Il francoprovenzale, nel panorama delle lingue romanze e di quelle minoritarie, è un caso interessante da studiare:
- per il suo essere riconosciuto “lingua” nonostante la sua grande frammentazione dialettale
- per il suo essere parlato in tre Stati diversi divisi dalle più alte montagne d’Europa
- per i suoi caratteri linguistici comuni in un mare di varianti locali
- per la sua storia complicata e sofferta
In questo articolo cercherò di raccontare quello che c’è da sapere di fondamentale su questa lingua.
Origine del nome
Il nome francoprovenzale venne coniato, come vedremo, nel 1878 dal famoso linguista Graziadio Isaia Ascoli. Con questo nome, che egli scriveva franco-provenzale, intendeva indicare una serie di parlate che possedevano caratteristiche sia della lingua d’oc che della lingua d’oïl, senza appartenere precisamente a nessuno dei due gruppi.
Il termine ha avuto un buon successo nella letteratura scientifica, ed è usato tutt’ora.
Una denominazione più moderna è arpitano: il termine è nato negli Anni Settanta ad opera di militanti e attivisti per la tutela di questa lingua.
Modellato sulla parola occitano, il nome “arpitano” (da arp, che significa “montagna, luogo elevato”), è un termine vorrebbe superare il vecchio nome francoprovenzale, ritenuto simbolo di sudditanza culturale nei confronti di altre lingue, oltre che poco chiaro.
Nonostante questo, il termine più utilizzato negli studi linguistici e nelle leggi di tutela di questa lingua rimane il “vecchio” francoprovenzale.
Il nome locale con cui storicamente è stato chiamato dai suoi parlanti è patois o patouè, termine di origine francese con sfumature simili a quelle dell’italiano “dialetto”, oppure parlà a nòtra moda (“parlare alla nostra maniera”).
Il dibattito scientifico
Il francoprovenzale è stato ignorato per secoli dagli studiosi, e ritenuto più che altro un dialetto francese. Addirittura, nel Saggio sui dialetti gallo-italici del 1853 Bernardino Biondelli inserisce nel piemontese anche alcune varietà arpitane delle valli torinesi.
A riconoscere per primo la specificità di questa lingua è Ascoli nel 1873 coi suoi Schizzi franco-provenzali. Il linguista goriziano individuò una serie di tratti fonetici che mettevano queste parlate in una posizione intermedia tra francese e provenzale.
Tuttavia ci vorrà un dibattito molto lungo prima di appurarne l’alterità rispetto agli altri sistemi linguistici francesi.
Le critiche furono più numerose da parte dei linguisti francesi, mentre gli italiani seguivano perlopiù la linea di pensiero dell’Ascoli. I francesi, in particolare, mostrarono molti dubbi sull’opportunità di accomunare tanti dialetti diversi in una sola lingua sulla base di pochi tratti fonetici.
In questo dibattito possono esserci stati anche echi politici: gli studiosi francesi erano poco disposti a riconoscere l’esistenza di un nuovo gruppo linguistico autonomo (al pari del provenzale) dalla lingua d’oïl; per esempio, poteva danneggiare la causa della difesa della lingua francese in Val d’Aosta, che veniva insidiata da una crescente italianizzazione.
Gli studiosi svizzeri e tedeschi, nonostante alcune prudenze iniziali, finirono per accettare la teoria di Ascoli: dopo qualche resistenza, anche la linguistica francese cedette e si adeguò al resto della comunità scientifica.
Diffusione del francoprovenzale
Come ho già ricordato, nel 1878 Ascoli basò la specificità del francoprovenzale su una serie di aspetti fonetici, soprattutto per quel che riguarda l’evoluzione della A tonica libera del latino.
- PRATU -> francese pré, occitano prat, francoprovenzale pra;
- PANE -> francese pain, occitano pan, francoprovenzale pan;
- CAPRA -> francese chèvre, occitano cabra, francoprovenzale tsevra;
- CANE -> francese chien, occitano can, francoprovenzale tseun;
Gli studiosi successori di Ascoli continuarono su questa strada: la delimitazione del dominio linguistico francoprovenzale venne così fatta elaborando una serie di isoglosse, per dividere la lingua dallo spazio francese ed occitano.
Per quello che riguarda il confine francoprovenzale-francese, la linea principale è quella dell’ossitonismo generalizzato, cioè la linea al nord della quale tutte le vocali atone finali (anche la A) sono mute.
Dunque:
- PORTA → francese porte [pɔrt], arpitano porta [‘pɔrta] (cf. occitano pòrta)
- CANTAT → francese chante [ʃãt], arpitano tsanta [‘θãta]/[‘tsãnta] (cf. occitano canta/chanta)
Ovviamente non mancano aree di transizione: per esempio a nord di Lione abbiamo [roz], [pɔrt] (“rosa, porta”) come in francese, ma vyà, rouà (“vita, ruota”), derivate da un precedente *vìa, *roùa.
Il confine tra arpitano e occitano invece viene individuato (già da Ascoli) nel trattamento diverso della A tonica libera di fronte alle consonanti palatali, per cui possiamo elaborare questo schema di massima:
- CANTARE → provenzale cantar, arpitano tsantà (cf. francese chanter)
- MANDUCARE → provenzale manjar, arpitano mandzé (cf. francese manger)
Tracciando queste linee (più altre), possiamo definire il dominio francoprovenzale nei seguenti limiti:
- Francia: la maggior parte della regione Rodano-Alpi e piccole porzioni della Franca Contea e dell’Alvernia;
- Svizzera: l’intera regione francofona, tranne il Cantone Giura e parte di quello di Berna;
- Italia: tutta la Val d’Aosta più diverse vallate della provincia di Torino: la valle dell’Orco e Soana, le tre valli di Lanzo, la val Cenischia, la media e bassa Val di Susa e la Val Sangone;
nel complesso, un territorio che ingloba anche città importanti come Lione, Ginevra, Grenoble, Chambéry, Losanna, Neuchâtel.
Nonostante tutto, i confini non sono facili da stabilire, né nei confronti del francese, né dell’occitano, e neppure (sul versante italiano) nei confronti del piemontese.
Nel territorio italiano, possiamo dividere sommariamente il francoprovenzale locale (ossia il dialetto valdostano) in tre macrovarianti:
- dialetto alto valdostano (con Aosta inclusa)
- dialetto basso valdostano
- dialetto delle valli piemontesi
La varietà di Cogne (AO) è molto più affine ai dialetti delle valli piemontesi, in virtù di lunghi scambi e contatti con quell’area.
In generale si ritiene che, nonostante una certa differenza tra alta e bassa valle, le varietà del dialetto valdostano mostrino una forte unitarietà.
La nascita della lingua francoprovenzale
Per spiegare le origini del francoprovenzale sono state avanzate diverse ipotesi:
- un particolare sostrato celtico comune: questa teoria (sostenuta da Clemente Merlo) però non è più accreditata, perché le testimonianze celtiche si riducono solo ad alcune parole e a parte della toponomastica;
- l’influenza delle antiche diocesi cristiane, i cui confini coincidono in parte con quelli linguistici, nonché alle antiche divisioni amministrative romane;
- l’influenza del burgundo, lingua germanica della popolazione che alla caduta dell’impero romano instaurò nella regione un regno autonomo; secondo questa ipotesi (sostenuta soprattutto dal tedesco von Wartburg), il burgundo avrebbe avuto per il francoprovenzale lo stesso ruolo che il francone ebbe per le lingue d’oïl; anche in questo caso, l’ipotesi è stata abbandonata, perché si è appurato che il burgundo non ha lasciato sufficienti tracce nell’arpitano, né lessicali né toponomastiche, da diventare decisivo per l’evoluzione del latino locale. Inoltre si è fatto notare che l’area linguistica francoprovenzale è ben organizzata attorno ai suoi due focolari, Lione e Ginevra, a differenza del regno burgundo, che era molto più spopolato.
Di conseguenza, l’ipotesi più accreditata pare essere quella che vede l’arpitano come normale sviluppo del latino locale.
L’area era inserita nella provincia della Gallia Narbonese, e il suo centro più importante era la città di Lugdunum (oggi Lione), che presto divenne la vera capitale delle Gallie. Un’altra direttrice della latinizzazione, più o meno contemporanea, giunse dall’attuale Canton Vallese.
La zona venne poi aggregata alla provincia delle Alpi Graie e Pennine, entrando così sotto la stessa amministrazione della Savoia e delle altre terre del dominio francoprovenzale.
Una grande importanza avrebbero avuto le vie di comunicazione, come quelle che da Aosta varcavano le Alpi attraverso i passi del Grande e del Piccolo San Bernardo.
L’analisi del lessico latino ci porta a pensare che in un primo momento ci sia stata una forte connessione con il resto della Gallia Narbonese, che in epoca più recente si è spostato verso il nord della Francia.
Nell’alto Medioevo, tra la fine dell’era merovingia e l’inizio dell’era carolingia (dunque attorno al VIII secolo), il Nord cominciò a gravitare maggiormente su Parigi, mentre il territorio francoprovenzale rifiutò alcune delle innovazioni linguistiche del francese d’oïl.
Da questo punto di vista, sembrerebbe che il francoprovenzale sia una forma più conservativa del francese antico, che resistette alle innovazioni settentrionali e, contemporaneamente, cominciò a svilupparne di proprie.
Tuttavia mancò un centro di irradiazione importante: né Lione né Ginevra svilupparono una variante colta, e adottarono presto il francese come lingua ufficiale. La frammentazione dialettale rimase e rimane tutt’ora molto forte.
Dal punto di vista storico, il dominio francoprovenzale non ha mai avuto un’unità politica, ma è stato soggetto a diversi paesi più o meno indipendenti, come la Savoia, il Forez, il Lionese, Bresse, e parte di altri paesi come il Delfinato e la Franca Contea meridionale: insomma, paesi non toccati subito direttamente dal dominio francese e parigino.
Un altro elemento di separazione è stato, in Svizzera, l’arrivo della riforma calvinista, che ha messo Ginevra e la Romandia in una posizione di antagonismo rispetto alle vicine potenze cattoliche; in questo modo, Ginevra perse anche il ruolo di centro attrattivo per il territorio francese circostante, come l’Alta Savoia o il Giura.
Storia moderna
Priva di una koiné, di letteratura e di centri prestigiosi, la lingua francoprovenzale subì impotente la progressiva avanzata del francese. In Francia, l’aggressiva politica di omologazione linguistica voluta dallo Stato a partire dalla Rivoluzione Francese diede i suoi frutti, portando il francoprovenzale sull’orlo dell’estinzione.
Oggigiorno la popolazione francese in grado di parlare il francoprovenzale è di poche migliaia di persone sparse per il territorio.
In Svizzera si ebbe una vicenda analoga, e oggi solo una percentuale minima di romandi conosce e usa la propria antica lingua madre.
In Italia la situazione è un po’ diversa: in Val d’Aosta il francoprovenzale riesce ancora a difendersi (nel prossimo paragrafo approfondirò la questione), mentre in Piemonte esso subisce innanzitutto un forte regresso a causa del diffondersi del piemontese e dell’italiano.
Inoltre, a differenza di quanto succede in Svizzera e in Francia, in Italia il francoprovenzale ha perlomeno un riconoscimento statale come lingua minoritaria ed è ufficialmente tutelato da alcune leggi dello Stato e delle Regioni in cui è parlato. Ne parlerò più diffusamente in uno dei prossimi paragrafi.
Il caso italiano
In Italia l’arpitano (sia in Val d’Aosta che in Piemonte) ha sempre avuto come “lingua tetto” il francese, che era lingua ufficiale – e di cultura – del Ducato d’Aosta e della Val di Susa anche sotto i Savoia. Di fatto però il francese non era parlato dalla popolazione e, come l’italiano in altre regioni, era conosciuto solo dalle classi alte.
Con l’Unità d’Italia iniziò una progressiva italianizzazione della valle. Chi si opponeva a questo disegno accentratore (per esempio il clero), preferì difendere il francese piuttosto che il “patois”, che di fatto era considerato una semplice appendice della grande lingua di Molière.
Ridurre la valdostanità al francoprovenzale, secondo questa scuola di pensiero, sarebbe stato un grave danno per l’identità dei valligiani. La vera utilità attribuita a questa lingua era quella di far fronte al piemontese, che cominciava a diffondersi nella valle ed era considerato un nemico mortale dell’anima francofona valdostana (ancora oggi il piemontese è parlato nella bassa valle, come a Pont-Saint-Martin).
Nonostante questo, si può dire che il padre della letteratura francoprovenzale fu proprio un religioso valdostano, l’abate Jean-Baptiste Cerlogne (1826-1910), autore anche di grammatiche e dizionari, e considerato tutt’ora un’istituzione.
La difesa del francese contro l’italiano assume nuovi significati ai tempi del fascismo: esso infatti tende ancora di più a cancellare la francofonia dalla valle, arrivando addirittura a italianizzare tutti i nomi dei paesi.
Saranno anche le idee e le testimonianze degli antifascisti valdostani (in primis Émile Chanoux, 1906-1944) a ispirare l’articolo 6 della Costituzione repubblicana, che afferma l’importanza di tutelare le minoranze linguistiche.
Tuttavia, nel corso del Novecento l’uso pubblico del francese viene inesorabilmente eroso, e anche la Chiesa locale rinuncia alla sua difesa. In ogni caso, gli accordi internazionali stretti dall’Italia con la Francia in seguito alla sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale la inducono a riconoscere il francese come lingua co-ufficiale in Val d’Aosta.
La vittoria dell’italiano sul francese però ha un risvolto inaspettato: infatti il francoprovenzale acquista un peso identitario maggiore, in quanto vera lingua natìa del popolo valdostano.
L’autonomismo regionale (spesso con posizioni di sinistra), a partire dagli Anni Settanta, comincia a rigettare il francese, lingua colonizzatrice alla pari dell’italiano, espressione dei notabili e della classe dominante. Il bilinguismo franco-italiano adottato a livello ufficiale continua, nei fatti, a ribadire la subalternità dell’arpitano, la lingua materna degli abitanti della Valle.
Anche grazie ai temi sollevati dal movimento linguistico arpitano, nel 1999 si arriva a votare una legge nazionale di tutela per le minoranze linguistiche, tra cui viene inserito anche il francoprovenzale valdostano e piemontese.
I problemi della tutela
La legge 482/1999 sancisce dunque la tutela delle popolazioni parlanti francoprovenzale. Tuttavia questa legge presenta molti problemi che, come nel caso di altre lingue come il walser, impediscono una tutela realmente efficace:
- il riconoscimento tardivo ha trovato in Val d’Aosta un bilinguismo decennale e ben consolidato francese-italiano, che non lascia molto spazio a una tutela più massiccia del francoprovenzale;
- in Piemonte, regione a statuto ordinario, le risorse e le competenze regionali per una tutela efficace sono molto minori;
- in base al principio di autocertificazione sancito dalla legge, si sono proclamati francoprovenzali moltissimi comuni dove in effetti questa lingua o è scomparsa da tempo, o non è mai stata parlata; questo riduce anche le risorse disponibili per i comuni dove si parla effettivamente francoprovenzale, e contribuisce a diffondere falsi miti linguistici che rendono molto difficile il lavoro degli attivisti delle lingue locali non ancora riconosciute (in questo caso, il piemontese);
- per ironia della sorte, alcuni comuni dove il francoprovenzale è attestato e ben vivo tutt’ora, non si sono dichiarati parte della minoranza linguistica;
- molte risorse vengono impiegate più per finanziare eventi folkloristici anziché per mettere in campo una politica di rivitalizzazione della lingua;
In ogni caso, al giorno d’oggi si ha il paradosso di una lingua ufficialmente tutelata in Italia e dimenticata in Svizzera e in Francia, al di là di alcune concessioni sulla toponomastica bilingue presenti in questi Stati.
Nonostante un sostegno pressoché nullo da parte dei mezzi di comunicazione, sono molte le attività culturali a sostegno della lingua francoprovenzale sul versante italiano.
Il francoprovenzale di Puglia
In provincia di Foggia, nei comuni di Faeto e Celle di San Vito, si conserva tutt’oggi una variante francoprovenzale. Così come avvenne per i “lombardi” di Sicilia e di Basilicata, anche questa colonia linguistica venne creata da gruppi di soldati d’area settentrionale al servizio degli Angioini. Essi, rimasti in quella terra, riuscirono incredibilmente a conservare la propria lingua, sebbene molto influenzata dalle parlate circostanti.
Anche questo dialetto francopronvenzale è oggi in pericolo, sia a causa della pressione dell’italiano e delle parlate pugliesi, sia per lo spopolamento tipico di molte zone rurali del Sud Italia. Nonostante ciò, negli anni è stato fatto un grandissimo lavoro di sensibilizzazione della popolazione sulla propria specificità rispetto a tutti gli altri paesi circostanti, e oggi il francoprovenzale è esibito con orgoglio, quale simbolo fondamentale dell’identità dei due piccoli comuni.
Caratteristiche linguistiche
Nota bene: in questo articolo parlerò soprattutto delle varietà di francoprovenzale parlate in Val d’Aosta: cercherò comunque di dare cenni anche per quelle parlate nell’area piemontese, francese e svizzera. La grafia utilizzata è quella adottata dalla Regione Val d’Aosta per le trascrizioni. Per la varietà di Ceres, ringrazio Diego Genta Toumazìna della consulenza; per quella di Coazze, ringrazio Carlo Pallard.
A causa della grande frammentarietà delle parlate arpitane, è molto difficile dare un profilo preciso delle caratteristiche di questa lingua. Tuttavia, da Ascoli in poi, non ci sono mai stati dubbi sulle caratteristiche unitarie che accomunano i diversi dialetti arpitani.
La A tonica libera latina si evolve a seconda della consonante che la precede: di fronte a consonante non palatale si conserva [a], mentre di fronte alle palatali si palatalizza a sua volta:
- CANTARE -> tsantà (cf. francese chanter)
- MANDUCARE -> mandzié (cf. francese manger)
In alcune varianti (per esempio in Val d’Aosta), le [a] si possono evolvere in [o] e le [e] in [i]:
- RAPA -> rava (Donnas, Fontainemore, Noasca, Ronco, Ceres), ro(v)a (Introd, Saint-Marcel, Rhêmes);
- PACARE -> payé (Aosta, Courmayeur), payì (Charvensod, Arnad, Saint-Marcel);
(nota bene: in molte varietà parlate in Italia si usa pagà, paghé, per influenza piemontese)
Un procedimento simile avviene con la A atona finale, che si palatalizza di fronte a consonante palatale:
- BARBA -> barba
- VACCA -> vatsi (a Saint-Marcel), vatchi (Noasca, Ala di Stura, Ceres, Coazze), vatche (Bruzolo)
All’infuori della A, così come avviene anche in francese, in occitano e nelle lingue dell’Italia del nord, tutte le altre vocali atone finali cadono.
- CANE -> tchin (Ronco Canavese, Ceres, Coazze, Noasca, Bruzolo, Faeto), tchun (Brusson), tsén (Saint-Marcel);
- CORPU -> còrp (Noasca, Ronco, Bruzolo), coùorp (Faeto);
- FALSU -> fò (Saint-Marcel), fàous (Ceres, Coazze, Noasca, Ala di Stura, Bruzolo), fâs (Brusson);
- FAME -> fam (Ceres, Coazze, Noasca, Ronco, Ala di Stura), fan (Brusson, Saint-Marcel, Rhêmes);
- TUNDU -> tound (Noasca, Ronco, Bruzolo)
La U si conserva solo nei proparossitoni latini, o come vocale d’appoggio, sotto forma di [u] od [o]:
- ALTĔRU -> ótrou (Hône), ótro (Rhêmes, Saint-Marcel), âtrou (Noasca), àoutro (Ronco Canavese), atro (Savièse);
- ASĬNU -> da un antico *asno -> onou (Hône), ono (Saint-Marcel, Rhêmes), anno (Brusson), ano (Savièse);
- ARBŎRE -> abrou (Hône, Saint-Marcel, Cogne), abro (Rhêmes, Aosta, Savièse);
- *BUTĬRU -> beuro (Rhêmes), beurou (Saint-Marcel), bùarou (Bruzolo), bouèrou (Ceres) e, con cambiamento di accento boró (Savièse);
- CUBĬTU -> da un antico *coùbdo -> coùdou (Ala di Stura), coùddou (Hône), quéddou (Ceres), goùmou (a Bruzolo), ghëmmou (a Coazze) e, con spostamento di accento, coudoù (Noasca), coudó (Savièse);
- HOMĬNE -> da un antico *omno -> ommou (Champorcher, Cogne, Hône), ommo (Aosta, Courmayeur), omo (Savièse);
- IUVĔNE -> dzoùvenou (Le Chenit), dzoouénó (Savièse), dzouènou (Hône), djonou (Ronco Canavese);
La [o] si conserva anche nella desinenza della prima persona singolare:
- TREMULO -> tremblo (cf. francese [je] tremble)
Per le consonanti, abbiamo l’indebolimento delle vocali occlusive (come in francese, occitano e nelle lingue dell’Italia del nord):
- RAPA-> rava (cf. francese rave)
- FABA -> fava (cf. francese fève)
- PACARE -> payé, payié (cf. francese payer)
- VITA -> viya, vyà (cf. francese vie)
Inoltre, come in francese e nell’occitano settentrionale, c’è la palatalizzazione dei gruppi latini CA e GA, con esiti diversi a seconda del paese:
- BUCCA -> bòtse (Courmayeur, Savièse), boutchi (Ala di Stura, Ceres) e, con spostamento di accento, boutchì (Ronco Canavese);
- CAPRA -> cìevere (Faeto), tchivra (Brusson), tsivra (Saint-Marcel), tchévra (Bruzolo, Ceres, Rhêmes), tchéivra (Savièse), tchéoura (Coazze);
- GAMBA -> *CAMBA -> tsamba (Savièse, Saint-Nicolas, Fénis), tchamba (Brusson, Noasca, Ronco Canavese), tcheumba (Ceres), tchëmba (Coazze);
Tra le caratteristiche più curiose, c’è una forte mobilità dell’accento, che tende a creare nuove parole ossitone, per esempio vyà, farnà, rouà (vita, farina, ruota): questo fenomeno, diffuso soprattutto in Francia, lo possiamo vedere in Val d’Aosta, dove accanto a roùa (Savièse, Rhêmes, Bruzolo, Ceres, Coazze, Ala di Stura, Noasca) abbiamo anche rouà (ad Arnad, Ayas, Brusson, Challand Saint-Anselme, Challand-Saint-Victor) e roà (Ronco Canavese); tale caratteristica è presente anche in alcune parlate piemontesi del Canavese (per esempio a Corio, la roà).
Dal punto di vista morfologico, possiamo ricordare che:
- come in francese, i verbi riflessivi si compongono mettendo il pronome personale prima del verbo: per esempio se lavé lo vezadzo (“lavarsi la faccia”); questo però non accade nelle varietà piemontesi, che seguono il modello “italiano”, ottenendo quindi lavàsse lo moùro (Ronco Canavese), lavassi lo moùarou (Noasca);
- la negazione è sia preverbale che postverbale (come nel francese classico), anche se si semplifica come solo postverbale (come in francese colloquiale e in piemontese): per esempio a Saint-Marcel que no la trouvìn po (“che non la trovassimo”), a Bruzolo que noun la trouvèssam pa, mentre a Noasca qu’i la troùegn gnan;
- in alcune varianti esistono le forme notron, votron (“nostro, vostro”), per analogia con mon, ton, son;
- nelle varianti parlate in Italia, è presente un pronome verbale obbligatorio, come nelle lingue galloitaliche: per esempio ou fa ([egli] fa);
Il lessico è molto affine a quello francese: in Val d’Aosta e nelle valli piemontesi però si riscontra anche una certa influenza del piemontese:
- azou (“asino”), cf. piemontese aso
- bacan (“sciocco”), cf. piemontese bacan
- bagnet (“salsa verde”), cf. piemontese bagnet
- baquet (“bastone”), cf. piemontese bachet
- begat (“baco da seta”), cf. piemontese bigat
- bouréc (“asino”), cf. piemontese borich
- djovou (“giovane”), cf. piemontese giovo
- dzenoria (“gentaglia”), cf. piemontese genòria
- om (“uomo”), cf. piemontese òm
- pieunta (“albero”), cf. piemontese pianta
Ascolta il francoprovenzale
Un racconto nel dialetto francoprovenzale di Balme, in provincia di Torino:
Bibliografia e sitografia consultata
- Bernardino Biondelli, Saggio sui dialetti gallo-italici, Milano, Bernardone, 1853.
- Philippe Sirice, Glossaire des patois de la Suisse Romande, Losanna, 1866.
- Graziadio Isaia Ascoli, Schizzi franco-provenzali, in Archivio Glottologico Italiano, vol. 3, 1877.
- Jean-Baptiste Cerlogne, Dictionnaire du patois valdôtain précédé de la petite grammaire, Aosta, Imprimerie Catholique, 1907.
- Karl Jaberg, Jakob Jud, Sprach und Sach-Atlas Italiens und der Südschweiz, 1928-1940 (per il francoprovenzale abbiamo Rhêmes al punto 121, Saint-Marcel al 122, Brusson al 123, Noasca al 131, Ronco Canavese al 132, Ala di Stura al 143, Bruzolo al 142; per il confronto con il canavese, c’è Corio al punto 144; per l’arpitano pugliese, Faeto è al numero 715).
- Jean-Baptiste Martin, Francoprovençal, in AA. VV., Lexicon der Romanistischen Linguistik (LRL) vol. V,1, Tubinga, Max Niemeyer Verlag, 1990.
- Tullio Omezzoli, Lingue e identità valdostana, in AA. VV., Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi: la Valle d’Aosta, Torino, Einaudi, 1995.
- Marco Perron, Unitarietà e variabilità lessicale nelle parlate francoprovenzali della Valle d’Aosta,in AA. VV., Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi: la Valle d’Aosta, Torino, Einaudi, 1995.
- Fiorenzo Toso, Le minoranze linguistiche in Italia, Bologna, Il Mulino, 2008.
- http://www.patoisvda.org/it” rel=”nofollow” target=”__blank” (sito regionale valdostano sul francoprovenzale, con grammatica, glossario e registrazioni orali).
- Vivaio Acustico delle Lingue e Dialetti d’Italia (ViVaLDI), che per la Val d’Aosta registra i comuni di Brusson, Cogne, Courmayeur, Fénis, Rhêmes-Saint-Georges, Saint-Marcel, Saint-Nicolas, Saint-Rhémy-en-Bosses, Valtournenche.
- patwe.ch, con un dizionario del dialetto di Savièse (canton Vaud).