La lingua siciliana e la lingua napoletana sono riconosciute come tali dall’UNESCO. E’ un fatto noto a molti, ma non pienamente compreso nei suoi confini linguistici.
Indice
Cosa è la lingua napoletana secondo l’UNESCO?
La Lingua Napoletana è l’insieme dei dialetti alto meridionali, quindi i dialetti parlati in Campania, in Basilicata, in gran parte dell’Abruzzo, nel Molise, nella Puglia escluso il Salento, nella Calabria settentrionale, nelle Marche meridionali e nel sud del Lazio.
Cosa è la lingua siciliana secondo l’UNESCO?
La Lingua Siciliana è l’insieme dei dialetti meridionali estremi, quindi l’insieme dei dialetti siciliani, della Calabria centro-meridionale e del Salento.
Questa è la risposta in estrema sintesi.
Ora ti spiegherò la questione nel dettaglio.
Lingua napoletana e lingua siciliana: di cosa si tratta?
Molti siti d’informazione riportano che nel Sud del nostro Paese due dialetti sono riconosciuti dall’UNESCO e sono addirittura un Patrimonio dell’Umanità: il dialetto napoletano e il dialetto siciliano.
Anche se c’è un fondo di verità, le informazioni riguardo la “linguicità” di napoletano e siciliano sono state riportate in modo impreciso. Danno infatti l’idea errata che per napoletano e per siciliano si debbano intendere soltanto i dialetti della città di Napoli e quelli della Sicilia.
In realtà, l’UNESCO – e gli enti che ad esso fanno riferimento – adoperano napoletano e siciliano come sinonimi di quelli che nella tradizione della dialettologia italiana sono definiti rispettivamente dialetti meridionali/alto-meridionali e dialetti meridionali estremi.
Precisiamo…
Lingua napoletana

Col termine napoletano, va detto, non si vuole intendere che le altre varietà alto-meridionali derivino dal dialetto napoletano, ovvero il dialetto parlato nella città di Napoli. Tanto meno si vuole dare al napoletano un ruolo di superiorità nei confronti delle altre parlate.
Il napoletano, quindi, non “rivendica” nessun tipo di predominio sull’abruzzese, sul lucano, sull’ascolano e sul dialetto barese.
Semplicemente, questi dialetti hanno così tante caratteristiche comuni che possono essere considerate dialetti in un’unica lingua, il napoletano appunto.
Il nome di lingua napoletana è legato sia alla tradizione letteraria e musicale della città campana, sia ai lunghi secoli in cui la regione era governata dal regno di Napoli.
Ma questo fa parte di un lontano passato… Napoli non è più una capitale, e il dialetto napoletano non influenza più gli idiomi del Meridione continentale.
Rimane il problema di trovare un nome comune per tutti perché ad esempio un barese generalmente non accetterebbe di auto-definirsi “di lingua napoletana”: la denominazione dell’UNESCO è stata fatta non prendendo in considerazione i campanilismi locali.
Sono stati proposti nomi alternativi a “lingua napoletana”, ad esempio italiano meridionale, napoletano-calabrese e il medievaleggiante volgar pugliese, ma non sono di uso comune.
Lingua siciliana

Il discorso è un po’ diverso nel caso del siciliano. Sembrerebbe infatti che il siciliano sia effettivamente stato la “lingua della Sicilia” per un certo periodo.
Secondo alcuni linguisti (Devoto e Giacomelli, 1972), la Calabria meridionale nel Basso Medioevo era in gran parte ellenofona. Insomma, si parlava prevalentemente il greco, che ancora resiste in alcune aree dell’Aspromonte. La regione fu latinizzata a partire dalla Sicilia. Ciò significa che gran parte degli attuali dialetti della Calabria centro-meridionale – in particolar modo il dialetto reggino, il quale è evidentemente più affine alle parlate della Sicilia orientale (soprattutto il messinese) che non a quelle non solo della Calabria settentrionale, ma anche di quella centrale – sono derivati dai dialetti siciliani che mano a mano, partendo dall’isola, si sono diffusi in buona parte della regione.
Per il Salento, invece, pare che non ci sia stata nessuna “sicilianizzazione linguistica”. Ciò nonostante, il salentino è tipologicamente un dialetto della lingua siciliana, anche se recentemente l’Atlas dell’UNESCO – aggiornando la descrizione del siciliano – riporta che: Salentino may be regarded as a variety separate from Sicilian (“Il salentino può essere considerato una varietà separata dal siciliano”).
Al di là delle origini degli attuali dialetti dell’estremo Sud, è corretto dire che al giorno d’oggi la lingua siciliana non è solo l’idioma dell’isola omonima, ma è autoctono anche del Continente.
Ora sai cosa si intende l’UNESCO per lingua siciliana e lingua napoletana.
Ma ho ancora una cosa da dirti!
Prosegui nella lettura se non vuoi essere preso in giro dalla disinformazione… infatti, sulla questione girano alcune bufale che è assolutamente necessario smontare!
Se cerchi su Google…
Associando sul motore di ricerca le espressioni lingua siciliana e/o lingua napoletana con UNESCO, puoi notare che ci sono molti risultati in cui si dice che queste lingue sono riconosciute come tali proprio dall’agenzia delle Nazioni Unite per l’educazione e la cultura. Altri risultati riportano che siciliano e napoletano sono un patrimonio UNESCO.
Qual è la verità?
Siciliano e napoletano sono un Patrimonio dell’Umanità UNESCO?
Semplicemente non è vero.
Per quanto riguarda il napoletano, contrariamente a ciò che titolano alcuni siti e persino quotidiani nazionali come Libero, esso non è stato riconosciuto patrimonio dell’Umanità: infatti, non risulta essere inserito nell’elenco dei Patrimoni Orali e Immateriali dell’UNESCO.
Ma attenzione!
E’ vero che sia il napoletano che il siciliano sono lingue riconosciute dall’UNESCO e da altri enti linguistici internazionali.
Ricapitolando, napoletano e siciliano
- non sono riconosciuti come Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO.
- sono riconosciuti dall’UNESCO come Lingue in Pericolo di Estinzione.
Anzi, in realtà non è solo l’UNESCO che riconosce queste due lingue…
Chi riconosce la lingua napoletana e la lingua siciliana?
Iniziamo subito col dire che napoletano e siciliano sono presenti all’interno dell’Atlante delle lingue in pericolo (Atlas of the World’s Languages in Danger), un catalogo in cui sono censite, nel momento in cui scrivo, 2465 lingue che a vari livelli rischiano la scomparsa.
Nella scheda di ogni lingua censita nell’Atlas puoi trovare anche i codici ISO 639-3. Si tratta di un codice emanato dall’International Organization for Standardization, la più importante organizzazione mondiale per la definizione di norme tecniche. Viene usato per la classificazione delle lingue umane. L’ISO attribuisce un codice 639-3 ad ogni lingua.
Anche alla lingua napoletana e alla lingua siciliana.
- ISO 639-3 nap per il napoletano;
- ISO 639-3 scn per il siciliano.
Possiamo quindi dire che l’ISO riconosce che il napoletano è una lingua, così come è una lingua il siciliano.
Il codice ISO si può riferire ai dialetti?
No. Lo standard ISO 639-3 non viene applicato ai dialetti, intesi nel significato di varietà di una lingua. Napoletano e siciliano non sono varietà della lingua italiana, ma idiomi autonomi. Quindi sono lingue da un punto di vista strettamente tipologico-linguistico. L’ISO prende a riferimento questa definizione per capire se un idioma è una lingua autonoma meritevole di un codice o un dialetto di una lingua.
Per sapere quali sono i veri dialetti dell’italiano ti consiglio di leggere questo articolo di Pietro Cociancich.
E’ anche vero però che in Italia siamo abituati a chiamare “dialetto” tutte le lingue aventi un ruolo sociale subalterno all’italiano. Ma l’ISO non ragiona come noi italiani…
Sarebbe quindi meglio definire questi dialetti italiani riconosciuti dall’UNESCO con l’appellativo di lingue regionali d’Italia.
Oltre al napoletano e al siciliano, sono infatti presenti anche il piemontese, il lombardo, il veneto, il ligure, l’emiliano e il romagnolo.
Tutti questi codici linguistici sono presenti nell’Atlas, e sono classificati in base allo stato di conservazione. Si va dallo status di lingua vulnerabile (vulnerable) riguardante il siciliano, fino a quello di lingua certamente in pericolo (definetely endangered) appartenente al lombardo.
L’unica eccezione riguarda il toscano e i cosiddetti dialetti mediani (il romanesco, le varietà umbre, i dialetti di alcune zone dell’Abruzzo e di gran parte di Lazio e Marche). Questi dialetti sono effettivamente varietà della lingua italiana, quindi condividono il codice ISO 639-3 con l’italiano standard.
Nella classificazione non ho citato friulano e sardo. Questo perché anche per la legge italiana sono lingue vere e proprie. Infatti rientrano nella legge 482/1999 riguardante la tutela delle minoranze linguistiche, sebbene ancora molti non addetti ai lavori facciano riferimento ad essi chiamandoli dialetti.
Per comprendere meglio l’argomento lingua-dialetto, ti consiglio di leggere questo articolo in cui viene spiegato in modo semplice cosa è un dialetto.
In conclusione
Sebbene l’uso delle due espressioni come sinonimi dei due gruppi dialettali non sia universalmente accettato, si deve tenere conto che, quando si parla di lingua napoletana e lingua siciliana, le due espressioni fanno riferimento ad un’estensione maggiore di quella tradizionalmente a loro attribuita.
Credo di non andar fuori tema se mi permetto di ricordare che è semplicemente frutto d’equivoco il termine “(lingua / gruppo dialettale) napoletano-calabrese” che capita non di rado d’incontrare in siti che attingono acriticamente dal controverso “Ethnologue” del SIL. A quanto mi risulta nessuno studio dialettologico associa Campania e Calabria in contrapposizione ad altre aree dialettali italoromanze.
Credo che all’origine dell’equivoco stia il fatto che quella Bibbia della romanistica che è lo “Handbuch der romanischen Linguistik” tratta per ragioni redazionali effettivamente le due regioni in un unico capitolo, ma esplicita anche che fra di esse non esiste alcuna specifica relazione. Ma evidentemente quelli del SIL si sono fermati all’indice …
Errata corrige: leggasi ” L e x i k o n der romanischen Linguistik”, non ” H a n d b u c h”. Prego scusare la svista di cui mi son accorto a commento già inviato. – G.P.
rimanendo in ambito meridionale è piu esatto dire lingua “napolitana” in luogo di napoletana, la quale parola anch’essa italianizzata da “napulitan”.. il regno di napoli è stato l’unico stato secolare, mentre altre realta’ italiane come le citta’ stato o piccoli regni erano in perenne conflitto tra di loro ed oggetto di conquista dei vicini, quindi con confini mai definiti. praticamente la somalia di oggi era avvicinabile allo situazione italiana di allora, poiche’ molti signori della guerra miravano dall’alto dei loro castelli ad allargarsi ai danni del vicino. ps, qualsiasi idioma centro-meridionale è collegabile alla lingua napolitana, anche il sicilano(ed il contrario), poiche’ strettamente imparentati tra loro, infatti in qualsiasi luogo ti puoi esprimere nel tuo dialetto venendo capito, e viceversa tu capisci quello locale, mentre cosi’ non succede al centro-nord.
Caro Ciro, l’Ethnologue, l’ISO e l’UNESCO parlano di “Neapolitan” (o, al limite, di “Neapolitan-Calabrese” o di “Southern Italian”): dalle mie scarse conoscenze d’inglese, “Neapolitan” vuol dire solamente “napoletano”, pertanto non va operata alcuna distinzione, distinzione che avete creato voi neo-borbonici nel tentativo – presuntuoso – di assimilare l’intero Meridione a Napoli e alla Campania: ti assicuro, da siculofono (sono di Reggio Calabria), che molte parlate del gruppo napoletano risultano per me inintelligibili, e ti assicuro anche che il siciliano non può essere assimilato al napoletano perché ha i suoi tratti caratteristici che lo distinguono da quest’ultimo.
L’identità meridionale è nata dall’Unità in poi, nel momento in cui si creò la contrapposizione tra il Nord e il Sud del paese anche grazie alla “Questione meridionale”. Prima non ci fu, e anzi da calabrese ti posso dire che nei tempi del Regno ci furono periodi in cui i calabresi venivano considerati barbari e retrogradi (e la Calabria infestata dai banditi) anche dagli stessi napoletani: la verità è che la storia meridionale al di fuori di Napoli e della Campania voi neo-borbonici generalmente la conoscete poco e/o male.
Infine, per quanto riguarda le lingue gallo-italiche, pare che la diversità tra di esse – nonostante esista – sia minore di quanto venga solitamente dipinta: è vero che da un lato il Nord fu politicamente più frammentato, ma dall’altro ha avuto altri fattori che hanno ridotto la differenziazione linguistica, ad esempio un territorio meno montuoso.
Mi spiace ma ci sono delle inesattezze il Lombardo Occidentale (parlato nella zona tra pavia, novara, domodossola, bellinzona, varese, monza, lodi e avente come fulcro Milano) è il termine con cui l’Unesco chiama il Milanese, che infatti è a tutti gli effetti una lingua e tutelata dall’UNESCO alla pari di Siciliano o Napolitano per esempio (così il veneto, il ligure etc)
Una lingua non può essere Patrimonio Unesco (BUFALA), non so perchè i Napoletani abbiano così a cuore questa cosa, forse non hanno colto che tutte le lingue minoritarie italiane sono state messe sotto tutela… in ogni caso ovvio l’Insubre (Milanese) o Il Piemontese non sono così parlate come il Napoletano, perchè nelle suddette regioni il tasso di scolarizzazione e istruzione è molto più alto e quindi si sono perse.
E permettetemi da Linguista, il Gallo-Italico è una lingua, infatti per chiunque parli un dialetto del nord- ovest (che sia di Carrara, Urbino, Bologna, Torino, Genova, Mantova, Milano, Varese, Bellinzona, Domodossola, Cuneo etc) comprende il dialetto all’interno di tale zona, i dialetti gallo-italici sono tutti perfettamente intellegibili (diversa la questione per veneto, friulano o ladino)
il gallo-italico è una lingua, i dialetti gallo-italici sono tutti perfettamente intellegibili come risulta da molti studi linguistici e la stessa Unesco riconosce il gallo-italico.
Precisazione: nel rapporto Unesco vengono inserite anche l’insubre (milanese), il lombardo orientale, il piemontese, il veneto e molte altre lingue minoritarie tra quelle sotto tutela, non solo napoletano e siciliano). Lo stesso Veneto e Friulano sono molto simili alle lingue Gallo italiche in tanti aspetti (così i dialetti trentini, che sono per metà veneti e metà lombardi),
le consiglio di leggere un po’ di studi sul gallo italico o il veneto, o di chiedere a qualcuno che lo parli,
saluti
L’UNESCO attualmente parla di lombardo, non di milanese/insubre e lombardo orientale.
Grazie mille per questo importante contributo.
Il Siciliano è una lingua viva e vitale dalle innumerevoli inflessioni e modulazioni che questo parlare possiede , arricchito come è stato dal millenario scorrere della storia di popoli e di eventi che questa terra ha vissuto , a volte subito e spesso anche modellato . Il Siciliano non solo sopravvive ma si rinnova ,mentre le lingue nazionali hanno i giorni contati .
Per quanto riguarda la storia della letteratura italiana Francesco De Sanctis scrive::
“Il più antico documento della nostra letteratura è comunemente creduto la cantilena o canzone di Ciullo d’Alcamo e una canzone di Folcacchiero da Siena ,.Quale delle due canzoni sia anteriore,è cosa puerile disputare ,essendo esse non principio ma parte di tutta un’epoca letteraria ,cominciata assai prima e giunta al suo splendore sotto .Federico Secondo , da cui prese il nome ,Imperatore d’Alemagna e Re di Sicilia .
Segnalo che per quanto riguarda l’area di diffusione del napoletano indicata nel primo paragrafo, è stata omessa la menzione del Lazio meridionale, già parte del Regno delle Due Sicilie.
Grazie per la segnalazione! Abbiamo aggiornato l’articolo.
Ma il regno cosiddetto di Napoli, era in realtà il regno di Sicilia, o Sicilia Citra, con capitale Napoli, Nei sette secoli dalla fondazione alla fine non s’è mai chiamato regno di Napoli, se si escludono le occupazioni francesi e il periodo austriaco. Il buon Dante non conosceva il Napoletano, ma il Pugliese, ed era persino esatto, può una città di fondazione greca dar vita ad una lingua romanza? invece il vasto territorio massimamente compreso nella regione Apulia dei romani, certamente ha potuto. E’ certamente questo “pugliese” che ha influenzato i greci -poi bizantini- della costa e non il contrario, almeno in fondazione. Poi, ovvio, in realtà così vicine l’osmosi e il reciproco contributo sono naturali, I puglesi attuali, e non solo, non vogliono che la loro lingua sia detta Napoletano? Ragioni ne hanno da fuori mura di Napoli a Potenza, e il regno non era “di Napoli”.
Sulla questione del nome molti meridionali non amano la dizione napoletano, e spesso si usano dizioni come “Napoletano-calabrese” o “napoletano-pugliese” infatti. Sta di fatto che una città può averla fondata chiunque: Milano venne fatta su dai Celti eppure divenne il centro della Lombardofonia occidentale.
Ignoranza storica e scarsa capacità di intendere ciò che le è stato spiegato in maniera cristallina: Napoli è stata capitale di uno Stato che era tra i più antichi d’Europa. In quanto capitale di uno Stato e non a caso, la lingua era una ed era ufficiale, mutata nei secoli come muta qualsiasi cosa, ma conservata per ciò che concerne la struttura e la grammatica. Inoltre cercare di asserire che i dialetti del nord siano più simili tra loro di quanto lo siano la lingua napoletana con i suoi derivati più a sud (“e più a nord) è un’arrampicata sugli specchi di portata oceanica. Studi prima di scrivere baggianate.
La scolarizzazione, dal 1950, è maggiore al nord. Perché vi ricordo che a Milano, oltre a parlare un dialetto mal definito, dall’anno 1000ac al 1862 dc è stata dietro Napoli sotto ogni aspetto, da quello culturale a quello economico per finire con quello militare. Non so perché a Milano ci tengano tanto a definire lingua il loro dialetto, ma tanto la storia già spiega delle appropriazioni indebite perpetrate dagli arretrati del nord con le armi francesi. E comunque, se oggi Milano vanta maggiore scolarizzazione, è perché è per lo più abitata da non milanesi. E meno male.
Casomai è Lei che non ha capito nulla di ciò che ho detto.
1) Prima di tutto non ho detto che le lingue regionali del Nord Italia siano più simili tra di loro di quanto lo siano le varietà del “South Italian”, ma più semplicemente che lo sono meno di quanto sembrino (non ho fatto paragoni);
2) Non ho mica negato che Napoli fosse la capitale di un Regno. Ho solo detto che questo non era cementificato da un’unità nazionale come oggi la intendiamo: nessuno si è mai sentito “napoletano” al di fuori della capitale e dei suoi dintorni;
3) I dialetti che compongono il “South Italian” non derivano dal napoletano: quest’ultimo è solamente la varietà più prestigiosa – in virtù della sua tradizione letteraria – di un continuum dialettale;
4) Le lingue ufficiali di quello che ufficialmente si è sempre chiamato “Regno di Sicilia citeriore” (“Regno di Napoli” è un nome della storiografia moderna) sono state, sin dagli Angioini, soprattutto latino e toscano (quest’ultimo, specialmente dal Cinquecento in poi). L’Editto di Alfonso d’Aragona – di cui tra l’altro non ho mai trovato la fonte originaria – , ebbe nei fatti scarsa applicazione: mi porti un documento ufficiale del Regno di Napoli scritto in napoletano (anzi, com’era conosciuto all’epoca, “volgar pugliese”), e ne riparliamo.
Infine, ribadisco che il siciliano non è napoletano.
Questo è il famoso calore meridionale, vero (e lo dico da reggino)? Nei fatti Lei si sta comportando come i razzisti anti-meridionali.
Ma poi tutte hannp un back ground latino. Il toscano e stato scelto per dei motivi ma avrebbe potuto essere il Siciliano il Veneto.
Il Napoletano ha una letteratura
Come pure il iSciliano…..
Poi il toscano è stato scelto per delle ragioni, qualunque esse siano, ma si saeebne anche potuto pensare al veneto o al nepoletano.
Ed inoltr sono tutte lo gue latine…..ed edntrambe hanno una letteraturs
A chi ha chiesto se esistevano documenti in lingua napolitana (o napoletana che dir si voglia), rammento che esistono. Trattasi di atti anche notarili e di proprietà risalienti all’anno 900. Basta una semplice ricerca in internet per conoscere gli archivi che li custodiscono.
PS Quando di una parlata esiste una grammatica ed un vocabolario allora è d’uopo chiamarla lingua.
Prima di tutto, anche se non esistessero sarebbero comunque lingue (tante lingue nel mondo ancora non sono ben documentate, ma non per questo smettono di esserlo). In secondo luogo, fai riferimento ovviamente al “Placito Capuano” et similia della seconda metà del X secolo, ma io ovviamente parlavo di documenti del Regno di Napoli posteriori al Quattrocento.
Eh sì è proprio vero il siciliano (anzi è più giusto dire dialetti meridionali estremi per rispetto di tutti, non è giusto chiamarlo solo siciliano) è molto simile soprattutto al calabrese meridionale, ma anche col salentino – infatti per dire ad una persona ”sei stupido” in salento si usa dire: ”ma si minchia” ahahahahh.
Seconda considerazione che voglio fare: è vero come hai detto tu, che l’identità meridionale è nata dopo l’unità d’Italia.. infatti in Sicilia erano molto le rivolte antiborboniche. In una vignetta dell’epoca (moti Messina 1848) infatti ci sta una donna che rappresenta la Sicilia mandare via dalla Sicilia appunto Pulcinella che in questo caso rappresenta Napoli, anzi i Borboni. (https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/6/6b/Inizio_rivolta_siciliana.jpg).. Non se anche in Calabria ci fossero state rivolte antiborboniche
In conclusione vorrei dire: vero il salentino è simile al siciliano ed al calabrese meridionale, ma lo trovo un po’ più distino rispetto a questi due citati.. non so tu come la pensi.. Comunque molto piacevole aver letto questa pagina..
Un saluto da un ragazzo della provincia di Agrigento 🙂
Il cosiddetto Regno di Napoli era il Regno di Sicilia citeriore, cioè la parte continentale del Regno di Sicilia che si era staccata durante i vespri siciliani. La definizione Regno di Napoli nacque con le guerre d’Italia del 1494 quando il Re di Francia Luigi creò la corona di Rex Neapolis per il figlio. Poi questa definizione è stata utilizzata dalla storiografia moderna per non fare confusione con il Regno dell’isola di Sicilia. Questi due regni rimasero staccati fino al 1816.
Caro Edoardo, scusami per il ritardo. Ti rispondo punto per punto 🙂 :
1) Per quanti riguarda i moti anti-borbonici, nello stesso anno ci furono in Calabria quelli di Gerace.
2) Credo che l’UNESCO faccia riferimento al fatto che l’intero diasistema meridionale estremo venga definito anche “diasistema” o “gruppo siciliano” (quindi “siciliano” in senso lato), che presenta il vocalismo tonico detto appunto “siciliano”.
3) Per quanto riguarda la posizione del salentino, il Rohlfs non lo considerava appartenente (almeno non del tutto) al gruppo calabro-siciliano, mentre sotto molti aspetti definiva “balcone della Sicilia” la Calabria meridionale.
All’ultimo punto aggiungo questo: oggi la posizione del Rohlfs – per quanto riguarda Calabria e Sicilia – è stata resa più sfumata dai linguisti italiani, concordi però (ad es. Varvaro 1988, Avolio 2009) nel dire che tutte le isoglosse che separano il siciliano dalle varietà linguistiche del Mezzogiorno continentale si distribuiscono a varia altezza lungo la Calabria: ciò significa che lo stretto di Messina non costituisce un confine linguistico, in quanto – e io da reggino te lo posso confermare – i dialetti delle due città dello Stretto sono molto simili (e a Reggio città presentiamo perfino una cadenza molto siciliana, lontana dallo stereotipo del calabrese). Il confine del siciliano “isolano” (dove quindi è presente la prima di queste già citate isoglosse) dovrebbe essere in realtà l’area tra la piana di Rosarno e la Locride, nella quale per dire “mio fratello”, “tua mamma” dicono “fratima”, “mammata” (quindi come nel gruppo meridionale intermedio, anche se rimangono dialetti ancora pienamente appartenenti a quello meridionale estremo); al di sotto di quell’area diciamo – esattamente come in Sicilia – “me’ frati”, “me’ mamma”.
Varvaro a questo proposito aggiunge, a mio avviso giustamente, che la separazione linguistica dettata dallo stretto di Messina risulta comoda ma non fondata scientificamente, e ciò è anche giustificato da fattori extralinguistici: Reggio è una città storicamente orientata verso la Sicilia (con la quale i collegamenti erano più facili rispetto a quelli con il territorio alle sue spalle, la prevalentemente montuosa Calabria); discorso simile per Messina, che anzi ebbe un ruolo importante per la Calabria meridionale (tanto da essere scherzosamente definita “la città più grande della Calabria”, la cui università ad esempio era – e in parte ancora è, visto che rimangono molti i reggini che la frequentano e che fanno la spola con le navi traghetto – il polo della Calabria meridionale, che possiede università molto recenti e risalenti agli anni ’70). So che per questo molti siciliani definiscono non pienamente tali i messinesi, ma la domanda è: sono più calabresi i messinesi, o i reggini siciliani? 😉
La Lingua Napoletana è la lingua che viene parlata a Napoli città, la stessa che una marea di ignoranti considera “dialetto” il dialetto napoletano viene parlato in provincia di Napoli, non a Napoli!
I dialetti Napoletani invece sono un gruppo di dialetti del sud italia, a parte la Sicilia, il sud della Calabria ed il sud della Puglia cioè il Salento, dove nell’insieme formano la Lingua Napoletana.
Il dialetto “volgare Pugliese” parlato a Foggia e provincia, l’abbruzzese, molisano, Barese, Calabrese ed il dialetto parlato in Basilicata.
Questi dialetti derivano tutti dalla Lingua Napoletana, ecco perché questo insieme viene definito Lingua Napoletana o Lingua dell’Italia del Sud.
La Lingua Napoletana vera ed autentica viene parlata a Napoli città, appena fuori provincia si parla il dialetto Napoletano che puo essere il Torrese, Puteolano, Casertano, Salernitano, Sannio, Irpino ecc.
Finitela di dire cazzate ed incominciate a divulgare che il Napoletano è una lingua.
Come quando qualcuno reputa l’italiano lingua, intende dire sia che l’italiano vero e proprio è una lingua, sia che l’italiano ha i suoi dialetti e quando parla di lingua italiana parla anche di quello che contiene all’interno cioè i suoi dialetti, stessa cosa quando qualcuno parla di lingua Napoletana, parla sia della lingua parlata a Napoli città sia dei suoi dialetti.
Rassegnatevi è una lingua.
Ringrazio Giuseppe Delfino per aver risposto in modo così puntuale e storicamente corretto alle interpretazioni bizzarre del Sig. Ciro. Purtroppo mi è capitato più volte di ascoltare simili banalità ed inesattezze storiche e linguistiche da parte di campani e in particolare napoletani, nostalgici del Regno Delle Due Sicilie (che esistette per meno di cinquant’anni e forse neanche sanno perché si chiamasse così!). È evidente che manca a queste persone, che pur di fregiano di possedere cultura e conoscenza, un serio studio della storia del Regno di Napoli e del Regno di Sicilia, nonché la comprensione dei fenomeni migratori, culturali e linguistici ancora precedenti. Così come spesso ho potuto purtroppo constatare che manca loro anche il discernimento degli aspetti linguistici sincronici tra napoletano ed altre lingue dell’Italia odierna, ivi compreso l’italiano standard.
Piu antichi d’europa? Antichi piu del regno di Sicilia. Si documenti per favore
Salve signor Delfino.
Poi non dimenticare quanti calabresi hanno fatto progresso in Sicilia.
Io credo che ogni citta calabrese ha il suo proprio dialetto particolare e unico. Se ascolti un Palmisano con quel dialetto stretto non ci si capisce nulla.
Il vero siciliano e stato perso e latinizzato fortemente ma e presente sull isola di malta. Quello e il vero siciliano con parlata araba come fanno i maltesi.
Il vero calabrese e molto svariato dipende dalle citta. E piu svariato del siciliano con molte cadenze strane dipende da che paese sei.
Molti popoli sono rifugiati in Calabria nei millenni, greci fenici egizi armeni maltesi siculi siriani giudei arabi maroni goti albanesi francesi valdesi spagnoli aragonesi giudei forse slavi portoghesi/spagnoli turchi chi lo sa quanta genetica forestiera si trova nei paesi nascosti nella calabria. Piu che in sicilia o altre regioni ditalia.
Il Napoletano e Napoletano. Il Barese e Foggiano non deriva nulla da esso. Qualche parola si scambia ma non lintero dialetto.
Il Cosentino e una strana lingua mischiata di arabo giudeo latino greco albanese pugliese longobardo spagnolo napoletano. Dipende dalle citta. I dialetti calabresi sono piu varie ditalia.
Donc, cher giacomo says, tu attribue l’utilisation d’une langue traditionnelle et historique à une question de scolarité, et puisque les piemontais seraient plus instruits que les napolitains, ils aurait perdu leur dialecte. Mais quelle présomption ! Je crois que seulement quelqu’un totalement dépourvu de culture et totalement détaché de tout notion anthropologique puisse affermir une chose si banale. Cher ami, peut être c’est mieux de recommencer l’école primaire, mais cette fois-ci avec un prof capable!
Ben detto.Aggiungerei Poi, se Unesco riconosce una lingua come tale e riconosce che è a pericolo di estinzione si può dire tranquillamente che ha riconosciuto che è una lingua e che è un patrimonio in via di estinzione.E direi abbreviando che si tratta di un “patrimonio linguistico del sud italia in via di estinzione’ ,da salvaguardare.(sennò manco ne parlavano)
Come la costituzione italiana recita in merito ai patrimoni linguistici(…dategli un occhiata ,Non fa male!!!)
Non ho mai sentito che avessero proferito in merito al “canto del cuculo” asserendolo come lingua in via di estinzione……
E già qui chi asserisce che sia una bufala….sta già dicendo una bufala di suo…o non comprende a pieno il significato di “lingua”…”in via di estinzione”…o fuorvia il senso.
Ovviamente fintanto che qualcuno non legge un documento controfirmato dall’Unesco dove vi è scritto PATRIMONIO DELL’UNESCO (come si fa con le isole WWF apponendo cartelli ai confini di proprietà) …L’ignoranza e anche un Po l’invidia ha spazi per dubitare di cosa é palese per chi sa interpretare l’italiano.
Punto due….qualcuno delle persone che ha scritto della bufala….ha mai chiesto la visione del documento in merito all’Unesco???…e’membro dell’Unesco?…siede alla commissione o consiglio o ha modo di leggerne le dispense?….in breve…non riempite pagine di disinformazione online….piuttosto,dall’alto della vostra voglia di informare il pubblico…PUBBLICATE IL DOCUMENTO ORIGINALE(..E NON 4 RIGHE ALLA RINFUSA) …DOVE SE NE FA MENZIONE IN MERITO ALLA LINGUA NAPOLETANA CON LINK ANNESSI A PROVA DI CIÒ CHE ASSERITE…..DIVERSAMENTE QUESTA PAGINA HA LA STESSA VALENZA DELLE BUFALE CHE GIRANO SUL WEB…..ANZI PURE PIÙ TRISTE DIREI.
Esatto. Antonio ha spiegato molto bene la questione. Pare che gli pesa ammetterlo a molti. Mah..
A mio parere vanno distinti il livello culturale raggiunto dallo Stato delle due Sicilie e il tasso di istruzione popolare. Il primo era tra i più alti d’Europa, il secondo era inferiore rispetto agli stati pre-unitari del nord Italia, ma non per una volontà dei Borbone, che nel 1818 avevano istituito la scuola primaria pubblica per tutti, quanto per l’interesse a mantenere dominio e privilegi da parte dell’aristocrazia e dei ceti sociali più elevati. In molti Comuni la figura del maestro, già istituita, era osteggiata e non venivano destinati fondi per la retribuzione e per il sostentamento. Invece in altri Comuni venivano mantenuti e l’istruzione popolare era favorita.
Questo però non vuol dire che il livello culturale della popolazione era basso. Non dimentichiamo che molte cose si apprendono per trasmissione orale o per la presenza di testimonianze storiche, monumenti, opere d’arte. Molte città meridionali, Napoli ad esempio, erano e sono un enorme esteso museo. La narrativa nasce dal basso, nei vicoli e nei paesi, poi diventa “lo cunto de li cunti”. La parola “colta” (veicolo di ricchezza culturale, quindi allegorica, ironica e intelligente), è un fatto sociale che non dipende dall’alfabetizzazione.
Va aggiunto che nell’ambito urbano o produttivo vi erano spesso realtà di formazione professionale avanzate. Si prendano le scuole professionali nautiche che fiorirono nell’area napoletana (ad esempio a Procida) nella seconda metà del ‘700. Oppure la formazione delle maestranze delle industrie ferriere di Mongiana e di quelle tessili della Sicilia. E gli esempi si potrebbero sprecare. L’unità di Italia poteva essere l’occasione per rompere i privilegi, ma sappiamo bene che invece fu l’alleanza tra ceti ricchi del nord Italia con i latifondisti (sempre ricchi) del sud, un patto scellerato che serviva per mantenere il sud in una condizione coloniale, sotto il controllo di un ceto corrotto ben ricompensato, per centrare nelle regioni del nord produzioni industriali fondamentali (ferro, nautica, tessile, ferrovia …) e ricchezze finanziarie (quelle del Banco di Napoli).