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Difendiamo le lingue e i dialetti d'Italia

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Come reagire davanti alle statistiche

by Pietro Cociancich 1 Comment

Nei giorni scorsi alcuni dati ISTAT hanno certificato quello che è noto da tempo: i “dialetti” sono a rischio estinzione.

Secondo le statistiche, ormai solo il 14% dei cittadini italiani usa in modo esclusivo le lingue regionali in casa (dunque non mischiandole con l’italiano). Questo a dispetto di “indagini” un po’ pressapochiste che, a metà novembre, proclamavano il ‘boom del dialetto’ tra i giovani. Anzi, sono proprio i giovani coloro che usano di più l’italiano.

La verità è un’altra: le lingue regionali e minoritarie d’Italia stanno scomparendo, nell’indifferenza più o meno esplicita di buona parte del mondo politico e culturale. Anzi, non è un mistero che parte dell’élite italiana continua a vedere nei “dialetti” un  relitto del passato da abbandonare al più presto.

Ora, di fronte a questi dati si può reagire in due modi diversi: certo, ci si può rassegnare; si può dire che è un destino inevitabile; che tanto i ‘dialetti’ non sono fatti per la modernità; che, in nome di una specie di selezione naturale, è normale che certi linguaggi spariscano; che è inutile rivangare un tempo che ormai non c’è più.

È una via facile: la si sente ripetere in strada, in televisione, nelle interviste, e anche da parte di persone (poeti, attori, cantanti…) che teoricamente “lavorano” con le lingue locali. E quante volte abbiamo sentito spiegare da sedicenti “esperti di dialetto” come essi siano gli ultimi custodi di una lingua quasi perduta.

Certamente questa è la strada più comoda, che tanti già percorrono. Ma non è quella che interessa a noi.

Sinceramente, noi riteniamo che la scomparsa di una lingua non sia “un fatto inevitabile”, né “un accidente della storia”.

Crediamo invece che sia una perdita culturale e storica enorme, che porta sé traumi e che impoverisce il nostro Paese: e che soprattutto sia un vero e proprio sopruso nei confronti dei tanti italiani che (grazie a Dio) ancora parlano ogni giorno questi idiomi.

Riteniamo inoltre che non sia più accettabile l’ignavia con cui il mondo della cultura e le istituzioni prendono atto di questa erosione linguistica, che non avviene nelle savane africane o nella giungla del Borneo, ma nelle nostre città e campagne.

A noi interessa fino a un certo punto disquisire del perché e del percome una data parlata non goda dello stesso prestigio dell’italiano: a noi preme cambiare questi dati.

Non è nostra intenzione difendere i “dialetti” perché lingue del cuore e del bel tempo che fu: a noi interessa tenere vive delle lingue che, come tali, hanno diritto a essere considerate “normali“, e sullo stesso piano di tutte le altre, e in tutti i contesti che offre la società globale del XXI secolo.

In questo, abbiamo dei precedenti in Europa che ci confortano e che ci indicano la strada: casi felici di lingue date ormai per spacciate ma che, con una politica linguistica lungimirante, hanno trovato (e sfruttato) una seconda occasione.

Non vogliamo nemmeno polemizzare con chi la pensa diversamente come noi, o rinfacciare il disfattismo di chi non ha passato la propria lingua ai figli o sostiene che sia troppo tardi. Hanno fatto una scelta: noi contrapponiamo loro la nostra, che è più valida e positiva.

Continuiamo quindi a essere convinti di alcuni concetti fondamentali:

  1. bisogna smettere di considerare i “dialetti” delle specie di registri bassi dell’italiano;
  2. bisogna smettere di considerare “speciale” la situazione linguistica italiana, come se solo in Italia ci fossero altre lingue accanto a quella nazionale;
  3. bisogna smettere di mischiare, in un mix letale, la tutela delle lingue locali e vaghissime rivendicazioni politiche.

E al contempo:

  1. insegnare che il multilinguismo è un valore aggiunto, e una potenziale fonte di ricchezza per il nostro paese e per i nostri figli;
  2. insegnare che non esistono lingue migliori o peggiori delle altre;
  3. insegnare che la politica e la cultura possono dare un grande contributo per creare una società più rispettosa della propria storia e dell’identità dei propri cittadini.

Ci rendiamo conto che tutto ciò costa molto: c’è in gioco un profondo cambiamento culturale, che mette in discussione molti aspetti dell’identità italiana così come si è formata dal XVI secolo in poi. Ma, per salvaguardare il nostro straordinario patrimonio linguistico, sono passi necessari.

Di fronte a certe statistiche, tristi ma prevedibili, si può insomma reagire in due modi: rassegnarsi e viverle come una condanna; oppure impegnarsi concretamente perché possano cambiare nei prossimi anni. Il Comitato per la Salvaguardia dei Patrimoni Linguistici ha scelto il secondo. Per riuscire nel nostro obbiettivo, però, abbiamo bisogno di tutti gli uomini e le donne di buona volontà.

Sappiamo che è una sfida dura: ma è una delle più belle che si possano trovare oggi in Italia!

 

 

 

 

Filed Under: Riflessioni Tagged With: Dialetto e italiano, Glottofobia, Linguistica italiana, Politica linguistica

About Pietro Cociancich

Sono nato nel 1991 a Milano, dove sono cresciuto e vivo ancora.

Ho fatto il liceo classico e ho studiato Storia all'Università Statale di Milano.
Sono cresciuto parlando solo italiano, e ho conosciuto il lombardo nel 2007, grazie all'edizione di Wikipedia in questa lingua. Da lì ho iniziato a studiare e imparare quella che io definiscono la mia “lingua adottata”.

Sono stato collaboratore e amministratore della Wikipedia in lombardo per quasi dieci anni.

Sono tra i fondatori del CSPL nel 2013, e dal 2014 ne sono il portavoce nazionale. Nel 2013 ho tradotto il De Vulgari Eloquentia di Dante in lombardo e ho vinto un premio letterario a cura dell'Associazion Linguìstica Padaneisa.

In questo sito mi occupo, tra le varie cose, di descrivere le diverse lingue d'Italia e smontare alcuni luoghi comuni riguardo ad esse.

Mi piace la politica, lo scoutismo, la montagna, l'umorismo da quattro soldi, girare in bici, la musica anni '70, vedere film tamarri al cinema, fotografare col telefonino, fare polemiche, compilare liste come queste.

Tra i miei progetti c'è la realizzazione di un grande dizionario per la lingua lombarda,

Comments

  1. Giovanni Pontoglio says

    Gennaio 8, 2018 at 2:04 pm

    Ho alcuni dubbi sull’attendibilità delle statistiche ISTAT, basate (a quanto mi risulta) su autodichiarazioni, che potrebbero, anche in buona fede, non corrispondere agli usi effettivi: troppo poca è la chiarezza d’idee sul termine “dialetto”, che non è sempre prevedibile se i parlanti distinguano con chiarezza tra parlare locale più o meno schietto, italiano con accento regionale e farcitura di dialettismi, commutazione di codice ecc. Aggiungo poi che una media a livello nazionale ha poco senso, perché comunque andrebbero scorporati di dati relativi all’Italia centrale, dove i limite tra dialetto locale e italiano regionale è difficile o impossibile da tracciare anche per il dialettologo, figuriamoci per il parlante non specialista!
    In ogni caso la tendenza evolutiva è chiara ed è preoccupante.
    I numeri però, con tutte le riserve di cui sopra, non sono ancora così bassi come, ad es., in quasi tutta la Francia, e la “Bassa” Germania (cioè il nord, dove si parla[va] il bassotedesco). Là però la salvaguardia delle lingue regionali è argomento di discussione (almeno in parte) seria, politica (trasversale agli schieramenti!) e culturale. Da noi invece… dovremo aspettare a quando i numeri saranno quelli francesi e tedeschi?

    PS. è di questi giorni la notizia che anche il Land Nordrhein-Westfalen, finora non molto sensibile a questi temi, ha dato il via libera ai cartelli toponomastici con traduzione in bassotedesco. E’ certo un passo piccolo piccolo, comunque un segnale positivo.

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