Gli Elio e le Storie Tese (in attività dal 1980 al 2018) sono stati uno dei gruppi più originali della scena musicale italiana.
Il loro stile, riconoscibilissimo, ha sempre unito un’approfondita ricerca musicale, esplorando e fondendo molti generi diversi: non c’è da stupirsi nel notare che questo accada anche con le scelte linguistiche.
Sebbene i membri del gruppo siano in gran parte originari di Milano (e questo si nota subito dall’accento e dalla cadenza del cantante), non si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un italiano localizzato regionalmente.
Gli “Elii” amano molto giocare con la lingua, mischiando insieme moltissimi registri: da quello più triviale allo slang giovanile (vero o inventato) a forme più controllate, se non quasi auliche.
In questo gioco vengono incluse anche molte altre lingue: tra quelle presenti nelle opere del complesso troviamo l’inglese, il francese, lo spagnolo, il tedesco, il latino, il bulgaro, il croato, il giapponese, ma anche il turco e il tamil.
Le lingue locali
All’elenco, ovviamente, non possono mancare le nostre lingue locali.
Gli esempi di regionalismi (di vario genere) sono molteplici: da John Holmes che da piccolo viene scherzato allo sfaccimme che esce dai poveri “servi della gleba”; dal pennarello che scrive biango [TVUMDB, 1996] alla donna conducente del bus che fa venire il nervus; dal pilota che si spetascia al suolo con l’aliante [El Pube, 1996] al ragazzo sospetto buliccio [Lo Stato A, lo Stato B]; dalla boirnarde (cioè “bernarda”) che piace un po’ a tutti [La Chanson, 2003), al büs del member che vince le elezioni del corpo umano [Il congresso delle parti molli, 2008].
Se dunque in molti brani vengono citate parole, brevi espressioni o incisi, ci sono in particolare sei brani in cui il loro uso ha un ruolo fondamentale.
Uomini col borsello
Uno dei brani portanti dell’album İtalyan, Rum Casusu Çiktı. La canzone vanta la collaborazione del gruppo folk irlandese dei Chieftains, di Riccardo Fogli e soprattutto di Sir Oliver Skardy, leader del complesso reggae veneziano dei Pitura Freska.
Verso la fine della canzone, poco prima dell’assolo di chitarra, Skardy intona un ritornello completamente in veneto:
Oi ti fìa, méniteła da soła
faghe véder tuti che ti ze sgarzoła:
só al Parco Capeło, só senpre a tracoła,
el mè ripien te fa goła:
vèrzime co ła ciave che ti ga in cuor,
fùmite un spineło, fame far l’amor:
l’amor sfacià che nisuni te ga dà,
sora go un carteło co scrito “só el pì beło”.
Ciuke va de łe bone parchè ‘l ze un furegon,
mi só cuà co Elio scavesà e me fazo un tronbon.
Questo intermezzo verrà replicato in tutte le esecuzioni dal vivo del brano, e sempre mantenuto in veneto (per esempio da Feiez o da Rocco Tanica, due membri del gruppo). Tra le poche eccezioni a questa regola si annoverano delle traduzioni in lombardo da parte di Vittorio Cosma, musicista che spesso ha sostituito Rocco Tanica nei tour.
Lo stesso Skardy si è esibito diverse volte come ospite nei concerti del gruppo cantando la sua parte in veneto, spesso con delle varianti (come si nota, per esempio, nella versione presente nell’album Gattini, 2009).
Oi ti fìa, méniteła da soła,
vojo proprio véder se ti ze sgarzoła!
Só al Parco Capeło e só duro a tracoła,
el mè ripiej te fa goła;
vèrzime co ła ciave che ti ga nel cuor,
fùmite un spineło, fame far l’amor!
Só al Parco Capeło e só senpre de łegno
go el borseło in bueło e no ze pełe de ghigno!
Ciuke va de łe bone parchè ‘l ze un furegon,
mi só cuà co Elio scavesà e me fumo un tronbon.
Zelig: la cunesiùn del pulpacc
Brano composto verso la fine del 1989 e registrato nell’album Esco dal mio corpo e ho molta paura (1993).
Il brano si presenta come una parodia delle canzoni milanesi tradizionali, ed è dedicata al locale milanese dello Zelig, dove il gruppo teneva i primi concerti a metà degli Anni Ottanta, e dove si è legato ad altri protagonisti della comicità milanese del tempo. Per esempio, il pulpacc del titolo sarebbe un soprannome di Giancarlo Bozzo, proprietario dello Zelig (noto per le sue gambe spesse).
Di per sé la lingua della canzone non è propriamente un milanese corretto, sotto molti punti di vista: anzi, è davvero piena di strafalcioni!
Qüesta séra sün pròpi trist
vöri far tri pass a péd,
vöri andar in qüél bèl lücaal
döv se rid e se sta minga mal.
Cösa riden lo sa la Madòna,
con qüéi prèssi che g’han de pagà!
Mì me sembren vüna massa de pirla,
dré a plaüdì vün alter pirla…
Quel che interessava al gruppo nella canzone era, più che una ricostruzione filologica, il richiamo a certi cliché della canzone milanese classica: per esempio il rimpianto dei vecchi tempi andati.
Un’operazione simile verrà ripetuta nel 2003 con La Chanson, scritta in un francese molto maccheronico, il cui bersaglio è la musica dance francese degli Anni Settanta.
Li Immortacci
Brano meno conosciuto, contenuto nell’album Eat the Phikis (1996). La canzone è stata scritta con la collaborazione di Edoardo Vianello (che è anche ospite canoro) ed è integralmente in romanesco.
Del romanesco viene evidenziata soprattutto la vitalità e capacità di coniare nuovi soprannomi, legati ad alcune caratteristiche salienti dei personaggi menzionati nel brano:
- la Todrara (Giorgia),
- er Vuducialdaro (Jimi Hendrix);
- er Mafrodito (Freddie Mercury);
- er Rastamanno (Bob Marley);
- er Pelvicaro (Elvis Presley);
- er Trilleraro (Michael Jackson);
- er Lucertolaro (Jim Morrison);
- er Quattrocchi Immaginaro (John Lennon);
- er Fucilense (Kurt Cobain);
- er Piscina (Brian Jones);
Lo stesso titolo gioca con la celebre imprecazione romanesca e con l’argomento della canzone (cioè il fatto che la maggior parte dei cantanti morti in realtà è viva e vegeta a Roma a godersi la vita).
Il romanesco sarà poi protagonista anche della canzone Che felicità (dall’album Craccracriccrecr, 1999), eseguita dall’attore romano Giorgio Bracardi.
Sos epidos
Traccia conclusiva dell’album Del Meglio del Nostro Meglio, Vol. 1 (1997), non è cantata né scritta dal gruppo milanese, bensì dal complesso vocale sardo dei Tenores di Neoneli.
Il gruppo sardo, sulle note di un loro brano di repertorio, cantano una canzone perfettamente in linea con lo spirito beffardo del gruppo, imbastendo una sorta di denuncia nei confronti degli organizzatori dei tour che cercano di fare la cresta sui compensi degli artisti.
Sos epidos d’altronde in sardo significa “i debiti”.
S’annu passau totu s’Istivale
cantando a boghe manna ais girau:
ma de s’inare chi ais contrattau
bos epent unu mannu capitale.
A chi es bonu di torranta male
su furisteri est bene cumpensau;
b’at òmines fingios, a carota
chi sa ereta ti faent trota,
e nemancu un assegnu posdatau.
Mustasì
Il 23 dicembre del 1998 Paolo “Feiez” Panigada, sassofonista, polistrumentista e corista del gruppo, muore all’improvviso per un aneurisma cerebrale durante un concerto. La sua morte segna profondamente la carriera degli Elio e le Storie Tese, e questo si nota molto nell’album uscito nella primavera dell’anno successivo, Craccracriccrecr.
Se l’album si apre con la registrazione di un assolo di sax del compianto Feiez, verso la metà del disco giunge un brano strumentale, chiamato Mustasì. Questa è una parola cremasca (Feiez veniva da Crema) che indica un biscotto tradizionale di quella città.
È emblematico che per omaggiare l’amico scomparso, gli Elii abbiano voluto chiamare quella traccia con un dolce locale, scritto in lingua locale, della sua città di origine!
Parco Sempione
Unica vera canzone dedicata dal gruppo alla città di Milano (dall’album Studentessi, 2008) e alle sue problematiche.
Di fatti è un brano di denuncia nei confronti di Roberto Formigoni (ai tempi presidente della Lombardia), accusato di aver raso al suolo un boschetto nel quartiere Isola per erigervi sopra un grattacielo.
Contestualmente all’ambientazione milanese, nella canzone sono presenti ben due intermezzi in lombardo, questa volta piuttosto corretti dal punto di vista linguistico:
Dai, barbon, cerca de sonà mej,
che son dree a fà ballà i pee!
Anca se gh’hoo vottant’ann
voo giò in ballera con la mia miee.
Ohej, che dò ball! Te me s’ceppet l’oreggia,
tì, i tò sciavatt e i bonghi!
[…]
Ohej, te tiri ona pesciada in del cuu!
Va’ a ciappà i ratt!
Te pòdet vend domà el tò cicolatt!
Da notare cicolatt, mutuato da un termine italiano gergale per indicare le droghe leggere.
La presenza del milanese (indicato con sottotitoli-karaoke nel videoclip della canzone) inoltre contrasta con le sonorità africane del brano, come a indicare il melting pot della città lombarda.
Conclusione
Da questa breve analisi risulta chiaro come, negli esperimenti linguistici operati dal gruppo milanese, le lingue regionali abbiano una presenza notevole.
Certo, spesso le nostre lingue sono piegate agli intenti goliardici e parodistici della band: ma è ciò che succede anche ad altre lingue più “importanti”, come l’inglese (nei confronti del quale si ha addirittura un’invettiva fortissima in Parla come mangi, 2016) o del francese (“massacrato” senza pietà in La Chanson, 2003), allo stesso italiano.
Come si vede dagli esempi presentati, l’uso della lingua locale non è schiacciato su un solo uso, perché si passa dalla parodia alla complementarità con le strofe in italiano.
Insomma, appare chiaro che le lingue locali non vengono percepite come sottoposte all’italiano tout court, ma come uno dei tanti ingredienti utili per arricchire il pastiche linguistico degli Elii.
Bonus track
Per dare un ulteriore quadro del gruppo con le lingue regionali, ecco tre video interessanti.
Elio canta con i Tenores di Neoneli una traduzione in sardo della celebre La terra dei cachi:
Elio canta assieme a Nanni Svampa La busa noeuva, un grande classico della canzone milanese:
Elio, assieme a Vittorio Cosma e alla cantante Paola Folli, cantano una versione “alla Mario Biondi” di una delle canzoni più celebri di Giovanni D’Anzi: