Molti di noi al liceo hanno dovuto soffrire o gioire su un curioso testo ambientato nella Trieste asburgica della fine dell’800. L’autore di questo testo è un signore ebreo nato in una famiglia italiana e tedesca. Nonostante abbia passato solo gli ultimi dieci anni della sua vita come cittadino italiano, il suo romanzo è uno dei più importanti della letteratura italiana del primo ‘900.
Parliamo ovviamente di Aron Schmitz, in arte Italo Svevo,e del suo romanzo, La Coscienza di Zeno.
Introduzione
La Coscienza di Zeno viene pubblicato per la prima volta a Bologna nel 1923. Il romanzo narra, attraverso la tecnica delle cornici narrative, la psicanalisi di Zeno Cosini, un ricco commerciante triestino.
Nel testo vengono affrontate diverse tematiche come l’inettitudine del protagonista, i suoi complessi di inferiorità e il suo odio verso le altre figure maschili che dominano la sua vita. Il tutto viene complicato dal fatto che fin dalla prima pagina il narratore (Zeno) viene rappresentato come bugiardo e a tratti manipolatore, rendendo dubbia la veridicità della sua “confessione.”
Tuttavia in questo articolo non ci occuperemo delle tematiche principali del romanzo, ma di una che passa spesso in sordina: il multilinguismo in La Coscienza di Zeno.
Svevo ovviamente lo ambienta nella sua Trieste multiculturale e porto franco dell’impero asburgico. I suoi personaggi son triestini, dalmati, istriani, italiani, tedeschi e slavi. Non è quindi strano che spesso Svevo si soffermi per discutere le caratteristiche linguistiche dei vari gruppi etnici della città.
Ma è ancora più interessante osservare come l’autore inserisca all’interno del romanzo lo scontro tra italiano (o come lo chiama spesso Svevo, “toscano“) e il “dialetto triestino.”
Svevo rappresenta con cura come in una società politicamente non italiana, l’italiano stia comunque prendendo il sopravvento sul triestino come lingua di cultura e di prestigio, e come chi sappia parlare bene il “toscano” abbia un vantaggio sul popolo che parla triestino.
Gruppi etnici citati nel libro La Coscienza di Zeno
Possiamo adesso quindi analizzare i vari gruppi linguistici rappresentati nel romanzo e vedere come Svevo utilizzi il panorama linguistico di Trieste per creare un ricco mosaico di personaggi che attraggano il lettore e mandino avanti la complessa trama del libro.
I tedeschi
Il tedesco era ovviamente una delle lingue principali dell’amministrazione austriaca di Trieste, e in città vivevano molte famiglie tedesche come lo stesso Svevo. Tuttavia i tedeschi compaiono poco nel romanzo e per lo più sono pochi i personaggi che hanno un cognome tedesco o hanno una conoscenza buona del tedesco. Anonimi soldati austriaci appaiono nell’ultimo capitolo del romanzo e parlano in tedesco, ma i loro nomi non sono mai rivelati e quindi ci occuperemo solo dei personaggi triestini e del loro uso del tedesco.
Enrico Copler
Enrico Copler è l’amico di Zeno eternamente malato di nefrite, un malato vero (al contrario di Zeno, malato immaginario).
Al di là del cognome tedesco, l’eterna ricerca di una cura portò Copler a passare del tempo in Stiria, in Austria (p. 181), e quindi è ragionevole che l’amico di Zeno parli bene il tedesco. Copler morirà a metà del romanzo, e la sua morte sarà un altro episodio per rivelare l’inettitudine di Zeno, che usa la scusa della morte dell’amico per andare a passare del tempo con la sua amante.
Guido Speier
Il personaggio che oltre ad avere una buona conoscenza del tedesco sembra anche avere una lontana origine germanica è Guido Speier.
Guido è il rivale in amore di Zeno, che finisce per sposare Ada Malfenti, la cognata di Zeno di cui Zeno è innamorato. Il nostro protagonista nonostante l’apparente affetto per Guido prova in realtà un’ostilità e un rancore che si manifestano fin dal primo incontro. Zeno sentendo il cognome di Guido chiede con ostilità se lui sia tedesco, con chiaro intento denigratore e desiderando “di dirgli qualcosa di sgradevole.” Guido tuttavia risponde che nonostante il cognome la sua famiglia è “italiana da varii secoli” (p. 116). In una seconda occasione però impariamo che Guido in realtà conosce il tedesco molto bene, e che quindi la conoscenza del tedesco è l’unica cosa di cui non necessita per assumere una segretaria (p. 309). Che Guido abbia mentito e le sue origini tedesche siano più vicine di quanto voglia lasciar credere? Il lettore viene lasciato con questo dubbio, uno dei tanti punti della vicenda in cui non siamo in grado di capire chi stia mentendo e chi stia dicendo la verità.
Zeno e il tedesco
Il protagonista del romanzo, Zeno, parla bene il tedesco, e riesce a comunicare con i soldati tedeschi (p. 461) senza difficoltà. Questa conoscenza deriva probabilmente dal padre di Zeno, il “vecchio Silva,” che sappiamo in gioventù passò del tempo a Vienna (p. 56). Eppure come vedremo in seguito, Zeno ha un certo astio nei confronti dei tedeschi e sembra riflettere le simpatie irredentiste della borghesia triestina di fine ‘800.
Gli Istriani e i Dalmati
Il romanzo descrive solo un personaggio di chiara origine dalmata, ma la desinenza in –ich del cognome tradisce una chiara origine dalmata o istriana per almeno un altro personaggio.
Ci aspetteremmo forse che i dalmati parlino il veneto coloniale simile al dialetto triestino che era predominante tra dalmati e istriani discendenti dai coloni veneti insediatisi in quelle terre molti secoli prima della vicenda. Con nostra sorpresa invece, entrambi i personaggi parlano italiano/toscano. Questo è dovuto al fatto che sono entrambi appartenenti alla borghesia cittadina e quindi per loro il parlare italiano rappresenti parte dello status sociale.
Tacich
Il “bellissimo giovine, anzi troppo bello” di origine dalmata è il commerciante Tacich. Il suo nome non viene mai rivelato, e della sua famiglia sappiamo solo che il padre lavorava col padre di Guido in Argentina (p. 310). Tacich si innamora di Carmen, la bella segretaria della ditta commerciale di Guido e Zeno, la “Guido Speier e C.” Decide quindi di entrare in affari con Guido e Zeno, proponendo una speculazione su un carico di solfato di rame. Quando però Guido acquista 60 tonnellate di solfato in ritardo il prezzo ha appena raggiunto il massimo della fluttuazione e da lì comincerà presto a calare. Avvertito di ciò da Tacich, Guido lo etichetta come “un provinciale” (p. 317) e spera che presto il solfato tornerà a rincarare. Zeno protesta dicendo di fidarsi di un dalmata che “passava il suo tempo nella piccola cittadina dalmata a guardare il solfato di rame” (p.317). La vicenda finirà in un’enorme perdita finanziaria per la ditta di Guido, e Tacich si limiterà ad abbandonare Trieste in segreto.
Dottor Coprosich
Il secondo personaggio di origine istriana o dalmata è il dottor Coprosich. Il nome deve ovviamente suscitare ilarità nelle intenzioni di Svevo.
Il dottore si prende cura del padre di Zeno e rimprovera Zeno aspramente per non voler prolungare la vita del padre (p. 47). Lo scontro serve a mostrare al lettore il conflitto di amore e odio verso il padre nella psiche di Zeno. Durante il loro dibattito Zeno e il dottore parlano sempre in italiano, e Zeno svela nella sua descrizione che il dottore ha simpatie irredentiste, e che “per quanto fosse notoriamente un buonissimo italiano, gli venivano affidate dalle imperial regie autorità le perizie più importanti” (p.50). Ovviamente il dottore parla in italiano con Zeno per via dell’appartenenza di entrambi alla borghesia cittadina, e di conseguenza non sappiamo se con un paziente meno abbiente Coprosich avrebbe impiegato invece il veneto coloniale.
I veneto-triestini
Parlato ancora oggi dalla maggioranza dei triestini, il “triestino” è un dialetto della lingua veneta. Svevo tuttavia non lo collega mai al veneto, limitandosi a chiamarlo “il dialetto di Trieste” o “il nostro dialetto triestino,” e quindi come tale verrà chiamato in questa sede. Sono tanti i personaggi che nel romanzo parlano triestino, e anche quando un personaggio professa di parlar bene “toscano” scopriamo spesso che utilizzano anch’essi il triestino in diverse situazioni.
Giovanna
La prima persona interamente madrelingua triestina è Giovanna, la domestica presso il sanatorio del dottor Muli in cui Zeno si auto-ricovera per tentare di smettere di fumare.
Il tentativo prevedibilmente fallisce, ma il protagonista spende diverse ore bevendo cognac con Giovanna e ascoltando il suo “puro dialetto triestino” (p. 23). Questo suggerisce che forse già al tempo in cui è ambientata la storia parecchi triestini soffrivano di commutazione di codice, e alternavano parole in triestino con parole in italiano.
Zeno
Zeno stesso è chiaramente di madrelingua triestina e ha un rapporto conflittuale con l’italiano, come vedremo nell’ultima sezione di questo articolo. Di fronte all’abilità di Guido di esprimersi in “toscano” perfetto, Zeno ammette che Guido lo parlava
con grande naturalezza, mentre io e Ada eravamo condannati al nostro dialettaccio
(p. 113).
Carla Gerco
L’amante di Zeno, Carla Gerco, parla triestino come Zeno e comunicano assieme in triestino.
Come scusa per andare a rivedere Carla, Zeno le compra un metodo per cantare (Relazione sulla Memoria Riguardante la Voce Umana) scritto in italiano dallo spagnolo Manuel Garcia. Zeno ha quindi la scusa di passare ore assieme a Carla per leggere le lezioni in italiano del testo, “poi in italiano gliele spiegavo e, quando non bastava, gliele traducevo in triestino” (p, 201). Anche il repertorio di Carla è prevalentemente triestino.
La prima volta che Zeno va a casa sua, introdotto da Enrico Copler, l’amico di Zeno chiede a Carla di cantare l’aria italiana formale Mia Sposa Sarà la Mia Bandiera (p. 191). Aldilà delle possibili simpatie irredentiste che Copler potrebbe mostrare con questa scelta, è interessante notare che durante il secondo incontro di Zeno con Carla, lei canti in triestino. Canta la canzonetta Faccio l’Amor, Xe Vero (p. 253). Questo è uno dei pochi punti del testo dove Svevo cita quasi per intero la prima strofa della canzone, mentre normalmente riporta i discorsi in triestino solo in maniera indiretta.
È anche interessante notare come Carla si trovi sola con Zeno, e scelga quindi di cantare nella lingua madre di entrambi, in una situazione più intima e familiare.
Anche in altre occasioni Carla canterà in triestino, ma quando il suo rapporto con Zeno si raffredda e lei inizia ad affezionarsi al suo maestro di canto passa a cantare esclusivamente in italiano.
Non possiamo esserne sicuri, ma sembra quasi Svevo voglia alludere che con la distanza emotiva tra Carla e Zeno anche la distanza linguistica si rafforzi.
Gli italiani e l’italiano
È importante distinguere tra cittadini italofoni di Trieste e cittadini del Regno d’Italia residenti a Trieste. Questi ultimi rappresentavano quasi il 12% della popolazione nel 1910, in base al censimento austriaco.
Nel romanzo i cittadini italiani sono pochi e vengono subito indicati come tali.
L’Olivi
Innanzitutto è italiano l’amministratore di Zeno, l’Olivi, che ne controlla le finanze e frustra il desiderio di indipendenza. Solo a guerra scoppiata, Olivi scapperà in Svizzera coi figli, non potendo rientrare in Italia dall’Austria (p. 456), regalando a Zeno la tanto agognata occasione per disporre delle sue finanze.
Guido Speier
Italiano è anche Guido Speier, che come abbiamo già visto parla il toscano con grande naturalezza (p. 113). Socio di Guido è un operatore finanziario della Borsa di Trieste, conosciuto soltanto come “il Nilini“.
Il Nilini è una rarità tra gli italiani di Trieste, perché come descrive Zeno:
Potei accorgermi che egli era un italiano di color dubbio, perché gli pareva che per Trieste fosse meglio di restare austriaca. Adorava la Germania e specialmente i treni ferroviari tedeschi che arrivavano con tanta precisione
(p. 391). Vediamo quindi come Svevo fa riconoscere a Zeno che la maggior parte degli italiani a Trieste erano identificabili come tali ed erano a favore dell’annessione di Trieste all’Italia.
Zeno e l’italiano
Un discorso diverso va fatto per il conflitto interno dei triestini che parlano italiano e triestino, che raggiunge il suo apice nella figura di Zeno stesso. Per Zeno l’italiano è innanzitutto un segno di identità, e nel raccontare la sua disavventura in Inghilterra, dove il padre e l’Olivi lo mandarono per apprendere il commercio, il protagonista dice che
L’avventura toccò a me perché ero italiano
(p.79). Ma aldilà dell’identificazione con l’essere italiano, Zeno professa di non parlar bene l’italiano, e di essere “condannato al nostro dialettaccio” (p.113).
Questo riflette anche la realtà domestica di Svevo stesso, che a casa parlava triestino e tedesco ma insisteva nello scrivere romanzi in italiano, venendo bonariamente preso in giro dalla sua famiglia.
Zeno ha anche problemi di cambio di registro, perché andando a chiedere la mano della sua futura moglie al suocero, Giovanni Malfenti, per strada si interroga se
in un’occasione simile avrei dovuto parlare in lingua o dialetto
(p. 101).
Infine l’inesperienza di Zeno con l’italiano diventa anche un elemento per far dubitare il lettore su quanto di questa “confessione” di Zeno corrisponda a verità.
Nell’ultimo capitolo del libro, Zeno respinge la diagnosi del dottor S. di sindrome di Edipo e complesso di inferiorità. Zeno spiega che i capitoli scritti in precedenza non sono veritieri perché scritti in italiano.
Egli [il Dottor S.] ignora cosa significhi scrivere in italiano per noi che parliamo e non sappiamo scrivere il dialetto. Una confessione in iscritto è sempre menzognera. Con ogni nostra parola toscana noi mentiamo! Se egli sapesse come raccontiamo con predilezione tutte le cose per le quali abbiamo pronta la frase e come evitiamo quelle che ci obbligherebbero di ricorrere al vocabolario! […] Si capisce come la nostra vita avrebbe tutt’altro aspetto se fosse detta nel nostro dialetto”
(p. 436).
Da un lato questo passaggio ci mostra il conflitto di Svevo stesso e della prima generazione di chi si trova in una situazione di diglossia, come appunto chi non sa scrivere in triestino ma non sente di sapersi esprimere abbastanza bene in italiano. Allo stesso tempo però il lettore ha appena letto un intera confessione scritta da Zeno in eccellente italiano, ed è quindi normale che dubiti che Zeno dica la verità e invece arrivi alla conclusione di essere davanti all’ennesimo tentativo da parte del protagonista di nascondere le proprie mancanze e bugie.
Conclusione
In conclusione a 95 anni dalla sua pubblicazione, La Coscienza di Zeno risulta ancora essere un romanzo che descrive molti dei problemi della nostra società attuale e del rapporto tra l’italiano e le varie lingue minoritarie.
Inizialmente possiamo credere che Svevo utilizzi il multilinguismo triestino come tecnica per dare colore ai suoi personaggi. In realtà Svevo sta inserendo elementi di conflitto linguistico in parte autobiografici, che gli permettono di aggiungere alla dimensione mentale di Zeno Cosini anche una dimensione linguistica che rivela i problemi e i pregi culturali della Trieste asburgica.
Oltre ad intrattenerci e interrogarci, il romanzo dovrebbe quindi oggi farci riflettere su che tipo di società vogliamo essere e come possiamo trarre benefici da una società multilinguistica.