Per ogni borgo italiano c’è un dialetto tipico peculiare. Se facciamo un po’ di conti ci accorgiamo che sarebbero più di 8000. Come si fa a salvaguardarli tutti? La spiegazione che ti presenterò nel mio articolo è completamente controintuitiva, ma funziona…
Mi aggancio ad una notizia relativamente frivola relativa alle elezioni francesi per fare un discorso serio. Il candidato socialista Benoit Hamon ha rinunciato al suo accento locale bretone durante la campagna elettorale.
Per noi in Italia l’accento in politica non conta nulla. Abbiamo anche avuto un premier, Matteo Renzi, che aveva un marcato accento fiorentino, eppure nessuno si è scomposto.
Ma in Francia è diverso.
La forte glottofobia francese spesso colpisce anche gli accenti del francese fuori dallo standard parigino, oltre alle lingue locali come il bretone, l’alsaziano o l’occitano.
Ciò non toglie che anche in Italia ci sia un atteggiamento volto a elevare lo standard linguistico (e chi lo usa) su un piedistallo.
Mi è capitato diverse volte di conoscere persone che dopo un corso di dizione si sono montate la testa e si sono messe a dispensare a noi poveri mortali l’italiano corretto, demolendo il nostro modo di parlare in quanto scorretto e pericolosissimo per l’unità linguistica italiana.
Quel che è peggio è che molti venivano ammaliati dal loro standard. Sembravano ipnotizzati dalla pronuncia artificiale da speaker radiofonico, e non davano la giusta attenzione ai contenuti.
Ma l’italiano standard non è una divinità. E’ solo l’accento di riferimento di una lingua con tanti accenti diversi.
Aspetta però… chiariamo una cosa.
Accenti o dialetti?
Quelli che in Italia chiamiamo accenti sono i veri e propri dialetti dell’italiano. Si tratta di varietà della stessa lingua, che seguono le medesime regole generali. Questo le rende comprensibili a tutte le persone che parlano la lingua italiana. Nonostante ciò, si differenziano tra loro a livello fonetico, e anche grammaticale.
Lo so che sembra strano, perché a scuola ci hanno insegnato a pensare all’italiano come una lingua unica che equivale allo standard delle grammatiche. Un monolite che deve per forza essere uguale dal Brennero a Lampedusa.
Eppure la cosa veramente strana sarebbe proprio quella che ci insegnano a scuola! Infatti, le lingue non equivalgono al proprio standard.
Tutte le lingue vanno viste come contenitori di dialetti. Non esiste nessuna lingua che viene parlata tutta uguale in tutto il suo dominio linguistico. Infatti la variazione è nella natura delle lingue.
La vera questione non è capire se c’è differenziazione. Quella c’è sempre. La vera questione è quantificarla.
A questo punto arriviamo al tema fondamentale:
se diamo troppa importanza all’italiano standard, possiamo cadere nel problema opposto?
Insomma:
Ci preoccupiamo troppo dei dialetti locali?
Ebbene sì! E le cose non sono in contraddizione.
Se da una parte cerchiamo di minimizzare le differenze interne dell’italiano, quando si parla di “dialetti italiani” facciamo il contrario: cerchiamo di esaltarne ogni più piccola differenza.
Ma anche questo atteggiamento è sbagliato! E ora ti spiego perché.
Noi siamo abituati a pensare ai dialetti italiani come ad entità separate fra loro. In realtà fanno tutti parte di sistemi di dialetti simili: sono quelli che noi chiamiamo lingue regionali.
Come ti ho spiegato prima tutte le lingue sono per loro natura contenitori di varianti simili. Questo a prescindere dal fatto che abbiano uno standard (come l’italiano) oppure che non ce l’abbiano (come molti “dialetti italiani”).
Ma questo molte persone non lo sanno. E quindi continuano a vedere ogni dialetto come un mondo a sé.
Una lingua per ogni campanile?
Avrai ancora sentito parlare dell’Italia come un luogo linguisticamente ricchissimo dove si parlano 8000 lingue diverse, una per ogni comune!
Sì, perché nel comune accanto già non si capiscono perché per dire ‘latte’ dicono lacc al posto di lat!
Ovviamente ogni “lingua comunale” è un patrimonio da conservare tale e quale nei secoli. Ma proprio uguale eh!
Ah, è anche chiaro che si fa riferimento al “dialetto di una volta”, quello che era quasi una filastrocca e si parlava correndo nei campi dove avevano appena mietuto il grano. E che oggi, naturalmente, non è più puro perché si è mischiato con l’italiano perdendo gran parte del suo valore prezioso.
Quindi cosa c’è di meglio se non metterlo dentro un barattolo dei ricordi e conservarlo in cantina sotto chiave?
Se fino ad ora ti sei trovato in queste definizioni… mi sa che hai bisogno di un po’ di ripasso in pianificazione linguistica. Perché quello che ho descritto è, per la scienza, è uno degli approcci migliori per fare sparire in fretta una lingua.
Insomma questo atteggiamento così diffuso di “amore per il dialetto” in realtà fa male alle lingue d’Italia. Non a caso è l’atteggiamento verso il “dialetto” che viene sponsorizzato da chi vuole la supremazia linguistica dell’italiano.
Infatti questa impostazione fortemente divisiva rende impossibile una seria tutela della lingua.
Ti dimostro come.
Se tu parli una lingua regionale con cui ti puoi fare capire in un raggio di 100 km, hai molte possibilità di parlarla dentro e fuori il tuo paese. Il bacino di utenza infatti è molto ampio, con migliaia se non milioni di potenziali interlocutori.
Ma tu inizi a pensare che puoi parlare la tua lingua locale solo con le persone del tuo paese perché gli altri non ti capiscono. Il raggio di azione dove puoi impiegare la lingua è ora di pochi chilometri. A volte poco più dei confini di un comune. Fai 5 minuti in bicicletta e già sei costretto a parlare in italiano.
Alla lunga parlerai italiano anche a casa tua. I tuoi figli, di fronte a un idioma così poco usato, saranno sempre meno motivati ad utilizzarlo.
E così la lingua locale muore.
Vuoi un esempio pratico?
La lingua lombarda è stata considerata fino a pochi anni fa come un insieme di dialetti indipendenti per ogni paese, e infatti oggi non è molto in salute.
Guarda invece il catalano. Viene trattato come lingua vera e propria e vive molto bene. I Catalani sanno che possono parlare il loro dialetto locale in tutta la Catalogna e quindi sono molto motivati a conservare la lingua.
Come salvare i dialetti locali
Per salvare dalla morte i dialetti italiani bisogna dare loro una lingua tetto. Solo così verranno sottratti dal letale abbraccio dell’italiano.
Ma cosa significa “lingua tetto”?
In breve, si tratta di utilizzare una varietà di riferimento che funge da guida (o appunto da tetto) per tutte le varietà della lingua.
La lingua tetto è quindi un dialetto “illustre” che difende i dialetti locali dalla deriva linguistica.
Non deve sostituire i dialetti locali. Non è un esperanto regionale, sia chiaro. Ma solo una varietà sovradialettale che viene “declinata” secondo gli usi linguistici locali.
La lingua tetto viene accompagnata anche da una grafia comune polinomica, cioè un’ortografia studiata per scrivere in modo simile tutti i dialetti di una lingua mantenendo la specificità di ognuno di essi.
Ti faccio un esempio molto semplice di come funziona la questione della lingua tetto, in modo che tu capisca la sua utilità.
Se devi usare una parola che non conosci e che non esiste nel tuo dialetto, ora come ora la prendi dall’italiano. Alla lunga però il tuo dialetto si annacquerebbe. Perderesti le parole bergamasche immettendo sempre più parole italiane. Il “dialetto” diventerebbe sempre più un “italietto”.
Con la lingua tetto questo non accade, o per lo meno accade molto di meno. Infatti, avrai a disposizione le parole colte della varietà tetto lombarda. Quindi non sarai obbligato a fare riferimento all’italiano per i termini che non conosci. La tua lingua lombarda (e la tua variante bergamasca) sarà quindi più pura.
Molti però hanno un timore.
La lingua tetto farà estinguere i dialetti locali?
No. Timore infondato.
Dove è stata introdotta una varietà di riferimento (Grigioni, Ladinia, Sardegna, Catalogna), i dialetti locali sono parlati come prima. Anzi più di prima! Nessuno, tranne pochissime persone, parla veramente nello standard linguistico. Persino gli stranieri, dopo una fase di apprendimento dello standard, apprendono il dialetto locale.
C’è da dire una cosa. Sicuramente, la comunicazione tra persone che parlano diversi dialetti porterà a un mescolamento di parole, modi di dire e costrutti grammaticali. Ma non ci sarà in nessun caso una estinzione linguistica.
La lingua tetto standardizzata non si imporrebbe nemmeno in caso di estinzione completa di un dialetto locale.
Prendiamo un caso estremo. Anche se non succederà, facciamo finta che il mio milanese sparisca completamente dalla città di Milano.
Milano è condannata al monolinguismo italiano? Non per forza!
Riportare il milanese nelle scuole richiederebbe un lavoro di ingegneria linguistica. Bisognerebbe formare insegnanti di milanese che prendono a riferimento la varietà locale, seppure estinta, e la insegnano ai ragazzi. Quindi niente imposizione dall’alto di un “esperanto lombardo standard” come molti credono.
Così il milanese, da lingua estinta, si rivitalizzerebbe.
Però, a causa dei contatti con lombardofoni di altre località della Lombardia, perderebbe alcune caratteristiche peculiari che si sentono solo all’ombra del Duomo. Nel milanese potrebbero comparire modi di dire tipicamente bergamaschi, bresciani, ticinesi, lodigiani…
Già mi immagino la reazione dei puristi del milanese: Eresia! Il milanese è quello e non si tocca!
Ma le lingue e i dialetti si evolvono continuamente: Il milanese del Varon Milanes è diverso da quello della Ninetta del Verzee. Che male ci sarebbe se il milanese del 2100 fosse diverso da quello della grammatica del Beretta?
L’alternativa al purismo linguistico comunale è la definitiva scomparsa del meneghino. Quindi è meglio che viva, anche se mutato!
In conclusione
Come ovvio per i linguisti, la considerazione unitaria delle lingue regionali è l’unico modo per salvarle. Non ci sono altri modi, con le associazioni locali, le pagine Facebook per ogni dialetto che ricordano i bei tempi non si va da nessuna parte.
Parlare di lingua regionale non significa però volere male ai dialetti locali e cercare di sostituirli con uno standard linguistico artificiale. Ogni dialetto è importante, purché sia inserito all’interno di una grande famiglia di dialetti che è la lingua regionale.
Sì, è possibile che alla lunga si perda qualche tratto peculiare del dialetto del paese, ma questo è sempre accaduto perché le lingue cambiano continuamente. E poi è di gran lunga preferibile avere un dialetto locale più “sovralocale” all’estinzione totale della parlata!
Comunque vada, il punto fermo della questione è uno: solo considerando le lingue d’Italia per quello che sono, cioè lingue e non dialetti, parlate o vernacoli, possiamo agire in modo da salvarle.