Reggio Calabria è una città che ha quasi tremila anni di storia. Storia che, tuttavia, è poco conosciuta rispetto a quella di altre città italiane (ma con le quali, sotto questo punto di vista, può spesso reggere il confronto). Ciò per diverse ragioni: ad esempio il fatto che nel corso degli ultimi secoli – per varie vicende politiche ed economiche – il suo ruolo è diventato più marginale, ma anche a causa della sua quasi totale assenza dalla divulgazione italiana.
Cercherò di mostrarla, attraverso la sua storia linguistica, con un articolo diviso in più parti. La prima riguarda l’età antica.
L’etimologia del toponimo Italia
E’ dall’area di Reggio Calabria che si è sviluppato il toponimo oggi usato per il Paese e per la regione geografica chiamati Italia.
L’etimologia del nome è ancora oggi discussa. A spiegarlo è la linguista Carla Marcato:
Italia è un nome di tradizione classica, in origine con riferimento all’estremità meridionale della Calabria; si estende poi alla penisola con l’avanzarsi della conquista romana. La sanzione ufficiale del nome si ha con Ottaviano nel 42 a.C., mentre l’unione amministrativa con le isole si ha con Diocleziano (diocesi italiciana). Nei secoli il nome rimane di tradizione dotta (l’evoluzione popolare del latino Italia sarebbe stato Itaglia, Idaglia, a seconda delle zone). L’origine del nome è discussa e incerta. Alcuni suppongono che derivi da una forma di origine osca e corrisponda a Viteliu accostato all’umbro vitluf ‘vitello’, latino vitulus. Per altri avrebbe il senso di “terra degli Itali”, popolo che avrebbe come totem il vitello (italos), perciò la denominazione si fonderebbe sull’uso antichissimo di divinizzare l’animale totem della tribù; oppure “il paese della tribù degli Itali”, nome totemistico da *witaloi ‘figli del toro’. Non mancano le interpretazioni leggendarie, come quella del principe Italo, l’eroe eponimo che avrebbe dominato il Sud della penisola. Vi è poi il mito secondo il quale Eracle, nell’attraversare l’Italia per condurre in Grecia il gregge di Gerione, perde un capo di bestiame e lo cerca affannosamente; avendo saputo che nella lingua indigena la bestia si chiama vitulus, chiama Outalía tutta la regione.
Spiegazione che tuttavia va precisata in un punto. Ben prima dell’espansione di Roma, infatti, presso i Greci il toponimo Ἰταλία (Italìa) – le cui teorie etimologiche non si esauriscono con la spiegazione della Marcato, che ha citato forse le più verosimili – al tempo di Erodoto (V sec. a.C.) era già esteso fino a Taranto (III 136, 138), e forse in quel periodo sarebbe diventato praticamente un sinonimo di Μεγάλη Ἑλλάς (Megali Ellas cioè “Magna Grecia”).
L’abitante dell’Ἰταλία era l’Ἰταλιώτης (italiotes), da cui deriva l’italiano italiota, che designa appunto un greco della Magna Grecia (significato da distinguere da quello della parola macedonia che unisce italiano e idiota).
In ogni caso, come afferma la Marcato, fu solo in età romana che la nozione di Italia toccò le Alpi, e addirittura bisogna aspettare le riforme dioclezianee affinché si estendesse anche alle isole (infatti, il siceliota – in greco Σικελιώτης – era il greco di Sicilia).
L’età greca
Chiusa la parentesi sul toponimo Italia, qui doveroso, ora si può passare a parlare di Reggio in modo specifico.
La città – chiamata in greco antico Ῥήγιον (gr. mod. Ρήγιο, greco-calabro Rìghi), la cui traslitterazione d’uso comune è Rhegion – fu fondata dai Greci provenienti dalla polis di Calcide (sull’isola Eubea) in un sito precedentemente occupato da popolazioni italiche quali i Siculi e i Morgeti. Varie sono le datazioni inerenti la sua κτίσις (“fondazione”), che però concordano tutte generalmente per l’VIII secolo a.C.
Il dialetto greco antico parlato dai Calcidesi era quello ionico, e pertanto questo fu il dialetto in uso anche a Rhegion. Lo stesso dicasi per la versione calcidese dell’alfabeto greco, una cui varietà moderna, curiosamente, sto usando in questo momento. Infatti l’alfabeto latino altro non è che uno sviluppo locale di quello euboico, giunto a Roma attraverso un’altra polis magnogreca di fondazione calcidese, Cuma (Κύμη, oggi nella Città metropolitana di Napoli).
Tuttavia, nel territorio dell’attuale Città metropolitana di Reggio Calabria coesistevano altre poleis. In primo luogo Locri Epizefiri (Λοκροὶ Επιζεφύριοι, ma anche le sue sub-colonie Medma (l’attuale Rosarno) e Metauros (Gioia Tauro). Essendo Locri Epizefiri fondata da coloni dorici provenienti dalla regione greca della Locride, ne consegue che nelle tre poleis si parlasse il dialetto dorico (parlato anche in un’altra polis di rilevante importanza, Kaulon, l’attuale Monasterace).
Quest’ultimo dialetto, però, ebbe ad influire anche sulla parlata di Rhegion (che, stando a Strabone [VI 1, 6.257], sin dalla sua fondazione ebbe già una presenza dorica grazie a un gruppo di coloni, provenienti dalla regione greca della Messenia, unitisi ai Calcidesi), tanto che, dopo una fase di transizione linguistica durata tra il IV e il III secolo a.C., fu adottato definitivamente. Ciò è dovuto ad alcune ragioni legate al rapporto con Siracusa e più in generale con la Sicilia:
- Per essere stata la più tenace avversaria del tiranno Dionisio I, Rhegion fu distrutta nel 387-86 a.C. Ciò le costo la perdita dello status di polis per diversi anni, fin quando nel 356 a.C. non fu rifondata con il nome di Febea da Dionisio II prima, e riconquistò l’indipendenza (riprendendo il vecchio nome) nel 351 a.C. poi;
- Nella seconda metà del IV secolo a.C., a seguito degli avvenimenti politici che hanno interessato la Sicilia greca (in primis Siracusa), e che hanno visto l’arrivo – da Corinto – di Timoleonte, Rhegion conobbe un’immigrazione di greci provenienti dall’isola;
- L’egemonia di Siracusa in Sicilia ha favorito lo sviluppo, nel IV secolo a.C., di una koinè su base dorica nelle poleis siceliote. Rhegion, come detto, visti i rapporti geografici e politici con l’isola, la adottò infine anch’essa. Ciò è testimoniato ad esempio da un’iscrizione – risalente alla prima età romana, e conservata attualmente presso il Museo Archeologico Nazionale della Magna Grecia di Reggio – dedicata a Gaio Norbano (identificato generalmente col politico romano che nell’88-87 a.C. difese Reggio durante la Guerra sociale), dove si legge Ο ΔΑΜΟΣ ΤΩΝ ΡΗΓΙΝΩΝ (“Il popolo di Reggio”), in cui δᾰμος è l’equivalente dorico dello ionico-attico δῆμος.
La questione del dorico s’inserisce nella più ampia querelle – che vedremo più avanti – attorno all’origine del greco di Calabria. Alcuni studiosi come Gerhard Rohlfs (1892-1986), Nikolaos P. Andriotis (1906-1976), Stylianos G. Kapsomenos (1907-1978), e Anastasios Karanastasis (1955-2010) hanno elencato alcuni possibili dorismi presenti nel greco-calabro, come ad esempio achò (“eco”, “rumore”, “suono”: dorico ἀχώ, ionico-attico ἠχώ), mìla (“molare”: dorico μύλα, ionico-attico μύλη), e nàca (“vello”, “culla”: dorico νάκα, ionico-attico νάκη): quest’ultimo termine è presente anche nel dialetto reggino, e in gran parte delle varietà linguistiche romanze del Sud Italia continentale e della Sicilia (nonché in alcuni dialetti della Grecia).
Infine, dal punto di vista delle testimonianze scritte del periodo greco si possono citare:
- quelle letterarie. Queste potevano essere di più, giacché Rhegion ha due primati letterari, non giunti però sino a noi: il primo filologo dell’antichità, Teagene, del quale si tramanda interpretasse Omero in maniera allegorica; e il
primo storiografo d’Occidente, Ippi, antecedente ad Erodoto e Tucidide (il quale, però, assieme ad un altro storiografo reggino più tardo – Lico – ci è giunto attraverso frammenti e riferimenti di altri autori antichi come Ateneo di Naucrati). Comunque, si possono citare il celebre poeta Ibico, e, se si prende in considerazione Locri Epizefiri, Nosside (la “Saffo” magnogreca);
- quelle monetali, che per Rhegion si estendono anche al primo periodo romano, comprendono appunto le monete prodotte dalle poleis. Quelle che recano un’iscrizione recano solitamente il nome collettivo dei cittadini della singola polis al genitivo: ad es., ΛΟΚΡΩΝ (“dei Locresi”) o ΡΗΓΙΝΟΝ (“dei Reggini”);
- quelle epigrafiche, che comprendono iscrizioni di varia natura: alcune di queste comprendono incisioni su elmi di nemici sconfitti (offerti come doni votivi agli dei), come quelle conservate presso il Museo di Olimpia (Grecia) che recano l’iscrizione ΔΙΙ ΡΕΓΙΝΟΙ ΛΟΚΡΟΝ (“A Zeus i Reggini [dal bottino] dei Locresi”). Da non dimenticare, inoltre, il trattato di alleanza – inciso su pietra – tra Reggio e l’Atene di Pericle, risalente al 433-32 a.C. (attualmente conservato presso il British Museum di Londra).
L’età romana e la questione del bilinguismo
Nel 282 a.C., per prevenire le scorribande dei Bruttii (una popolazione italica di lingua osca, insediatasi già da circa un secolo a Tauriana – l’odierna Palmi – e dintorni), Reggio si alleò con Roma, la quale stazionò nel territorio della polis una guarnigione di origine campana che, comandata da Decio Vibellio, si ribellò e occupò la città.
Liberata nel 270 a.C. dall’esercito regolare romano (coadiuvato dai Siracusani), da quel momento in poi la città finì nell’orbita di Roma, tanto che nell’89 a.C. divenne municipium, perdendo definitivamente la sua indipendenza. Tuttavia, rimase un centro e un porto importante, al punto che Caligola (r. 37-41) ebbe il progetto – poi abbandonato dallo zio e successore Claudio (r. 41-54), che potenziò lo scalo di Ostia – di farne il centro di smistamento del grano che, dall’Egitto, veniva portato a Roma per sfamare il popolo minuto della capitale.
Inoltre, Reggio era famosa in tutto l’Impero Romano per la qualità del suo vino: in molte zone dell’Impero sono state trovate anfore denominate dall’archeologia Keay LII (al cui interno veniva trasportato il vino reggino).
Nel 36 a.C. assunse in lingua latina il nome di Regium Iulii.
L’entrata in scena di Roma è all’origine di una delle questioni – già anticipata sopra – più discusse dalla linguistica italiana nel corso dell’Otto e del Novecento, inerente il greco di Calabria.
In altre parole: con la conquista romana, il greco scomparve di fronte al latino? Oppure ci fu una situazione di bilinguismo?
O, ancora, il latino in realtà non penetrò mai veramente (per cui l’attuale situazione linguistica si deve ad altre ragioni)?
Fin da quando le comunità ellenofone, ormai isolate sulle montagne dell’Aspromonte, furono riscoperte dal tedesco Karl Witte nel 1821, per lungo tempo quasi non si ebbero dubbi che ad esso andasse ascritta un’origine medievale (quindi bizantina): ciò quindi implicava che il latino si impose sul greco.
Tuttavia, questa teoria – dalla quale non erano esenti influssi di carattere politico e nazionalistico da parte degli studiosi italiani – fu aspramente combattuta dal già citato Gerhard Rohlfs, il quale cercò di dimostrare la tesi (che non fu il primo a sostenere, ma egli rappresentò il suo teorizzatore principale) secondo la quale il greco dal territorio di Reggio (e non solo) non scomparve mai, e che quindi il greco di Calabria deve le sue origini direttamente al periodo della Magna Grecia.
Un esempio pratico di queste due tesi riguarda l’interpretazione di un celebre passo di Strabone, vissuto tra il I secolo a.C. e il I d.C. (VI 1, 2, C.253):
νυνὶ δὲ πλὴν Τάραντος καὶ Ῥηγίου καὶ Νεαπόλεως ἐκβεβαρβαρῶσθαι συμβέβηκεν ἅπαντα καὶ τὰ μὲν Λευκανοὺς καὶ Βρεττίους κατέχειν τὰ δὲ Καμπανούς, καὶ τούτους λόγῳ, τὸ δ᾽ ἀληθὲς Ῥωμαίους· καὶ γὰρ αὐτοὶ Ῥωμαῖοι γεγόνασιν
(“Ora, a parte Taranto, e Reggio, e Napoli, è accaduto che tutto sia stato imbarbarito e che alcune zone le occupino Lucani e Brettii, altre i Campani, e questi solo a parole, ma, in verità, i Romani: infatti anch’essi sono diventati Romani” trad. it. di Domenico Musti)
Infatti, i fautori dell’origine bizantina affermano che si tratti della prova che nell’antica Magna Grecia il greco stesse cedendo il passo di fronte al latino, mentre quelli dell’origine magnogreca ribattono che se la lingua era parlata in città, allora a maggior ragione ciò avveniva in campagna: questo sia perché la campagna notoriamente a livello linguistico è più conservativa, sia perché Strabone nella sua opera geografica non prendeva in considerazione le aree rurali.
Ma chi ha ragione? Probabilmente i sostenitori della teoria rohlfsiana. Infatti:
- Reggio, per tutto il periodo romano, fu un emporio commerciale di notevole rilevanza che ha guardato all’Oriente greco. Ciò è dimostrato da diversi fattori: 1) si ha notizia della presenza di un tempio dedicato a Iside; 2) se ne ha traccia nelle iscrizioni (una di queste, di tipo funerario, è dedicata ad un certo Acindino di Cizico, centro dell’odierna Turchia); 3) dopo la divisione dell’Impero Romano in due parti, l’imperatore d’Oriente Arcadio (r. 395-408) promulga una legge a Reggio, come se la città – in quel periodo – appartenesse all’Impero d’Oriente anziché a quello occidentale; 4) sempre nel tardo Impero Romano, a Reggio si usavano le monete auree coniate a Costantinopoli anziché quelle di Roma, Ravenna, Milano, o Pavia;
- Le iscrizioni di età romana in lingua greca rinvenute in città – raccolte, assieme alle altre di tipo greco, dall’archeologa Lucia D’Amore – arrivano al V secolo d.C., e sono perlopiù di carattere privato.
- Il greco di Calabria non è assimilabile a nessun’altra varietà della Grecia continentale.
Proprio per il persistente ellenismo della città, il grecista Franco Mosino (1932-2015) definì Reggio la roccaforte della lingua e della cultura greca in Italia.
E il latino (le cui iscrizioni, a Reggio, si equivalgono con quelle greche)? In ambito pubblico si affermò a partire dal I secolo d.C. (famosa è un’iscrizione del 374 d.C., ritrovata nel 1912 nell’area della Banca d’Italia, in cui il governatore Ponzio Attico annunciava la ricostruzione delle terme pubbliche reggine), e assieme al greco è protagonista di un bilinguismo – influenze reciproche si riscontrano in alcuni documenti epigrafici greci, ad esempio nella cosiddetta Tegola di Pellaro del II secolo d.C. – che perdurerà per tutta l’età romana.
Infine, per quanto riguarda l’osco di Tauriana, esso seguì le sorti del resto del mondo oscofono, estinguendosi nel I secolo d.C. o forse anche prima.
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