Nei giorni scorsi sono uscite alcune notizie positive sui progressi nella salvezza di alcune rare specie animali.
Questo mi ha spinto a fare alcune riflessioni.
- Dopo un’assenza di 10.000 anni (diecimila!) degli esemplari di bisonte europeo sono stati reintrodotti in Spagna. Nei giorni scorsi è nato il primo cucciolo. Una politica di reinserimento come questa era stata sperimentata con successo anni fa in Polonia. Prima, il bisonte europeo sopravviveva soltanto negli zoo (articolo della Stampa del 23 maggio 2016).
- Il gipeto, maestoso uccello predatore, ritorna sulle Alpi della Val d’Aosta. In Italia era estinto (a causa della caccia) dal 1913. Una lenta politica di reinserimento, cominciata negli Anni Ottanta, ha fatto sì che oggi questa specie sia tornata a riprodursi con successo anche dalle nostre parti. (articolo della Stampa del 24 maggio 2016).
- L’International Union for Conservation of Nature sta valutando di dichiarare i panda non più specie in via di estinzione, bensì “vulnerabile”; un passo importante per l’animale simbolo del WWF e di tutte le specie a rischio di scomparsa (articolo del Corriere della Sera del 4 giugno 2016).
Queste belle notizie sono state possibili grazie all’impegno e alla dedizione degli esperti e al sostegno delle istituzioni. Una politica intelligente e lungimirante, che ha ben capito l’importanza della biodiversità: perché essa aiuta a creare un habitat più sano e un maggiore equilibrio ambientale, e contribuisce a salvare questi animali dall’oblio che ha divorato molte altre specie; in più, può costituire un ottimo incentivo al turismo.
Nessuno, ovviamente, accusa questo genere di politica di voler compiere qualcosa di artificiale e forzato, incompatibile con la realtà odierna.
Questo ci può portare a fare un bel parallelo tra le specie a rischio di estinzione e le nostre lingue minoritarie.
Infatti, la difesa della biodiversità, nei principi e negli scopi, non è molto differente dalla difesa della diversità linguistica e culturale.
E, esattamente come gli animali più rari, anche le nostre lingue hanno bisogno di rispetto e di cura. Non solo:
- va. Nnno protette da chi, più o meno in buona fede, le vorrebbe veder scomparire o ridotte al minimo;
- ne va sostenuta la tutela e il reinserimento, con politiche specifiche e precise;
- vanno combattuti i luoghi comuni su di esse (così come si è fatto per alcuni animali, come il lupo o lo squalo);
- bisogna assicurarsi che possano avere un ricambio generazionale;
- bisogna educare la popolazione a vederle di buon occhio, a capire quanto sia importante (e conveniente) che sopravvivano;
- servono attivisti seri e competenti , (e qui abbiamo già cercato di tracciarne un profilo) che sappiano sensibilizzare l’opinione pubblica, gli intellettuali, le istituzioni;
- ne va monitorata e testata la vitalità;
- devono essere, infine, messe nelle condizioni di “andarsene con le proprie gambe“;
Se non abbiamo problemi a impegnarci così tanto per i nostri fratelli animali, perché non dovremmo farlo anche le nostre lingue, la nostra cultura, le nostre diverse specificità?
Anche perché dobbiamo tenere a mente un fatto importante: al contrario di certi animali ormai scomparsi, le nostre lingue sono ancora vive e presenti nella nostra società. Non si tratta di un reinserimento “artificioso”, fuori tempo massimo: è invece qualcosa che si può attuare in modo efficace e naturale. Sempre che si voglia cogliere questa occasione.
BONUS TRACK: su questo tema, con un paragone simile, si è espresso un paio di anni fa Dellino Farmer, rapper bresciano (e amico del nostro Comitato), con una canzone dall’emblematico titolo Come i panda. Buon ascolto!