Il galloitalico è da decenni al centro di un paradosso. Nonostante i suoi tratti linguistici galloromanzi che lo uniscono al francese e all’occitano, molti lo associano al gruppo italoromanzo assieme all’italiano, al siciliano e al napoletano.
Nel corso delle mie ricerche ho voluto vederci chiaro, dunque ho studiato a fondo la questione in collaborazione con Lissander Brasca. I risultati dello studio sono stati pubblicati nell’articolo scientifico Revisiting the classification of Gallo-Italic: a dialectometric approach. Qui di seguito troverai un riassunto dei punti principali.
Il Paradosso del galloitalico
Il galloitalico è un gruppo linguistico che comprende piemontese, lombardo, ligure, emiliano e romagnolo. Queste lingue sono unite da varie caratteristiche comuni, e la linguistica è unanime nell’accettarle come lingue “sorelle” per via delle loro reciproche somiglianze.
Le lingue galloitaliche sono divise dal resto delle parlate italiane dalla linea Rimini-La Spezia. Si tratta di una linea immaginaria che attraversa l’Italia sullo spartiacque degli Appennini. Tecnicamente viene chiamata isoglossa, ossia una linea che delimita l’area di un territorio dove è presente un determinato tratto linguistico comune. Poiché la linea Rimini-La Spezia marca la presenza di una serie di tratti linguistici (e non un unico tratto), viene considerata un fascio di isoglosse.
E qui si arriva al paradosso.
Da una parte, la Rimini-La Spezia è regolarmente accettata come il fascio d’isoglosse più importante nell’intero universo delle varietà neolatine già dai lavori di Bartoli (1936) e Wartburg (1950). Nonostante ciò, molti testi si riferiscono spesso all’insieme delle varietà neolatine d’Italia con il termine “italoromanzo” (includendovi il Galloitalico, nonostante il nome stesso alluda alla sua appartenenza al gruppo galloromanzo assieme al francoprovenzale e all’occitano).
Questo però vorrebbe dire che l’isoglossa più importante non sarebbe la Rimini-La spezia, ma corrisponderebbe invece alle Alpi, dove il presunto italoromanzo confina con il galloromanzo.
Secondo questa congettura, il gallo-Italico sarebbe linguisticamente più vicino alle varietà a sud della Rimini-La Spezia di quanto lo sia all’occitano o al francoprovenzale.
Il paradosso nasce dal fatto che queste due posizioni sono logicamente irriconciliabili:
la Rimini-La Spezia non può essere l’isoglossa più marcata del mondo neolatino e allo stesso tempo essere meno marcata di una presunta isoglossa alpina.
In altre parole, se il galloitalico è linguisticamente italoromanzo, allora la Rimini-La Spezia è un’isoglossa relativamente minore, perché sufficientemente marcata solo per separare varietà all’interno dello stesso sottogruppo (ovvero il presunto italoromanzo “del nord” e italoromanzo “del sud”).
Questa posizione sembra immediatamente insostenibile, perché se fosse vera significherebbe che l’isoglossa che corre tra piemontese e occitano è più marcata della Rimini-La Spezia, cosa che nessun linguista ha mai affermato.
Le Origini del paradosso: due cause concorrenti
Da dove nasce quindi questo paradosso? Com’è possibile che due posizioni così contraddittorie e irriconciliabili siano ancora presenti in alcuni testi di linguistica?
Il paradosso nasce da 2 problemi presenti nello sviluppo della letteratura specialistica.
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Un miscuglio di genealogia e sociolinguistica
Il primo problema riguarda l’uso inadeguato di criteri sociolinguistici misti a criteri genealogici, di cui si è occupato Lissander Brasca nella sua ricerca (Brasca, 2015; 2016).
Come affermato da Brasca, la mescolanza di criteri sociolinguistici a criteri genealogici dà vita a pseudo-classificazioni che sono tassonomicamente nulle nonché scientificamente inservibili.
Parafrasando il lavoro di Brasca, sarebbe come se un biologo affermasse che il cane (C. l. familiaris) e il gatto (F. s. catus) sono più genealogicamente vicini di quanto lo siano cane e lupo perché cane e gatto sono entrambi animali domestici, mentre il lupo è animale selvatico. E’ chiaro che nessuna tassonomia seria può emergere da tali confusioni metodologiche.
Ovviamente non tutta la letteratura specialistica pecca di tali confusioni tassonomiche. Molti ricercatori hanno sviluppato classificazioni secondo i criteri del metodo comparativo, sviluppando tassonomie basate sulla misurazione di innovazioni sistematiche e pervasive.
Questo però ci porta al secondo problema che ha dato vita al paradosso del galloitalico come presunto italoromanzo, ovvero la soggettività inerente nella ricerca qualitativa, di cui la tradizione dialettologica fa parte.
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Soggettività nei criteri di classificazione
L’impronta qualitativa della dialettologia storica ha portato molti dialettologi a fare scelte soggettive di tratti linguistici particolari da includere nella loro analisi. In sostanza, varie proposte di classificazione sono spesso basate su criteri che sono stati fissati dalle scelte personali degli autori.
Per esempio, Pei (1949) propose una classificazione di alcune varietà neolatine basata esclusivamente sullo sviluppo delle vocali toniche.
Politzer (1947) diede importanza particolare alla conservazione sincronica del plurale sigmatico (il plurale in -s) nella sua classificazione delle varietà neolatine d’Italia.
Non sorprende quindi che le classificazioni che emergono sono spesso radicalmente diverse, a seconda dei tratti prescelti e/o del valore che i diversi dialettologi hanno dato a particolari tratti.
Questo problema della soggettività è stato sollevato diverse volte nella letteratura moderna.
Esperti di comparazione quantitativa (per es. McMahon e McMahon, 2005; Starostin, 2010; Szmrecsanyi e Wolk, 2011) hanno fatto notare la contraddizione implicita nella dialettologia comparativa: una disciplina che si pone di estrapolare cambiamenti sistematici e pervasivi ma fa uso di tratti linguistici selezionati a priori, e quindi non estrapolabili per definizione.
E’ chiaro che questa contraddizione nasce dal bisogno che la dialettologia comparativa tradizionale aveva nel dover scegliere un numero trattabile di caratteristiche (all’epoca non esistevano sistemi di elaborazione di big data). Allo stesso tempo però, la selezione di tratti specifici dà vita ad analisi necessariamente soggettive, con il rischio che i risultati producano classificazioni erronee dal momento che i tratti selezionati a priori diventano eccessivamente influenti nell’analisi finale. Come affermato da McMahon e McMahon (2005), questo mette in dubbio la potenziale scientificità della procedura, a meno che non venga rinforzata con l’aggiunta di una dimensione quantitativa.
Una soluzione quantitativa: la dialettometria
Ed è proprio questo problema che il mio contributo di ricerca, con la collaborazione di Lissander Brasca, cerca di risolvere. In particolare, il mio contributo è stato nell’applicare le tecniche dialettometriche alla questione del galloitalico, proprio perché la dialettometria – al contrario della dialettologia tradizionale – non seleziona tratti linguistici a priori, ma permette di estrarre configurazioni tassonomiche dai dati quantitativi.
Ne consegue che le analisi dialettometriche offrono classificazioni maggiormente oggettive e sistematiche che potrebbero essere sfuggite all’occhio della dialettologia tradizionale e dei suoi metodi qualitativi (Nerbonne e Kleiweg, 2007; Goebl e Schiltz, 1997).
Dialettometria: i dati
Il lavoro in questione include l’analisi quantitativa attraverso la misurazione della distanza di Levenshtein, un sistema di misurazione quantitativa già usato con successo nella classificazione dei dialetti dell’Irlanda (Kessler, 1995), dell’Olanda (Heeringa, 2004; Nerbonne, 2005; Nerbonne et al, 1996) e della Norvegia (Gooskens and Heeringa, 2004). Nel nostro caso, la misurazione è stata fatta tra i foni[1] dei lessemi contenuti in tre liste di significati: Swadesh 100, Swadesh 200, Leipzig–Jakarta.
I lessemi sono stati raccolti da due atlanti linguistici:
- Atlante linguistico ed etnografico dell’Italia e della Svizzera meridionale (Jaberg e Jud, 1928–40);
- Atlas Linguistique de la France (Gilliéron e Edmont, 1902).
L’analisi è stata condotta sulle 24 varietà riportate nella cartina sotto con aggiunta dell’italiano standard e del francese standard, per un totale di 26 varietà e 223 lessemi distinti per ogni varietà (per un totale di 5876 misurazioni di distanza Levenshtein tratte da oltre 30mila comparazioni segmentali):
Risultati
La Rimini-La Spezia emerge inequivocabilmente dall’analisi multivariata come il fascio di isoglosse maggiore, come si vede dal fatto che le varietà a nord e quelle a sud appaiono in gruppi separati:
Il gruppo galloitalico emerge come gruppo relativamente omogeneo, con le varietà emiliane leggermente rimosse dal nucleo principale.
La classificazione del galloitalico emerge come chiaramente galloromanza, con la Rimini-La Spezia che lo separa dall’italoromanzo.
Particolarmente degno di nota è Loiano (Bo) che dista da Barberino (Fi) circa 25 km in linea d’aria e da Parigi circa 900 km, eppure il suo dialetto è genealogicamente più vicino a quello parigino che non a quello di Barberino, confermando ancora una volta come la Rimini-La Spezia sia un fascio nettamente più robusto di qualsiasi isoglossa alpina.
L’analisi dialettometrica conferma dunque la classificazione del galloitalico come ramo del galloromanzo, in linea con il lavoro di Schmid (1956), Bec (1970–1971), e Hull (1982), ma in opposizione al punto di vista che, paradossalmente, vede il galloitalico come italoromanzo nonostante lo spessore ampiamente accettato della Rimini-la Spezia.
Per saperne di più
A questo indirizzo puoi trovare il link all’articolo completo (in inglese) redatto da M. Tamburelli e L. Brasca:
https://www.bangor.ac.uk/linguistics/about/m_tamburelli.php.en
Note
[1] Le misurazioni comprendono quindi valori fonetici, ma anche morfologici, dovuto al fatto che i foni nella periferia destra della parola hanno spesso valore morfologico. Le differenze lessicali vengono poi misurate indirettamente attraverso la misurazione fonetica dei lessemi.
Bibliografia
Bartoli, M. (1936). Caratteri Fondamentali delle Lingue Neolatine. Archivio Glottologico Italiano , 28: 97-133.
Bec, P. (1970-1971). Manuel pratique de philologie romane. A. and J. Picard, Paris.
Brasca, L. (2016, 5-6 maggio). Some issues in the classification of Gallo-“Italic” within the Romance family. Oral presentation at the CLOW#2 Conference (Contested Languages in the Old World). University of Turin, Italy.
Brasca, L. (2015, maggio). Abstand & Ausbau en la clasificación de las lenguas románicas. Oral presentation at Universidade de Santiago de Compostela, Galicia.
Gilliéron J., Edmont, E. (1902). Atlas linguistique de la France. Champion.
Goebl H., Schiltz G. (1997). A dialectometrical compilation of CLAE 1 and CLAE 2: Isoglosses and dialect integration. Computer developed linguistic atlas of England (CLAE). Tübingen: Max Niemeyer Verlag 2.
Hull, G. (1982). The linguistic unity of northern Italy and Rhaetia. Ph.D. thesis, University of Sydney.
Jaberg K., Jud J. (1928-40). Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, Zofingen.
McMahon, A. and R. McMahon. (2005). Language Classification by Numbers. Oxford: Oxford University Press.
Nerbonne J., Kleiweg, P. (2007). Toward a dialectological yardstick. Journal of Quantitative Linguistics, 14(2-3): 148-166.
Pei, M. A. (1949). A new methodology for Romance classification. Word, 5 (2), 135-146.
Politzer, R. L. (1947). Final-s in the Romania. Romanic Review, 38(2): 159-166.
Wartburg, W. von (1950). Die Ausgliederung der Romanischen Sprachräume. Bern: Verlag Francke.
Schmid, H. (1956). Über Randgebiete und Sprachgrenzen. Vox Romanica XV. Francke, Bern.
Starostin, G. (2010). Preliminary lexicostatistics as a basis for language classification: A new approach. Journal of Language Relationship, 3: 79-117.
Szmrecsanyi, B., & Wolk, C. (2011). Holistic corpus-based dialectology. Revista Brasileira de Linguística Aplicada, 11(2), 561-592.