In data 15 settembre l’associazione Milano da Vedere (che cura visite guidate per luoghi più o meno conosciuti della città) ha organizzato la Giornata del Dialetto Milanese.
L’intenzione degli organizzatori era di promuovere una giornata in cui tutti gli aderenti all’iniziativa si sarebbero sforzati di parlare tutto il tempo in milanese. La giornata si sarebbe conclusa con una grande festa in un locale.
L’evento ha avuto una buona risonanza su Facebook e sui media locali, e ha avuto anche il plauso del vicepresidente del Consiglio Regionale della Lombardia, Fabrizio Cecchetti. Inoltre, ha coinvolto anche l’Accademia del Dialetto Milanese (una delle diverse realtà che si propone di valorizzare la lingua di Milano), la quale ha curato la scrittura di manifesti e slogan promozionali, adeguandoli all’ortografia tradizionale milanese. Sono state stampate magliette, creato un logo, preparati dei manifesti da appendere negli esercizi commerciali interessati a promuovere la giornata. Come luogo per la festa è stato scelto un grande locale sul Naviglio Grande, il Bobino Club, con posti a sedere su prenotazione (esauriti ben presto). Alla serata, tra i vari ospiti, erano presenti anche gli attori della compagnia teatrale dei Legnanesi.
Alla serata è stata presente una discreta delegazione del CSPL lombardo, tra cui il sottoscritto e Simona Scuri (coordinatrice regionale). Il motivo è facilmente intuibile: per chi, come noi, si impegna per la valorizzazione del patrimonio linguistico italiano, un’occasione come questa era imperdibile. Non è un mistero che per dare dignità a una lingua (sia essa l’italiano, l’olandese o il lombardo) bisogna insistere nel darle una dimensione pubblica.
Partendo da questi ottimi presupposti, ecco quello che abbiamo riscontrato nel corso della serata:
- le presentazioni e i discorsi erano in italiano
- gli interventi sul palco (a parte quello fatto da Simona Scuri) erano in italiano
- le presentazioni delle canzoni erano in italiano
- le slides passate sugli schermi spiegavano il milanese… in italiano
- la gente seduta tra i tavoli parlava in italiano
A poco serve che i discorsi vertano sull’importanza del dialetto, sul dispiacere che nessuno parli dialetto, sulla necessità di tornare a parlare in dialetto senza vergogna, sul bisogno di risentire il dialetto in strada, pubblicamente, se per farlo usi solo e soltanto l’italiano. È vero, bisogna tornare a farci l’abitudine: ma se non si inizia mai, quando si pensa che si potrà invertire la tendenza?
Gli organizzatori della Giornata del Dialetto Milanese ci avevano visto bene, in fondo: il milanese non si salva solo con proverbi, canzonette, filastrocche o modi di dire (per quanto simpatici o spiritosi possano essere), ma tornando a usarlo per le vie, nei negozi, tra persone che non necessariamente si conoscono. Tutto questo alla festa serale è mancato quasi del tutto.
Ora, sarebbe giusto chiedersi il perché di questo. La ragione in fondo è semplice: a Milano, nella cultura così come nell’opinione pubblica, è assente qualsiasi forma di consapevolezza linguistica.
Nel corso dei decenni il prestigio del milanese (una delle varianti più importanti nel sistema lombardo, spesso usato come koinè in regione, e con la letteratura più cospicua) è inesorabilmente crollato: la maggior parte dei milanesi lo ha rigettato senza troppi rimorsi (se non tardivi), optando per un italiano sempre più standardizzato – e che anzi, al giorno d’oggi si candida a essere la vera variante standard dell’italiano contemporaneo.
Il milanese, come tanti altri “dialetti”, viene vissuto solo come qualcosa di simpatico, che si è sentito in qualche canzone di Jannacci o Svampa: in fin dei conti, un registro molto basso della lingua di tutti i giorni, cioè l’italiano. E chi ancora oggi coltiva con amore la lingua locale, ne è geloso, e non vuole condividerla con gli estranei, o con le nuove generazioni. Questo, è normale, toglie ancora più spazio pubblico al milanese.
È quindi un compito duro, arduo, spiegare ai milanesi quanta dignità ci sia in quella che è la lingua indigena della loro metropoli, e quanto gusto ci possa essere nel tornare a usarla (almeno per chi la conosce). Il milanese, ripetiamo, non è solo scioglilingua alla tì che te tacchet i tacch o modi di dire tipo scarliga merluzz che l’è minga el tò uss: è (stato?) storia, vita, cultura, passioni, ma anche quotidianità, lavoro, affetti di tutti i giorni, litigate. Una lingua normale, insomma. Fuori da Milano, in provincia, spesso è ancora così.
Sotto quest’ottica, bisogna dire che la nascita di una Giornata del Dialetto Milanese è solo positiva: se riuscirà, negli anni a venire, ad accendere un dibattito sull’uso della lingua in città, e a darle maggiore spazio, se ne avranno moltissimi vantaggi. È chiaro, “Roma non è stata fatta in un giorno” (e neanche Milano): non si può pretendere da un giorno all’altro un trionfo di consapevolezza e coscienza linguistica, dopo decenni di anestesia.
Confidiamo che nelle prossime edizioni il clima cambierà: noi del CSPL siamo pronti a dare il nostro contributo, a Milano e nel resto della Regione e del Paese. E intant che spettom, andaremm inanz a parlà la nostra lengua tucc i dì.
Non ci resta altro che attendere l’edizione 2017 della Giornata del dialetto milanese.