Per un glottofobo il dialetto può essere contemporaneamente vivo e morto… Andiamo alla scoperta del paradosso del “dialetto di Schrödinger”!
Quando si parla del tema “dialetto a scuola” ci si trova spesso di fronte a due tipi di affermazioni apertamente contrastanti riguardo la loro salute.
Mi riferisco a questi due luoghi comuni, che sicuramente anche tu avrai sentito una marea di volte.
Indice
Luogo comune numero 1
Il dialetto lo parlano in molti, quindi non è in estinzione. Dato che è vivo e vegeto, non vale la pena di insegnarlo nelle scuole.
Luogo comune numero 2
Il dialetto non lo parla più nessuno. Dato che è praticamente estinto, non vale la pena di insegnarlo nelle scuole.
Queste due affermazioni sono in totale ed evidente contraddizione.
Fin qui ci può stare. Il problema è un altro.

Sono entrambe considerate vere dall’opinione pubblica. Addirittura, in certi casi si ritrovano come argomentazioni nello stesso discorso contro il dialetto a scuola!
Questo però va contro le più elementari leggi della logica.
Oltre duemila anni fa Aristotele con il Principio di non contraddizione affermava che una proposizione non può essere contemporaneamente vera e falsa.
Era così nella Grecia del grande filosofo greco, ed è così anche oggi.
La logica ci suggerisce che le due affermazioni contraddittorie non possono essere entrambe vere. Quindi il dialetto non può essere contemporaneamente vivissimo e prossimo all’estinzione!
Eppure questo è un dato comunemente accettato e spesso proposto nei dibattiti sul tema delle lingue locali…
Insomma, ne assumiamo che il dialetto sarebbe contemporaneamente vivo e morto.
Proprio come il gatto di Schrödinger…
Ma andiamo con ordine…
Erwin Schrödinger era un fisico e matematico austriaco, tra i primi a studiare il rapporto tra la fisica tradizionale (quella della mela di Newton per intenderci) e la fisica quantistica (il mondo delle particelle subatomiche).
Rapporto che era più problematico del previsto.
Infatti, i due modelli teorici apparivano totalmente inconciliabili.
- La fisica tradizionale si basa sul principio di causa-effetto e della prevedibilità. Quindi, ad uguali condizioni corrispondono uguali conseguenze. Per fare un esempio, se una mela si stacca da un ramo, possiamo prevedere che cadrà per terra in un determinato lasso di tempo.
- La fisica quantistica non segue un modello prevedibile. Ad uguali condizioni, nel mondo subatomico possono non corrispondere uguali conseguenze. Quindi, secondo le regole della fisica quantistica, una mela che si stacca da un ramo potrebbe cadere per terra in pochi secondi, dopo diverse ore, giorni, mesi, oppure non cadere affatto. Nella realtà ovviamente è molto più complicato, ma prendi per buono il mio esempio.
Questi due modelli sono entrambi veri, e ancora oggi non è del tutto chiaro come facciano a convivere nello stesso universo delle regole così diverse e apparentemente inconciliabili.
Per questo, il fisico austriaco Erwin Schrödinger ha lanciato una provocazione.
L’esperimento del gatto di Schrödinger
Si tratta di una simulazione teorica per capire come il mondo delle particelle subatomiche interagisce con la realtà di tutti i giorni. Per fortuna non è mai stato condotto: nessun gatto è stato maltrattato dal professor Erwin Schrödinger!
L’esperimento consiste nel chiudere un gatto in una scatola nera. Contro il povero micio è puntata una fiala di cianuro che viene attivata con radiazioni provenienti dal decadimento di un atomo di uranio.
Il decadimento dell’atomo di uranio si basa sulla fisica quantistica. Quindi non si può prevedere il suo comportamento. Non sappiamo, quindi, se l’atomo inizierà il suo decadimento in un momento oppure in un altro. Per quel che possiamo sapere potrebbe farlo dopo una frazione di secondo o dopo un giorno…
Ne assumiamo che il gatto chiuso nella scatola può essere contemporaneamente vivo o morto.
Esattamente come i “dialetti”.
Per fortuna l’esperimento del gatto di Schrödinger è solo un paradosso teorico. Lo stesso autore lo ha ribadito più volte, prima che a qualcuno venisse la balzana idea di realizzarlo davvero.
Invece il paradosso del “dialetto di Schrödinger” viene preso estremamente sul serio dall’opinione pubblica, ed è tenuto in vita da tutti quei personaggi che vogliono tenere lontane le lingue regionali dalla vita pubblica. Il loro obiettivo, in verità nemmeno troppo nascosto, è confinarle in ambiti sempre più ristretti fino a quando saranno completamente estinte e poi invocare la “fatalità dei tempi che cambiano”.
Il loro desiderio di estirpare la malerba dialettale è talmente forte che sono in grado di piegare senza alcun pudore la logica più elementare pur di giungere alla stessa conclusione: non bisogna introdurre il dialetto a scuola.
Fino a pochi anni fa questi “opinionisti” avevano carta bianca. Potevano fare passare le affermazioni più assurde senza che nessuno si ponesse il benché minimo dubbio.
Oggi non è più così.
Il Comitato per la Salvaguardia dei Patrimoni Linguistici è qui per dimostrare la fallacia del “dialetto di Schrödinger”.
Ed ecco la dimostrazione:
- I “dialetti” innanzitutto vanno chiamati con il loro nome: Lingue Regionali o Minoritarie.
- I “dialetti” (alias Lingue Regionali o Minoritarie) sono in regresso. I sintomi sono evidenti a qualsiasi linguista di buona volontà.
- Anche se sono in pericolo, Lingue Regionali o Minoritarie non sono ancora estinte.
- Le Lingue Regionali o Minoritarie si possono ancora salvare, a patto di seguire le direttive della pianificazione linguistica.
Probabilmente gli ottimisti che negano il declino dei “dialetti” incorrono in alcuni equivoci:
– alcuni si baseranno su esperienze territorialmente limitate, sul fatto cioè che NELLA LORO ZONA il dialetto, malgrado decenni di prognosi infausta (e d’assenza di misure di tutela), non abbia ancora esaurito la sua forza d’inerzia. Però se allargassero lo sguardo, p.es. alla situazione della Svizzera Francese, di molte regioni della Francia o di varie zone della Germania centrosettentrionale, si renderebbero conto che non è per nulla vero che “il dialetto non può morire”;
– altri probabilmente confonderanno i dialetti storici o primari (le lingue regionali) con i dialetti secondari o i socioletti (l’italiano regionale o gergale con vestigia dialettali) — anche il grande Joshua Fishman è incorso in quest’equivoco! —, insomma mettono indistintamente insieme tutto ciò che non è il “buon italiano” insegnato a scuola. Ora, penso anch’io che qualche forma di variazione linguistica entro l’italiano continuerà ad esserci (o si ricreerà), ma questo non ha nulla a che fare col problema del destino delle lingue regionali. E` un po’ come se si dicesse che, se un caratteristico borgo medievale venisse abbattuto per far posto a moderni edifici tutti vetro e cemento armato, non dovremmo preoccuparci, perché sottoterra resterà qualche tratto di fondamenta delle case antiche o perché qualche locale ricorderà nel nome quel che c’era lì prima …
– infine qualcuno potrebbe rifarsi alle periodiche rilevazioni su italiano/dialetto nelle regioni italiane condotte dall’ISTAT, dalla quali risulterebbe una tendenziale tenuta del dialetto, sia pure nella forma “nella situazione X parla sia italiano sia dialetto”. Queste inchieste si basano su autovalutazioni dei parlanti, non sull’osservazione dall’esterno del loro comportamento linguistico, e quindi, stante la forte confusione terminologica, è lecito dubitare dei risultati. Osservando gli usi quotidiani infatti molto spesso s’assiste alla commutazione di codice e alla formazione d’enunciati mistilingui, Ora temo appunto che molti di questi parlanti “sia italiano sia dialetto”, più che effettivamente padroneggiare due codici linguistici impiegandoli in contesti differenti, ne padroneggino ormai soltanto un e cioè l’italiano (in quanto insostituibile nei contesti formali), mentre dispongano ormai soltanto d’una competenza limitata, dell’altro, l’idioma locale / regionale: dal momento che quest’ultimo è socialmente ammesso sono nei contesti informali, in cui è accettata la communtazione di codice, c’è sempre la possibilità per il “semidialettofono” di colmare le lacune ricorrendo all’italiano. Il passaggio successivo è quello di frammenti dialettali (singole parole o frasi fatte) incastonate nel discorso in italiano, ma ciò può sembrare dialettofonia solo da un’ottica “standard-centrica”, che scambia per vitalità del dialetto ad esempio il “vècio / vècia” che i nostri studenti infilano in ogni frase italiana (in un uso del termine, che tra l’altro, non è quello normale del dialetto da cui esso è tratto)! Un po’ come se chiamassimo bilingui quei vecchi film western in cui il solito personaggio messicano stereotipato dice: “Buenos días, señorita”.
D’accordo al 100%