inviati dalle diocesi nei paesi walser non conoscessero la lingua, portò ad alcuni problemi linguistici (per esempio poteva servire l’interprete durante le confessioni!), che la Chiesa cercò di risolvere spingendo i walser ad abbandonare la propria lingua in favore del tedesco “standard”. Questo può spiegare perché, nonostante tutto, l’influenza lessicale delle parlate neolatine sui dialetti walser fu molto limitata, mentre rimase considerevole quella del tedesco.
Verso la fine dell’Ottocento si venne a formare un piccolo movimento letterario ad Alagna (località già rinomata da tempo come stazione invernale): a esso prese parte l’abate e botanico Antonio Carestia (1825-1908), il curato e alpinista Giovanni Gnifetti (1801-1867), il teologo Giuseppe Farinetti (in walser: Jousep Farinett, 1821-1896), ma soprattutto il medico Giovanni Giordani (Hans Jordan, 1822-1890). Questi, e massimamente il Giordani, lavorarono molto per “nobilitare” quello che anche per loro era dialetto tedesco. Giordani scrisse uno storico saggio (pubblicato postumo nel 1927) sull’alagnese, intitolato La colonia tedesca di Alagna Valsesia e il suo dialetto: in esso, oltre alla grammatica e a un vocabolario, vi era una serie di saggi letterari, che spaziavano da alcuni dialoghi popolareschi a traduzioni di De Amicis e di Dante. L’opera del Giordani è considerata fondamentale ancora oggi da molti.
Poiché secondo questi cultori della lingua il walser era una sorta di tedesco imbastardito, la maggior parte dei neologismi (riguardanti soprattutto il lessico astratto) che elaborarono sono dei tedeschismi adattati alla fonetica locale, come g’mainschaft per Gemeinschaft (consorzio, comunità).

Tuttavia, col passare del tempo, i walser cominciarono ad abbandonare sempre di più la propria lingua, considerata poco prestigiosa e importante.
In questa romanizzazione ebbe una sua parte rilevante anche la Chiesa Cattolica, che cominciò progressivamente a scoraggiare l’uso del tedesco (cioè del walser) nelle prediche, per passare all’italiano (cioè il lombardo o il piemontese) o al francese (cioè il francoprovenzale). Nel 1839 la Diocesi di Novara faceva stampare un catechismo bilingue italiano-tedesco per incoraggiare la conoscenza della lingua nazionale nelle comunità walser. Nonostante questo, a Gressoney si continuò ad insegnare il tedesco (lingua-tetto per il walser) per tutto l’Ottocento, tant’è vero che agli occhi di molti il suo dialetto era il più “puro”, in quanto più commisto al tedesco standard. Sempre a Gressoney, il tedesco prosperò a lungo anche come lingua della corrispondenza privata e della letteratura; nella vicina Issime, invece, tutto questo non accadde, e la comunità walser si trovò sempre più a contatto con il mondo francese e francoprovenzale della Val d’Aosta.
A partire dal XIX secolo una spinta ulteriore venne data dalla politica: in un periodo di grande nazionalismo, le comunità “alloglotte” non venivano viste con molta simpatia, e si insisté per diffondere l’italianità in ogni angolo del Paese.
Uno dei primi paesi a cedere alla romanizzazione fu Migiandone, dove sembra che il walser locale si fosse già estinto tra il 1650 e il 1700. Ornavasso e Ayas risultano romanizzati già prima del 1839: a Ornavasso l’ultimo documento in tedesco è del 1760, l’ultimo utilizzo in chiesa risulta attestato nel 1771.

Il Giordani a fine Ottocento notava come il walser si conservasse ancora bene ad Alagna, Rima San Giuseppe, Gressoney e Macugnaga, mentre a Rimella soffriva per l’influenza del piemontese, dovuta anche al fatto che (al contrario degli altri paesi) non confinava con la Svizzera ed era più vicina a Varallo, capoluogo della Valsesia.
Ad Agaro e nelle frazioni di Gaby, Champdepraz e Ayas il walser scomparve tra il XVIII e il XIX secolo (non si conosce la data precisa); a Rima San Giuseppe e Salecchio invece questo avvenne nella prima metà del XX secolo (nel 1929 Salecchio, già spopolato a causa di un’inondazione, viene aggregato al comune di Premia, dove si parla lombardo). A Riva Valdobbia e Carcoforo il piemontese di tipo valsesiano era presente ormai da molto tempo. In generale, si diffuse il concetto del walser come “lingua delle femmine“: mentre i maschi, che spesso si spostavano dal paese per lavoro, adottavano una delle lingue circostanti, le donne rimanevano in paese e conservavano la lingua natia.
La più brusca accelerazione del declino delle parlate del popolo walser però avvenne nella seconda metà del Novecento, nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale: in questo concorse lo spopolamento delle valli e l’emigrazione verso i grandi centri industriali della pianura.
Gli ultimi anziani parlanti del walser di Salecchio vennero meno all’inizio degli Anni Settanta: giusto in tempo perché la studiosa svizzera Gertrud Frei (1930-2015) potesse raccogliere la loro testimonianza e pubblicare uno studio sulla loro parlata (Walserdeutsch in Saley, Berna-Stoccarda, Verlag Paul Haupt, 1970).
A Ornavasso tuttavia si è conservato un curioso dialetto lombardo, con una fonetica completamente diversa da quella dei paesi circostanti (per esempio, manca la [y]: influenza linguistica dell’antico walser?) e con alcuni germanismi nel lessico. Un esempio su tutti è vislo per “donnola” (cf. tedesco Wiesel, inglese weasel), anziché il lombardo bènola o bèllora; oppure hàipari per “mirtillo”, o snóder per “moccio” (nel walser di Alagna: Schnuder), o badler per “povero”.
Al giorno d’oggi, dunque, in Italia il walser sopravvive (a stento) solo in sette comuni: Alagna, Formazza, Gressoney-Saint-Jean, Gressoney-La-Trinité, Issime, Macugnaga, Rimella.
La tutela del walser e i suoi problemi
Il carattere speciale delle comunità walser italiane rispetto al territorio circostante è sempre saltato all’occhio: cosicché fu naturale che dopo la caduta del fascismo essa venisse considerata una minoranza linguistica. L’UNESCO censisce nel suo Atlante Mondiale delle Lingue in Pericolo due varietà di walser: il titsch e, separato, il töitschu di Issime.

Di conseguenza, fu inserita nel novero delle dodici minoranze linguistiche riconosciute dalla ben nota legge 482/1999 (preceduta dalla legge regionale piemontese 26/1990 e da quella valdostana 47/1998). Tuttavia questa legge, come avremo modo di spiegare nel dettaglio in altri articoli, ha diversi demeriti. Uno su tutti è quello dell’autocertificazione: un sistema secondo il quale sono i comuni a doversi dichiarare parte di una determinata minoranza linguistica (in questo caso definita in modo generica “germanica”), previa richiesta di almeno il 15% della popolazione. In questo modo avvenne che si dichiarassero appartenenti a minoranze molti comuni (soprattutto in Piemonte) dove la presunta lingua di minoranza o non era mai stata parlata, o era scomparsa da secoli.
Questo è stato il caso anche di alcune ex comunità walser da tempo estinte: Ornavasso, Riva Valdobbia, Rima San Giuseppe, Rimasco, Carcoforo, Baceno, Premia (per Agaro e Salecchio) e Valstrona (per Campello Monti). Come abbiamo visto, si tratta di paesi dove il walser si era già estinto, in un periodo che va dal 1650 al 1970 circa. Come potevano attribuirsi alla minoranza linguistica walser nel 1999?
Facendo un paragone, è come se l’intera provincia di Reggio Calabria rivendicasse l’appartenenza a una minoranza greca; oppure se gli abitanti della Val Venosta (germanizzata dal XVIII secolo) si volessero costituire minoranza linguistica romancia.

Questo genere di attribuzioni ha di fatto reso vano qualsiasi tentativo di tutela nei paesi dove il walser resiste ancora: di fatti,
- i fondi disponibili secondo la legge si sono assottigliati per poterli garantire anche ai falsi walser, che chiaramente non potevano svolgere tutele per una lingua non più parlata sul territorio da decenni o secoli;
- essi, dunque, sono stati spesso usati per scopi non collegati alla tutela linguistica;
l’inefficacia delle leggi di tutela (a livello nazionale e regionale) è abbastanza evidente, tanto che nelle colonie del popolo walser la lingua continua a perdere terreno; tutto questo nonostante esistano sportelli linguistici in tutte le comunità walser, anche quelle dove il walser si è estinto da tempo. In ogni caso, si è potuto produrre un buon numero di opere divulgative per il walser (grammatiche, dizionari…) e parte della popolazione è stata sensibilizzata al tema della salvaguardia della lingua. Inoltre sono stati messi in cantiere progetti di pianificazione linguistica, per esempio per ottenere una grafia comune per tutte le varianti walser.
Anche nel comune di Bosco Gurin, in Canton Ticino, la coufficialità non è tra italiano e walser, bensì tra italiano e tedesco.
Per trovare una tutela effettiva del walser bisogna andare in Liechtenstein: qui il walser è lingua co-ufficiale (assieme al tedesco) nel comune di Triesenberg.
Caratteristiche linguistiche
Nota bene: per la trascrizione dei testi mi sono attenuto alle grafie utilizzate nei testi moderni che divulgano il walser, soprattutto nelle varietà valsesiane di Alagna e Rimella. Mi sono permesso di adottare <ŝch>, in accordo con le proposte scientifiche più moderne, come unico segno per [ʒ] (ad Alagna utilizzano anche <š>). Inoltre, benché la grafia walser ricalchi quella tedesca, è giusto ricordare che in questa lingua la <w> corrisponde a [w], <v> a [v] e <ei> a [ej], come in italiano (in tedesco, invece, rispettivamente [v], [f] e [aj]).

Dal punto di vista linguistico, il walser è affine all’alemanno, una lingua germanica imparentata col cosiddetto “alto tedesco” o “tedesco standard” e parlata nella maggior parte della Svizzera, nel territorio del Baden-Württemberg, nel Vorarlberg austriaco e in Alsazia. In particolare, com’è evidente, ha dei forti legami con le parlate del Vallese (oltre a essere ancora parlata a Briga, capoluogo germanofono del Cantone); tuttavia, la sua condizione di isolamento, ha mantenuto caratteri assai conservativi, accanto ad innovazioni particolari.
Tra le caratteristiche fonetiche abbiamo:
- palatalizzazione della [s] germanica in [ʃ]/[ʒ]: a Rimella hüüŝch, ŝchei schu (casa, lei, figlio), cf. tedesco Haus, Sie, Sohn
- indebolimento della [k] germanica in [x]: ad Alagna chneww, chalb (ginocchio, vitello), cf. tedesco Knee, Kalb;
- a Rimella, gran parte delle vocali davanti a [l], [r], [n] sono più aperte: wend, tehnu, herne, chend, meljch (vento, bere, cervello, bambino, latte), cf. tedesco Wind, trinken, Hirn, Kind, Milch;
- a Rimella, la [f] si indebolisce in [v]: vuksch, venger (volpe, dito), cf. tedesco Fuchs, Finger;
- a Rimella, si conserva il suono [w] presente nel tedesco antico, come in [wi], [wib] (vino, donna);
- ad Alagna e Rimella, velarizzazione della [a]: vedi alagnese mo, tol, tog, obend, oru (uomo, valle, giorno, sera, braccio), cf. tedesco Mann, Tal, Tag, Abend, Arm;
- ad Alagna, dittongazione in [ou] del tedesco [o]: our, elbougu (orecchio, gomito), cf. tedesco Ohr, Ellbogen;
- ad Alagna, evoluzione in [ua] dell’antico alto tedesco [uo]: fuas, buacha, chua (piede, faggio, mucca), cf. tedesco Fuss, Buche, Kuh;
- ad Alagna e Rimella, presenza di una vocale atona finale [u]: honu, elbougu, oru, beru, bljomu (gallo, gomito, orecchio, orso, fiore), cf. tedesco Hane, Ellbogen, Arm, Bär, Blum;
- ad Alagna e Rimella, caduta della [n] finale in molte parole: chroo, mo, wi, soh (corona, uomo, vino, figlio), cf. tedesco Krone, Mann, Wein, Sohn,
Dal punto di vista morfosintattico, nell’indicativo è venuto meno il passato remoto, sostituito da una forma di passato prossimo che serve per ricoprire tutti i gradi di lontananza nel tempo (quindi anche l’imperfetto, il trapassato remoto e quello prossimo):
- ad Alagna der mindru häd g’said sinem Ate (“il [figlio] minore disse [= ha detto] al padre”);
- a Rimella ìs hét gwest das ais ìsch kangut en Amerika (“egli aveva saputo [= ha saputo] che qualcuno era andato [= è andato] in America”).
Alcune caratteristiche del walser di Rimella sono:
- il futuro semplice è composto con l’ausilio dell’avverbio möru, che significa “domani”: per esempio möru assech z mir àju (“mangerò da mia mamma”);
- il congiuntivo imperfetto e trapassato equivale anche al condizionale presente e passato: quindi, per esempio (dàs) ich hatte significa sia “che io avessi” che “io avrei”;
- gli ausiliari sono essere, avere e fare;
- il presente continuato a Rimella si rende con l’espressione ŝchi zweg z + infinito, che letteralmente significa “essere sulla via di” (similmente al piemontese esse an camin che, o al lombardo vesser dree a).
Per quello che riguarda il lessico, possiamo rilevare degli arcaismi molto antichi, come l’alagnese e rimellese atu, aju per “padre, madre” (vedi invece il tedesco Vater/Mutter, l’inglese father/mother…).
Inoltre abbiamo già ricordato la scarsa influenza delle lingue romanze sul walser. Tra le varianti walser, quella più influenzata è stata senza dubbio il rimellese; ecco alcuni esempi:
- blokkàru (“bloccare”), cf. italiano bloccare;
- chàmru (“camera”), cf. piemontese cambra;
- kàrotlu (“carota”), cf. piemontese valsesiano caròtola;
- màgre (“magro”), cf. piemontese valsesiano magro;
- njànkà (“nemmeno”), cf. piemontese gnanca;
- pais (“città”), cf. piemontese paèis;
- pum (“mela”), cf. piemontese pom;
- ràva (“rapa”), cf. piemontese rava;
- rivàru (“arrivare”), cf. piemontese rivé;
- schkussàl (“grembiule”), cf. piemontese valsesiano scossal;
- vurku (“colma”), cf. piemontese forca.
Infine, alcune tracce neolatine si possono ritrovare in alcuni nomi propri; ad Alagna per esempio si dice Steiwu (Stefano, piemontese Stevo), Joku (Giacomo, piemontese Giaco), Katlina (Caterina, piemontese Catlin-a).
Per farsi un’idea sul walser
Per avere un’idea delle somiglianze del walser con altre lingue germaniche, ecco la traduzione della famosa parabola del Figliol Prodigo nel walser di Alagna Valsesia.
An Mo häd g’hobe zwen Söh. Und der mindru häd g’said sinem Ate: «Atu, gimmer dan Tail, der miar chind». Und er häd g’machud di Tailjini sinder Erpschaft. Und van do a’ litschil Toga, alls z’semmend g’laid, der minder Soh ïst g’gange in fremdi Länder und do häd er alls g’gasse in di Lustporchait.
Und wia häd er alls g’hobe g’gasse, do ïst g’si an groussi Tiri in dos Land, und häd ihm ong’fange feilje ds Neitiga. Und ïst g’gange, und ïst g’si ong’gouchte z’ainem Burgher diss Lands, der häd ne g’schicht z’sinem Acher, machu dan Schwihïrt. Und er hätte mu gere dan Buch mid da’ Chernu, di Haind g’gasse d’ Schiwi, wa miamand häd mu ru g’gè. Wenn wia ïst er in ihn erwunde, häd er g’said: «Wiavil Dianra sind in miss Ate hus, di Haind groud guat und gnuag, und ich tuan sterbe ds Hungers! Ich wil ufstoh und goh z’ minem Ate und wil mu sägi: “Atu, ich hon g’sindigud wider dan Himmil und wider dich; ich bin nimme wïrdig z’ syn g’haissne dine Soh: gei mich wia Dinderu an diener”».
Und häd sich ufg’richt und ïst g’gange z’ sinem Ate; wa wia er ïst g’si noch wit, sine Atu häd ne g’sei und sine g’hode b’sindi, und lauft mu ingegend und laid d’Orma um sine Hals und häd ne g’chisst. Und der Soh häd mu g’said: «Atu, ich hon g’sindigud wider dan Himmil und wider dich; ich bin nimme wïrdig z’syn g’haissne dine Soh». Wa der Atu häd g’said sini Dianre: «Gibed usser ds vïrnembst Chlaid und lekken ‘s mu on und in Finger ds Fingerij und Schua in sin Fiass; und fiärred ds faist Chalb, teited ‘s, und assi und schwetzi; va’ wegen dise mine Soh ïst g’si g’toute und ïst umum ufg’stande, er ïst g’si verlourne und häd sich g’funde».
Nu der ältur Soh ïst g’si im Fald; und wia er ïst erwunde und g’bijed dam Hus, er häd g’heird d’Musik und dan Tanz. Und jutz ainem Chnacht und freigt ne wos dos Sige. Dise untchemdu: «Es ïst erwunde dine Bruader und dine Atu häd g’teit as faists Chalb, va’ wegen er ïst erwunde g’finde». Und er ïst ergremmed und häd nid welje ingoh: der Atu ïst denn usg’gange und häd ne ong’fange batu. Wa der häd untchede und häd g’said sinem Ate: «Es sind ofe vil Jori das ich dich diani und hon nia g’fald dinem Wilje, und häst mer nia g’gè as Gaissij das hic miar täti ‘s niässe mid mini Frïnde; wa siters ïst cheme dise dine Soh, der alls häd g’gasse mid da’ wiber ds beise Lebis, häst g’teit da faists Chalb!».
Und der Atu häd mu g’said: «Soh, du bïst z’ ganza mimmiar, und alls wos ich hon ïst dis! Wa dos ïst billig z’ schwetze und lustig z’ syn; va’ wegen dise dine Bruader ïst g’si g’toute und ïst g’si ufg’stande, er ïst g’si verlourne und ïst g’si umum g’funde».
Bibliografia consultata
- Giovanni Giordani, La colonia tedesca di Alagna Valsesia e il suo dialetto, Varallo, Unione Tipografica Valsesiana, 1927.
- Karl Jaberg, Jakob Jud, Sprach und Sach-Atlas Italiens und der Südschweiz, 1928-1940 (il comune di Ornavasso è al punto 117, quello di Riva Valdobbia al punto 124).
- Renzo Mortarotti, I walser nella Val d’Ossola, Domodossola, Giovannacci, 1979.
- Fiorenzo Toso, Le minoranze linguistiche in Italia, Bologna, il Mulino, 2008.
- Sergio Gilardino, I Walser e la loro lingua dal grande nord alle Alpi. Dizionario della lingua walser di Alagna Valsesia, Magenta, Centro Studi Zeisciu, 2008.
- AA. VV. (a cura di Federica Antonietti), Scrivere tra i walser. Per un’ortografia delle parlate alemanniche in Italia, Associazione walser Formazza, 2010.
- Centro Studi Walser Rimella, La grammatica del “Ts Remmaljertittschu”, Borgosesia, 2011.