Terzo capitolo della storia linguistica di Reggio Calabria, dopo quello dedicato alla storia antica e alla prima parte di quella bizantina. Questo completerà proprio il periodo bizantino.
Bisanzio e il greco di Calabria
Nonostante i problemi che presenta la teoria morosiana trattata nel capitolo precedente, è tuttavia indubbio che Bisanzio abbia lasciato una forte impronta sulla lingua greca di Calabria (sebbene sia possibile che alcune di queste innovazioni linguistiche siano [tardo-]romane). Questa si riscontra:
- Nel lessico: sono molti, infatti, i collegamenti lessicali col greco demotico parlato in Grecia le cui etimologie risalgono al periodo (tardo-)romano e bizantino. Giusto per citarne alcuni:- κρασί (“vino”), parola che nella lingua parlata ha rimpiazzato οίνος, e la cui etimologia si ricollega al termine greco-antico per “miscela” (infatti in età classica il vino veniva appunto miscelato con l’acqua poiché all’epoca molto concentrato);
– άλογο (“cavallo”), sostituto del vocabolo classico ίππος, presenta una storia etimologica interessante: termine popolare in età ellenistica per indicare gli animali in generale (considerati “senza ragione”: infatti άλογο letteralmente vuol dire proprio questo), durante il periodo bizantino ha avuto un restringimento semantico fino ad indicare il solo cavallo, l’animale principale nell’esercito;
– γάιδαρος (“asino”; in greco-calabro è gàdaro), che deriva da una forma bizantina ricostruita *γάιδαρος, la quale a sua volta deriverebbe forse da una rara forma araba غيذار (traslitterazione non scientifica: “ghaydhaar”).
A questi si aggiungono i latinismi entrati nel greco di Calabria (e nel neogreco standard) sempre attraverso il greco tardo e bizantino, ad esempio σπίτι (“casa”), derivazione del latino hospitium (vocabolo che in italiano ha dato origine a ospizio); - Nella fonologia: il greco-calabro segue la pronuncia bizantina/neogreca. Ciò significa che conosce:- il betacismo (per cui la lettera β viene pronunciata /v/ anziché /b/);
– l’itacismo (in cui le lettere η ed υ e i dittonghi ει, οι, υι, ηι vengono pronunciati /i/). - Nella morfologia: come in neogreco standard, scomparsa:- del duale;
– del modo di coniugazione ottativo (che esprime il desiderio o la possibilità, già raro al tempo in cui furono stesi i testi del Nuovo Testamento nel I secolo e.v.);
– del caso dativo. - Nella sintassi: generale scomparsa dell’infinito a favore della costruzione con να + congiuntivo (greco di Calabria thèlo/sèlo na ciumithò e neogreco standard θέλω να κοιμηθώ, “voglio dormire”), la quale sopravvive come calco – sebbene con sostituzione del congiuntivo col presente indicativo – non solo nell’attuale dialetto romanzo reggino di tipo siciliano, ma anche in tutti quelli parlati nel Salento, nel resto della Calabria meridionale, e a Messina (arrivando un tempo fino a Catania): vogghiu mi dormu.
Diversamente dal neogreco standard, però, l’infinito non è scomparso del tutto, perché sopravvive ad esempio quando preceduto dal verbo “sònno” (“potere”): greco di Calabria sònno platèzzi, neogreco standard μπορώ να μιλήσω (“posso parlare”).
Documentazione letteraria ed epigrafica
La Calabria greca medievale fu uno dei grandi epicentri del monachesimo che gli studiosi hanno definito italo-greco. I monasteri greci di Calabria di età bizantina (ma anche normanna) – come quello di Calamizzi, che sorgeva sulla punta omonima sprofondata nel 1562 – , divennero (soprattutto da quando nel 732-733 la Calabria, per decisione imperiale, passò dal punto di vista religioso sotto il potere del Patriarcato di Costantinopoli) centri in cui fiorente fu l’attività dei copisti, degli agiografi, e degli innografi.
A Reggio va il primato del primo manoscritto greco datato dell’Italia meridionale: si tratta del Codex Patmiacus 33, composto dai monaci Nicola e Daniele nel 941, e contenente le orazioni del Padre e Dottore della Chiesa Gregorio di Nazianzo (329-390 ca.). E’ detto Patmiacus poiché conservato a Patmos (Grecia), presso il Monastero di San Giovanni.
Purtroppo, tutte le migliaia di codici greci prodotti in Calabria hanno lasciato la regione – molti si trovano ad esempio presso la Biblioteca Vaticana – , privando così Reggio e la Calabria di un patrimonio culturale di inestimabile valore (anche se i più vicini si trovano comunque a Messina). Infatti, il famoso Codex Purpureus Rossanensis, che si trova appunto a Rossano (CS) ed è risalente al VI secolo, è in realtà originario della Siria.
La Cattolica di Stilo (RC) è uno dei gioielli
architettonici della Calabria. Risale al IX-X sec.
Molti di questi codici sono agiografie (in greco Βίοι) di santi italo-greci – riconosciuti come tali sia dalla Chiesa Cattolica che da quella Ortodossa – che sono nati o hanno operato in Calabria in età bizantina e normanna. Nella fattispecie, per la zona di Reggio si possono citare: Elia di Enna detto “il Giovane” (823-903), Arsenio (810-900 ca.), Elia lo Speleota (864-960), Nicodemo (900-990), Fantino egumeno (927-1000), Giovanni Therestìs (“il Mietitore”) (995 ca.-1050), Filarete di Seminara (1020-1070), Luca di Melicuccà (1035-1114), Leo (XI sec.), Luca di Bova (1050 ca.-1136), Cipriano di Calamizzi (1110-1190).
Il monastero ortodosso
intitolato a San Giovanni
Therestìs e ubicato a
Bivongi (RC). Fino a
qualche anno fa era retto
da monaci provenienti dal
Monte Athos (Grecia).
Agli ultimi anni dell’età bizantina (verso il 1050) risale anche un importante documento, il quale dimostra la ricchezza e l’influenza della Metropolia di Reggio. Si tratta di un elenco dettagliato dei possedimenti di quest’ultima, il Brebion, il cui testo è stato pubblicato integralmente nel 1974 – con il titolo Le Brebion de la metropole byzantine de Region vers 1050 – dalla Biblioteca Apostolica Vaticana, e curato dal grande bizantinista francese André Guillou (1923-2013).
Infine – a differenza delle opere letterarie religiose, dei documenti amministrativi, e dei codici – , le testimonianze epigrafiche di epoca bizantina sono molto scarse, e constano di appena due iscrizioni:
- L’epigrafe funeraria del duca di Calabria Sergio, risalente tra la metà del VII secolo e la metà del IX;
- Un’invocazione di aiuto a Cristo incisa su una tegola rotta, e risalente all’VIII secolo.
Onomastica
Un altro dei principali lasciti della grecità medievale – sebbene quest’ultimo sia di tipo immateriale – è l’onomastica. Il genetista Luigi Luca Cavalli-Sforza (1922-vivente) ha stimato che nelle città metropolitane di Reggio Calabria e di Messina la percentuale dei cognomi di origine greca (spesso di larga diffusione) si aggira al 15%.
Questo si ricollegherebbe ad un discorso di molto precedente, legato alla colonizzazione magnogreca (quindi, ancora una dimostrazione del continuum della grecità calabro-sicula sin dall’età antica), la quale è evidenziato dall’opera che lo stesso Cavalli-Sforza ha pubblicato in collaborazione con Alberto Piazza (professore di Genetica Umana presso l’Università di Torino) e Paolo Menozzi (docente dell’Università di Parma), e intitolata Storia e geografia dei geni umani (Adelphi, Milano, 1997).
In questa – che nel nostro caso riprende gli studi del dott. Piazza, da egli pubblicati nella rivista Le Scienze nell’ottobre 1991 – si evince come l’influenza genetica greca sia presente in tutto il Mezzogiorno (e, in minor misura, nella zona di Ferrara), influenza che però raggiunge il picco massimo proprio nell’area dello Stretto, sia nella sponda reggina che in quella messinese.
Il Castello di Sant’Aniceto, ubicato
nell’attuale Motta San Giovanni (RC), è in
assoluto una delle fortificazioni bizantine
meglio conservate. Risale agli inizi dell’XI
secolo.
Dei cognomi calabresi si è ampiamente occupato il più volte citato glottologo tedesco Gerhard Rohlfs (1892-1986), tanto da pubblicare nel 1979 un Dizionario dei cognomi e soprannomi in Calabria (edito dalla casa editrice Longo di Ravenna). Tra questi si possono ricavare i cognomi di origine greca del Reggino (alcuni dei quali si trovano anche in Grecia), ad esempio:
- Romeo, dal greco Ρωμαίος (“romano”; bisogna ricordarsi che i Bizantini si sono sempre considerati “Romani”, e che il termine “bizantino” nell’attuale accezione nasce più di un secolo dopo la caduta di Costantinopoli del 1453);
- Papalia, che traduce il greco Παπάς Ηλίας (“pope Elia”; bisogna ricordarsi che – con alcune restrizioni – ai preti ortodossi è concesso di sposarsi);
- Crea, dal greco κρέας (“carne”);
- Monorchio, dal greco μόνος (“solo”, “unico”) e όρχις (“testicolo”);
- Tripodi, dal greco τρείς (“tre”) e πόδι (“piede”);
- Strati, dal greco στρατός (“esercito”);
- Logoteta, dal greco λογοθέτης (funzionario di età bizantina e normanno-sveva che sovrintendeva ai conti pubblici e al bilancio statale).
Bibliografia
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