La traduzione di Facebook in sardo non è passata inosservata: al contrario, è stata raccontata e illustrata da molti giornali, anche on line.
In effetti, a pensarci bene, non è una notizia che si sente tutti i giorni: a molti sarà parso strano, curioso, forse anche buffo vedere il grande social network tradotto in uno dei “dialetti” d’Italia; e, tra tutti, uno di quelli più pittoreschi ed “esotici”. Allo stesso modo, pensare a quei volontari che per settimane si sono messi a tradurre in sardo ogni messaggio, didascalia e stringa di FB, può fare sorridere.
E in fin dei conti, può capitare di pensare: ma era davvero necessario, o utile?
Per quel che ci riguarda, la risposta è solo una: sì! Operazioni come questa sono fondamentali in un discorso di salvaguardia delle lingue
locali.
Il nostro tempo richiede agli attivisti per le lingue minoritarie un grande sforzo: riuscire a far capire che esse sono lingue normali, come tutte le altre. Lingue con cui, certo, si possono rievocare i bei tempi antichi; ma con cui si può anche vivere tranquillamente nella società globale del XXI secolo. Lingue in cui si possono recitare le vecchie cantilene, le canzoni tradizionali, i proverbi popolari; ma con cui si può anche messaggiare, chattare, condividere un post, mettere un “mi piace”.
Altrove questa cosa è già stata capita: infatti, accanto al sardo, sono molte le lingue locali con cui si può accedere a FB. Tra di esse citiamo:
- il basco (714.000 parlanti)
- il bretone (206.000 parlanti)
- il faroese (80.000 parlanti)
- il frisone (500.000 parlanti circa)
- il gaelico irlandese (380.000 parlanti)
- il gallese (791.000 parlanti)
- lo slesiano (509.000 parlanti)
Insomma, tutte lingue che non superano il milione di locutori. Eppure, sono presenti su un social che mette in comunicazione miliardi di persone nel mondo, accanto a inglese, cinese, francese e spagnolo! E in tutto questo, ovviamente, non c’è niente di buffo, o insolito.
Va anche ricordato che lo “sbarco” delle lingue regionali italiane su Internet ha una storia ormai rispettabile: basterebbe ricordare l’esistenza decennale delle versioni di Wikipedia in piemontese, siciliano, lombardo, emiliano, veneto, friulano, napoletano, tarantino… e, ovviamente, c’è anche l’edizione in lingua sarda.
Questi progetti sono una grande palestra di allenamento:
- per gli attivisti, che in questo modo possono esercitarsi nell’esplorare le possibilità della lingua che difendono e coltivano;
- per i semplici parlanti, che così possono capire come e quanto la loro lingua madre abbia la capacità di resistere al tempo che cambia;
Per tutti quanti, dunque, è una sfida. Ed è per questo che queste inizative vanno prese sul serio da tutti noi, e incoraggiare il più possibile.
Dunque, facciamo i complimenti ai volontari che hanno compiuto l’impresa, augurando loro che il loro sforzo venga ripagato. E, allo stesso tempo, cominciamo a pensare se non è il caso di fare lo stesso passo con le tante lingue locali italiane che su Facebook hanno ancora poca voce.