Camillo Brero (in piemontese Milo Bré) è morto ieri mattina. Nato nel 1926, aveva 91 anni.
Già insegnante e impiegato, ha dedicato la sua vita allo studio e alla difesa della lingua piemontese. Nel corso degli anni, ha compilato grammatiche e dizionari, ha curato riviste, ne ha studiato la letteratura, è stato lui stesso autore e poeta.
Sin da giovane, si legò alla compagnia dei Brandé, cioè quel gruppo di autori e poeti che, alla fine degli Anni Venti, iniziò a codificare e razionalizzare la grafia letteraria del piemontese. Di quella generazione Brero fu uno degli eredi, e a sua volta ispirò almeno altre due generazioni di difensori della propria lingua.
Insomma, Camillo Brero è stato uno dei giganti della lingua piemontese nel Novecento. La Stampa, dando la notizia della sua morte, lo chiama giustamente uno dei padri moderni della lingua piemontese.
Eppure, si può dire che l’influenza di Brero (e dei suoi contemporanei) non si fermi al solo ambito piemontese. Le posizioni e le opinioni da lui espresse nel corso degli anni riguardo la tutela delle lingue locali sono tra i fondamenti dell’azione del Comitato per la Salvaguardia dei Patrimoni Lingustici.
A Brero e agli altri della sua generazione dobbiamo molta della consapevolezza linguistica a cui siamo arrivati adesso. Sono stati loro, infatti, tra i primi a parlare di “lingue” in modo coerente e consapevole. Sono stati loro tra i primi a rivendicare il diritto delle lingue locali a vivere anche nell’era moderna.
Se persone come Camillo Brero non avessero espresso questi concetti decenni fa (quando era ancora più difficile) forse noi non saremmo qui.
Il che non vuol dire che alcune posizioni non possano essere messe in discussione: è vero, il piemontesismo storico ha avuto grandi meriti. Ma è anche vero che forse ha anche peccato di autoreferenzialità rispetto alla situazione delle altre lingue locali.
Tuttavia, riteniamo sia importante rendere omaggio alla passione di questi autentici pioneri, degli anticonformisti nel vero senso del termine. Di essi, Camillo Brero era uno degli ultimi testimoni.
Per rendere chiaro quanto fossero attuali le posizioni espresse da Brero, basterà citare l’introduzione al suo storico vocabolario piemontese-italiano, pubblicato nel 1978. Benché siano passati quarant’anni, le sue parole risuonano valide oggi più che mai, e mostrano una visione della lingua che è molto più moderna di quella di tanti dialettologi.
Potrebbero negare l’attuale necessità di un vocabolario Italiano-Piemontese soltanto coloro che preferiscono nascondersi nell’anonimato linguistico.
Non così, invece, quanti credono ancora nei valori della cultura popolare, come insostituibile sorgente di vita per la cultura riepilogativa delle nazioni-stato, quanti sentono l’intimo bisogno di ricostituirsi nell’ambito della comunità regionale e quanti, infine, riconoscono nell’espressione linguistica la manifestazione di una libertà contrapposta all’amorfismo della cultura pianificata e commercializzata.
È per questo credere e questo sentire che abbiamo accettato l’invito […] di allestire un Vocabolario essenziale della lingua piemontese, che potesse offrire ai piemontesi di nascita la possibilità di risciacquare il proprio linguaggio contaminato, ed ai piemontesi di elezione una maggior facilità di acquisire ed arricchire la lingua di casa.
Ben diversi erano i motivi che avevano ispirato la compilazione di vocabolari piemontesi nel secolo scorso. Allora, infatti, si intendeva avviare i piemontesi all’apprendimento della lingua italiana in un clima di sano e equilibrato nazionalismo, nel rispetto della ricchezza originale dei popoli. Il bilinguismo poteva essere unità e libertà. Ma venne il fascismo e fu peccato e vergogna parlare come popolo libero. La lingua doveva essere una sola, come uno solo era il capo a cui era consentito pensare. Cadde il fascismo, ma l’assurdo continuò. E per alcuni – troppi – ancora oggi è peccato e vergogna parlare come popolo libero – pur in uno stato libero – ed il bilinguismo naturale – dialetto e lingua – è ritenuto minaccia all’unità nazionale.
Noi crediamo fermamente il contrario. E crediamo alla necessità che i popoli vivano in tutta la loro ricchezza ed originalità per rinnovare ed arricchire l’anima del mondo.
Oggi pertanto un vocabolario piemontese non può che essere uno strumento di riconversione per quanti soffrono l’umiliazione della cultura preordinata dall’alto e condizionata dall’economia standardizzata e materialistica.
E sono particolarmente i piemontesi delle nostre città; poiché nelle nostre campagne tutti sono ancora a noi marstri di lingua pura e genuina. Questi potrebbero forse scandalizzarsi della povertà del nostro vocabolario. A loro chiediamo venia!
[…]
Ci auguriamo, comunque, che la nostra opera riesca a far apprezzare la ricchezza e la bellezza della nostra lingua e convinca molti non solo a parlare e leggere, ma anche a scrivere in piemontese. Noi saremmo soddisfatti. Altri faranno meglio di noi.