La Calabria è sicuramente tra le regioni d’Italia più ricche dal punto di vista linguistico. Ma qui non si parla solo un dialetto calabrese…
Scopo del presente articolo è introdurti alla ricchezza linguistica calabrese, la quale è anche la prova di quanto sia stata ricca la storia della regione: la Calabria è stata infatti, per secoli, un ponte tra Occidente ed Oriente.
Le varietà italo-romanze calabresi
Con l’espressione varietà italo-romanze calabresi si vogliono intendere quelli che generalmente vengono definiti dialetti calabresi, cioè il complesso delle parlate romanze usate nel territorio della Regione Calabria appartenenti al sottogruppo italo-romanzo delle lingue neolatine (sottogruppo che dalla linguistica italiana viene fatto ascrivere all’italiano, facendo sì che le altre parlate del sottogruppo non vengano considerate come lingue separate – seppure imparentate – dall’italiano standard), che rappresentano la maggioranza linguistica dell’area.
Si parla di dialetti calabresi – al plurale – perché, nonostante l’opinione comune diffusa anche all’interno della regione,
non esiste un unico dialetto calabrese
Pertanto, è scorretto anche riferirsi a una lingua calabrese tipica della regione.
Quindi come si possono definire i dialetti della Calabria?
Diverse sono state le proposte di suddivisione delle parlate calabre; propongo per comodità quella di Falcone (1976), il quale suddivide i dialetti calabresi in 3 blocchi, appartenenti a due diversi gruppi italo-romanzi:
- I dialetti calabresi settentrionali, che approssimativamente coprono la parte centro-settentrionale della provincia di Cosenza, appartengono al gruppo definito meridionale, alto-meridionale, o meridionale intermedio (cioè quello che, come detto in un precedente articolo pubblicato qui nel sito del CSPL, l’UNESCO include nel napoletano/italiano meridionale).
- I dialetti calabresi centrali, che includono all’incirca le province di Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia, la parte meridionale della provincia di Cosenza, e l’estremo nord della città metropolitana di Reggio Calabria;
- I dialetti calabresi meridionali, parlati più o meno in corrispondenza della città metropolitana di Reggio Calabria: essi, assieme ai dialetti centrali, appartengono al gruppo meridionale estremo (il gruppo che l’UNESCO raggruppa nella lingua siciliana, e che comprende anche la Sicilia e il Salento).
A loro volta questi dialetti hanno le loro suddivisioni:
- I dialetti calabresi settentrionali contano il dialetto dell’Alto Ionio Cosentino, ma anche quello dell’Area Lausberg, che il prof. John Bassett Trumper, storico professore di glottologia presso l’Università della Calabria, a mio avviso giustamente considera separata [Trumper 1997]. Si tratta di una zona, a cavallo tra Basilicata meridionale e Calabria settentrionale, che possiede un vocalismo arcaico di tipo sardo – sebbene non tutti gli studiosi concordino del tutto nel definirlo “sardo” – e che prende il nome dallo studioso tedesco Heinrich Lausberg (1912-1992) che per primo la trattò seriamente [Fanciullo 2015]);
- I dialetti calabresi meridionali, invece, contano il dialetto reggino urbano (cioè il dialetto di Reggio Calabria e delle immediate vicinanze), i dialetti della Piana di Gioia Tauro, e quelli della Locride.
Il confine tra i dialetti settentrionali e quelli centro-meridionali – confine che segna quindi, in generale, anche la divisione tra varietà alto-meridionali e varietà meridionali estreme – è rappresentato dalla linea Cetraro-Bisignano-Melissa [Loporcaro 2013].
Dialetti calabresi: qualche caratteristica dei 3 blocchi
Ovviamente va detto che sono solo degli assaggi (quindi si tratterà solo di mostrare alcune delle caratteristiche e delle differenze, che non si esauriscono certo qui, soprattutto per quanto riguarda i dialetti settentrionali), e va anche considerato che le caratteristiche potrebbero non essere universali all’interno dei singoli blocchi.
Detto questo, vediamo un po’ qualche esempio.
Qualche caratteristica dei dialetti calabresi settentrionali
Partiamo con il nostro percorso parlando dell’Area Lausberg.
Ma che cos’è l’Area Lausberg?
L’Area Lausberg, come già accennato sopra, è una zona di confine tra Basilicata meridionale e Calabria settentrionale che sembra possedere un vocalismo tonico arcaico di tipo sardo (anche se non tutti i dialetti calabresi settentrionali appartengono a quest’area), ovvero un vocalismo in cui tutte le vocali latine, brevi e lunghe, si fondono in /a/, /e/, /i/, /o/, /u/ [Fanciullo 2015].
L’Area Lausberg si estende approssimativamente dal fiume lucano Agri a nord ai fiumi calabresi Crati e Coscile a sud [Loporcaro 2013].
Rispetto alla Calabria centro-meridionale, i dialetti calabresi settentrionali contano un minor numero di grecismi, frutto di una minore influenza greca. Il Rohlfs sosteneva infatti che – detto in estrema sintesi – viaggiando linguisticamente dal nord al sud della Calabria il loro numero tende a crescere sempre più [Fanciullo 2005]. Lo studioso tedesco sosteneva l’esistenza di “due Calabrie“, vale a dire la “Calabria latina” (pressappoco l’area dei dialetti settentrionali) e la “Calabria greca” (all’incirca quella di quelli centro-meridionali), distinte anche dal punto di vista culturale e storico. Ad esempio, la Calabria latina finisce laddove si arrestava la presenza dei Longobardi. Infatti l’area dei dialetti calabresi settentrionali è appartenuta per lungo tempo al Ducato di Benevento. Il linguista Gian Luigi Beccaria afferma addirittura che se non ci fossero stati i Longobardi probabilmente non ci sarebbe stata distinzione tra gruppo alto-meridionale e meridionale estremo [Beccaria 2010].
Come avviene altrove nel gruppo dei dialetti alto-meridionali, nel dialetto calabrese settentrionale è presente il troncamento delle desinenze dell’infinito, nonché lo “schwa” (IPA: [ǝ]), ovvero una vocale neutra, indistinta, debole (in fonologia si chiama anche “vocale centrale media”), la quale appare in posizione atona (cioè non accentata).
Qualche caratteristica dei dialetti calabresi centrali e meridionali
La congiunzione mu/mi/ma
Si tratta di una congiunzione che, come scrive il grande linguista tedesco Gerhard Rohlfs (1892-1986), si usa dopo i verbi del volere, del desiderare, del dovere, dopo espressioni impersonali che in italiano richiedono il congiuntivo, ma anche in unione con “prima” e “senza” [Rohlfs 1969]. E’ tipica delle varietà calabresi centro-meridionali (mu in provincia di Catanzaro, ma a Catanzaro, mi a Reggio [ridotta a i/a nella Locride]), ma anche della Sicilia nord-orientale (mi) e del Salento (cu).
Formulo qualche frase nella mia varietà reggina per mostrare il suo uso:
- Vògghiu mi veni! (“voglio che tu venga!”);
- Non pozzu mi vaju! (“non posso andare!”);
- Prima mi nesci! (“prima di uscire!”);
- Senza mi ‘ccatti nenti! (“senza che tu compri niente!”);
- Mi mori! (“che muoia!”).
E’ un costrutto di origine greco-bizantina. Occuparsi della situazione linguistica calabrese, ma più in generale occuparsi del gruppo di dialetti meridionali estremi/siciliani, comporta anche il trattare del rapporto tra latinità e grecità nel Sud Italia, e, quindi, anche quello con il greco d’Italia (lingua che nel Trecento copriva vaste aree del Salento, della Calabria centro-meridionale, e della Sicilia nord-orientale fino a Taormina). E’ curioso infatti che l’estensione di questo fenomeno copra proprio quello della lingua greca nel XIII° secolo.
La congiunzione mu/mi/ma (derivata dal latino mŏdus) sarebbe quindi un calco del greco parlato bizantino – presente ancora oggi nel neogreco standard e nel greco-calabro – να (“na”), a sua volta evolutosi dal greco classico ἵνα (“affinché”). Ιl neogreco utilizza questa congiunzione più o meno negli stessi ambiti in cui viene usato “mu/mi/ma”. Le frasi reggine scritte sopra le posso infatti rendere in neogreco con le stesse costruzioni:
- Θέλω να έρθεις!
- Δεν μπορώ να παω!
- Πριν να φύγεις!
- Χωρίς ν’αγοράσεις τίποτα!
- Να πεθάνει!
E’ interessante notare che il neogreco non è l’unico a possedere tale costruzione sintattica. Il neogreco fa parte delle lingue che compongono la Lega linguistica balcanica: infatti, diverse lingue balcaniche – oltre al neogreco anche l’albanese, il bulgaro, gran parte delle lingue romanze balcaniche, il dialetto torlacco della lingua serbo-croata – , pur appartenendo a sotto-gruppi diverse delle lingue indoeuropee, condividono diversi tratti della loro grammatiche (anche se si discute sulle origini di queste somiglianze), compresa questa perifrasi; per fare un esempio, voglio che tu venga in romeno si dice vreau să vii (dove la congiunzione să corrisponde a mu/mi/ma) e in albanese unë dua që ju të vijnë (dove tale funzione è coperta da të).
Per tornare alla Calabria, bisogna dire tuttavia che l’influsso dell’italiano standard – almeno nel dialetto reggino – si sta facendo sentire sempre più: ad esempio, davanti ai verbi vuliri (“volere”) e putiri (“potere”) si stanno imponendo le costruzioni con l’infinito (ad es., vògghiu veniri, vògghiu mangiari, pozzu durmiri), così come avviene nella lingua nazionale (anche se può essere un’influenza isolana).
Il vocalismo tonico siciliano
I dialetti calabresi centrali e meridionali, appartenendo al gruppo meridionale estremo, sono caratterizzati dal vocalismo tonico siciliano, uno dei pochi (assieme a quello sardo e a quello rumeno) a discostarsi da quello pan-romanzo, in uso – con alcune differenze da zona a zona – in tutte le lingue e i dialetti romanzi [Fanciullo 2015], escluse appunto le aree a vocalismo siciliano, sardo e rumeno.
Il vocalismo tonico siciliano è pentavocalico, cioè possiede solo cinque vocali, diversamente dall’italiano standard che ne possiede sette: infatti esso risulta sprovvisto di quelli che l’IPA – cioè l’Alfabeto Fonetico Internazionale usato a livello scientifico – rappresenta con i simboli [e] e [o] (ovvero le vocali che volgarmente vengono chiamate “e” e “o” chiuse, come nelle parole italiane “pece” e “dono”).
Vediamo ora in sintesi l’evoluzione dal sistema vocalico latino a quello siciliano (gli esempi tra parentesi quadre fanno riferimento al dialetto urbano reggino):
- sia la “a lunga” (“ā”) che quella “breve” (“ă”) diventano /a/ [căsa > casa ; lācte > latti];
- la “e breve” (“ĕ”) diventa /ɛ/ (simbolo IPA per la comunemente detta “e aperta” come nell’italiano “letto”) [pĕctus > pettu];
- la “e lunga” (“ē”), la “i breve” (“ĭ”) e la “i lunga” (“ī”) evolvono in /i/ [tēla > tila ; fīlum > filu ; pĭrum > pira];
- la “o breve” (“ŏ”) si trasforma in /ɔ/ (simbolo IPA per la comunemente detta “o aperta” come nell’italiano “parola”) [tŏnus > tonu];
- la “o lunga” (“ō”), la “u breve” (“ŭ”) e la “u lunga” (“ū”) diventano /u/ [tōtus > tuttu ; dŭlcis > duci ; cūlus > culu].
Ancora una volta ci sarebbe l’influsso ellenico. Secondo Franco Fanciullo, infatti, alla formazione del vocalismo tonico siciliano avrebbe concorso il greco bizantino, che avrebbe fatto sì che [e] ed [o] toniche lasciassero il passo a [i] e [u]. In questo senso fa l’esempio delle parole bizantine di origine latina – presenti ancora oggi in neogreco – καντήλι (all’italiana è trascritto “candìli”) e φούρνος (trascritto invece “fùrnos”): supponendo che, ad esempio, nella Sicilia dei secoli VI°-IX° i latinofoni dell’isola dicessero *[kandela] e *[fornu] (l’asterisco indica che la forma è stata ricostruita, in quanto non presente in fonti scritte), il contatto con la lingua greca avrebbe quindi fatto sì che, come detto sopra, [e] e [o] toniche si trasformassero in [i] e [u] [Loporcaro 2013]: infatti, oggi le parole in questione si dicono “candila” e “furnu”.
Il dialetto reggino
Giacomo Devoto (1897-1974) e Gabriella Giacomelli (1931-2002), ne I dialetti delle regioni d’Italia del 1972, affermano che
“una propaggine siciliana esce dalla Sicilia per estendersi attraverso lo stretto di Messina nella Calabria meridionale, più o meno in connessione con la provincia di Reggio“.
In effetti, il dialetto reggino, specialmente la sua varietà urbana in uso lungo una linea costiera – che include la stessa Reggio – che va da Scilla a Bova, si distingue dal resto delle parlate calabresi e anche dalle altre appartenenti al suo stesso gruppo meridionale estremo, mostrando maggiore affinità con quelle della Sicilia, specialmente con il dialetto messinese.
La cosa non dovrebbe sorprendere, e ciò per due ragioni:
- In ossequio alla legge del continuum dialettale, più due aree dialettali sono vicine, maggiore è la loro mutua intelligibilità. Messina è più vicina a Reggio di quanto non lo sia, ad esempio, Catanzaro;
- Storicamente, Reggio è stata sempre una città a vocazione marinara in una regione perlopiù montuosa, e la vicinanza alla Sicilia (così come la montuosità del resto della Calabria, la quale è stata d’ostacolo a fitti collegamenti, e che credo sia stato uno dei fattori che abbia contribuito alla ricchezza linguistica della regione) ha favorito il suo orientamento verso l’isola sin dall’antichità, soprattutto verso Messina. I documenti storici mettono in risalto i millenari e ininterrotti rapporti tra le due sponde dello Stretto (soprattutto quando, con la conquista normanna, il ruolo egemone nello Stretto passò da Reggio alla città peloritana) perfino nei momenti di divisione politica tra Calabria e Sicilia, ad esempio quando la Sicilia era in mano araba e la Calabria in quella bizantina, oppure quando l’isola era sotto la dominazione aragonese e Reggio sotto il potere angioino.
Per dare un’idea del rapporto del dialetto reggino con le altre varietà delle città vicine, vediamo la traduzione dell’articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani (“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza“) riportata da Wikipedia: ovviamente, trattandosi di Wikipedia bisogna stare attenti, senza contare inoltre che i testi non coincidono tutti letteralmente – e a volte possono presentarsi ortografie diverse e/o errate di una stessa pronuncia, così come possono essere state usate due forme lessicali o grammaticali apparentemente diverse ma che in realtà sono presenti anche in alcune altre varietà della lista presente sotto – ; tuttavia, credo che ci possa essere un buon margine di affidabilità e un buon quadro d’insieme della situazione, nonostante si tratti di un testo piuttosto breve:
– Dialetto catanzarese = “Tutti l’omini nescianu libberi e sunnu i stessi pe’ dignità e diritti; Ognunu ava u cerveddhu soi e a raggiuna e a cuscenza sua, e ava ma si cumporta cull’atri propriu comu si fhussèranu i frati soi.“;
– Dialetto vibonese = “Tutti i cristìani nescinu libbèri e â stessa manera i l’atri pe dignità e diritti. Iji hannu tutti u ciriveju loru pemmu raggiùnanu e hannu a campàri unu cu l’atru comu frati figgji dâ stessa matri.”;
– Dialetto reggino = “Tutti i cristiàni nàsciunu libbiri e ntâ stessa manèra ill’autri pi dignità e diritti. Iddhi ndànnu ognunu u so ciriveddhu mi ‘rraggiùnunu e ‘ndannu mi càmpunu unu cull’authru comu mi sùnnu fràti râ stessa matri.“;
– Dialetto messinese = “Tutti i cristiàni nàsciunu libbiri e nta stissa manèra ill’autri pi dignità e diritti. Iḍḍi hànnu ognunu u sò ciriveḍḍu mi rraggiùnunu e hannu a càmpari unu cull’autru comu si fussiru fràti da stissa matri.”;
– Dialetto catanese = “Tutti i cristiàni nàsciunu libbiri e na stissa manèra e l’autri ppi dignità e diritti. Iḍḍi hannu ognunu u sò ciriveḍḍu ppi raggiunari e hannu a càmpari unu cull’autru comu si fussiru fràti ra stissa matri”.
Come se non bastasse, il dialetto reggino si presenta più affine alle parlate isolane anche dal punto di vista della cadenza: i tipici accenti calabresi – quelli che vengono stereotipati ad esempio da Antonio Albanese nel personaggio di Cetto La Qualunque, oppure da Enrico Brignano nel suo sketch sui “dialetti” – sono considerati rustici da un reggino del centro.
Esempio audio di dialetto reggino: “Jeu sugnu ambasciaturi” del gruppo
“Mattanza”, capeggiato dal compianto Domenico (“Mimmo”) Martino.
Le minoranze linguistiche in Calabria
La Calabria è sede di ben tre minoranze linguistiche riconosciute dalla legge 482/1999.
Greco
Sono 16 i comuni – tutti siti nella città metropolitana di Reggio Calabria – che lo riconoscono: Bagaladi, Bova, Bova Marina, Brancaleone, Cardeto, Condofuri, Melito di Porto Salvo, Montebello Jonico, Motta San Giovanni, Palizzi, Reggio Calabria, Roccaforte del Greco, Roghudi, Samo, San Lorenzo, Staiti.
Tuttavia, gli ellenofoni si trovano concentrati quasi esclusivamente tra Gallicianò (frazione del comune di Condofuri), Bova e Roghudi, a cui si aggiungono piccoli nuclei di emigrati da queste tre località nel capoluogo, nei quartieri di Sbarre, San Giorgio Extra, Arangea e Modena.
La minoranza linguistica greca è particolare nel quadro italiano, giacché a differenza delle altre isole linguistiche essa ha rappresentato – fino al XIII° secolo – la lingua maggioritaria della Calabria meridionale (sebbene oggi il comune abitante di quella zona tende erroneamente a credere che si sia sempre parlato solo nelle attuali aree, o poco più), e la sua influenza – come abbiamo visto – si nota ancora oggi nelle varietà romanze di tipo siciliano usate oggi lì.
Per approfondire leggi Grecanico: un po’ di Grecia in Calabria.
Albanese
Oggi, però, la più cospicua minoranza linguistica calabrese è quella albanese.
La minoranza albanese (“arbëreshë“) è distribuita a macchia di leopardo in tutte le regioni del Sud Italia, dall’Abruzzo alla Sicilia.
In Calabria si trova la maggiore concentrazione: ben 27 località, distribuite tra le province di Cosenza, Catanzaro e Crotone.
- Provincia di Cosenza = Acquaformosa, Cantinella (frazione del comune di Corigliano Calabro), Cerzeto, Castroregio, Civita, Falconara Albanese, Firmo, Frascineto, Lungro, Plataci, San Basile, San Benedetto Ullano, Santa Caterina Albanese, San Cosmo Albanese, San Demetrio Corone, San Giorgio Albanese, San Martino di Finita, Santa Sofia d’Epiro, Spezzano Albanese, Vaccarizzo Albanese;
- Provincia di Catanzaro = Andali, Caraffa di Catanzaro, Marcedusa, Vena di Maida (frazione del comune di Maida);
- Provincia di Crotone = Carfizzi, Pallagorio, San Nicola dell’Alto.
La presenza albanese è dovuta a diverse ondate migratorie, ma le principali riguardano la seconda metà del XV° secolo, quando gruppi di albanesi giunsero in Calabria al seguito di quello che ancora oggi è considerato l’eroe nazionale sia in Albania che nelle località arbëreshë del Sud Italia, Giorgio Castriota Scanderbeg, per aiutare militarmente Ferdinando I di Napoli (r. 1458-1494), suo alleato, contro gli angioini e i baroni ad esso ribelli. Altri gruppi sarebbero giunti dopo la morte di Scanderbeg, avvenuta nel 1468, per sfuggire alla conquista ottomana dell’Albania (contro la quale il condottiero albanese combatté per vent’anni).
La lingua da loro parlata – detta arbërisht – è una varietà arcaica del dialetto albanese meridionale (il tosco), il quale ancora oggi rappresenta la base della moderna lingua albanese d’Albania, mentre i nomi che compongono la loro letteratura hanno influenzato anche quella della madrepatria, tanto da essere conosciuti anche lì: basti ricordare Girolamo De Rada (1814-1903), nativo di San Demetrio Corone (Giuseppe (“Zef”) Schirò [1865-1927], l’altro grande nome della letteratura arbëreshë, era originario di Piana degli Albanesi, in provincia di Palermo).
Molti comuni arbëreshë di Calabria seguono ancora oggi il rito greco-bizantino importato dai primi coloni, anche se nell’alveo della Chiesa Cattolica Romana. Questi – assieme ad alcune località arbëreshë site al di fuori della regione – si raccolgono attorno all’Eparchia di Lungro, la quale concorre in importanza con quella sita a Piana degli Albanesi.
In ragione dell’importanza della comunità albanese di Calabria (specialmente quella di Cosenza), l’Università della Calabria – sita a Rende (CS) – ospita la cattedra di Lingua e letteratura albanese.
L’arbërisht ha avuto un’influenza sul particolare gergo una volta in uso dai calderai del paese di Dipignano (CS), detto ammascante.
Occitano
La minoranza linguistica occitana riguarda il comune cosentino di Guardia Piemontese.
La lingua è stata portata da comunità religiose valdesi originarie del Piemonte, stabilitesi in Calabria in epoca sveva (1194-1268) per sfuggire alle persecuzioni contro di esse. In origine queste comunità riguardavano anche altri centri – sempre nell’attuale provincia di Cosenza: Montalto, San Vincenzo La Costa – , ma le tracce linguistiche, per quanto oggi siano molto flebili, sono rimaste solamente a Guardia.
Vissuti in pace per secoli con gli abitanti delle zone circostanti, nel periodo della Controriforma e del Concilio di Trento (1560-61) anche in Calabria subirono la persecuzione religiosa ad opera della Chiesa Cattolica a causa del fatto che i valdesi si stavano orientando verso il pensiero di Lutero, anche grazie all’opera di predicatori quali il cuneese Gian Luigi Pascale (1525 ca.-1560). Il futuro papa Pio V (1566-1572), il cardinal Michele Ghislieri, ispirò una crociata contro di loro: attuata dal viceré spagnolo di Napoli don Pedro Afán de Ribera (1509-1571) in accordo con la curia locale e con i feudatari del luogo (i marchesi di Fuscaldo e di Montalto), i valdesi di Calabria furono trucidati in massa, sgozzati, e appesi a pezzi lungo le strade di Cosenza [Placanica 1999]. L’avvenimento fece scalpore in tutta Europa.
La forma di occitano che sopravvive a Guardia dagli abitanti che fin dal 1561 furono obbligati ad aderire alla fede cattolica (anche se oggi sono rinati i legami con la Chiesa valdese), e cioè il guardiolo, è ancora affine a quella delle valli occitane del Piemonte, appartenente al dialetto detto vivaro-alpino, anche se risente ovviamente dell’influenza della parlata italo-romanza dei dintorni e dell’isolamento rispetto al territorio originario.
Per saperne di più
AA.VV., Storia della Calabria antica, Gangemi, Roma, 1997
AA.VV., Λεξικό της Κοινής Νεοελληνικής, Istituto di Studi Neogreci, Salonicco, 2009
Beccaria G.L., Tra le pieghe delle parole – lingua storia cultura, Einaudi, Torino, 2010
Caridi G., Reggio Calabria dal secolo XIV al terremoto del 1908, Falzea, Reggio Calabria, 2008
Castrizio D., Storia di Reggio a fumetti – da Augusto a Roberto d’Angiò, Comune di Reggio Calabria, 2006
De Angelis A., Introduzione ai dialetti italiani meridionali estremi (salentino, calabrese meridionale, siciliano), Messina, 2009
Devoto G. e Giacomelli G., I dialetti delle regioni d’Italia, Sansoni, Firenze, 1972
Fanciullo F., Prima lezione di dialettologia, Laterza, Roma-Bari, 2015
Liddle H.G., Scott R., Jones H.S., McKenzie R. e Glare P.G.W., A Greek-English Lexicon – With Revised Supplement, Clarendon Press, Oxford, 1996 (nona edizione)
Loporcaro M., Profilo linguistico dei dialetti italiani, Laterza, Roma-Bari, 2013 (seconda edizione)
Meliadò R., Le radici linguistiche e psico-antropologiche del dialetto reggino, Jason, Reggio Calabria, 1994 (seconda edizione)
Nucera A.L., I paesi grecofoni della provincia di Reggio Calabria, Kaleidon, Reggio Calabria, 2006
Placanica A., Storia della Calabria dall’antichità ai nostri giorni, Donzelli, Roma, 1999
Rohlfs G., Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Einaudi, Torino, 1969
Tedesco V., Storia dei valdesi in Calabria – tra Basso Medioevo e prima Età moderna, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2015
Trumper J.B. (in collaborazione col gruppo musicale Collettivo Dedalus), Ammâšcâ, Città del Sole, Reggio Calabria, 2012