Gli italiani regionali sono quelle varietà d’italiano – maggioritarie tra la popolazione della Penisola – che sono influenzate dalle lingue regionali e dai dialetti parlati prima della diffusione della lingua italiana al di fuori della Toscana: di questo se ne sono già occupati due articoli scritti da Michele Ghilardelli e Pietro Cociancich, per cui non approfondirò oltre, limitandomi a fornire la definizione per coloro che eventualmente non avessero mai sentito parlare di questa espressione.
Questo articolo, che di certo non ha pretese di esaustività – per farlo ci vorrebbe un intero saggio ad esso dedicato – , si propone di sottolineare alcuni elementi essenziali delle forme d’italiano parlate in Sicilia.
Un profilo rapido
L’italiano regionale di Sicilia, come tutti gli altri italiani regionali (e generalmente ogni codice linguistico), non è uniforme al suo interno, ma varia a causa di diversi fattori:
- la diastratia (ovvero la variazione in base allo status sociale del parlante);
- la diatopia (quella che avviene a seconda dello spazio geografico: ad esempio l’italiano regionale usato a Palermo sarà leggermente diverso da quello usato a Catania, perché potrà rispecchiare le differenze presenti tra i dialetti palermitano e catanese del siciliano);
- la diafasia (cioè quella dovuta al contesto);
- la diamesia (la variazione influenzata dal mezzo di comunicazione);
- la diacronia (quella, infine, riguardante i cambiamenti nel tempo: in altre parole un fenomeno linguistico può essere presente in un dato arco cronologico e poi diventare obsoleto).
L’italiano regionale di Sicilia abbraccia tutta l’isola, ma esso può comprendere anche quello parlato a Reggio Calabria. Come ho avuto modo di spiegare più in dettaglio in un mio precedente articolo, infatti, il dialetto urbano reggino è a tutti gli effetti associabile alle parlate della Trinacria, discostandosi da quelle usate nel resto della Calabria (anche da quelle appartenenti al medesimo gruppo: la Sicilia e la Calabria centro-meridionale, assieme al Salento, sono inclusi nella categoria di dialetti denominata meridionale estremo, che secondo diversi enti internazionali – per maggiori dettagli vedere qui – potrebbe essere riunita nella lingua siciliana).
E’ una questione che pare non essere sufficientemente messa in evidenza dalla dialettologia italiana – uno dei pochi riferimenti bibliografici che personalmente ho avuto modo di trovare e che lo dicessero in maniera esplicita è quello tratto dal libro I dialetti delle regioni d’Italia di Giacomo Devoto e Gabriella Giacomelli (Sansoni, Firenze, 1972) – , la quale spesso tratta separatamente Sicilia e Calabria quasi come fossero due blocchi totalmente distaccati.
Alcuni degli elementi dell’italiano di Sicilia sono condivisi con le altre zone che coprono l’areale del meridionale estremo – cioè come detto Calabria centro-meridionale e Salento – , e qualcuno perfino con tutto il Meridione.
Alcune caratteristiche generali dell’italiano di Sicilia
Le consonanti retroflesse
Nella lingua siciliana sono presenti diversi suoni assenti nell’italiano standard e nelle altre lingue regionali del nostro Paese (anche se alcuni di questi hanno influenzato almeno due lingue minoritarie parlate all’interno dell’areale del meridionale estremo: il greco d’Italia e il gallo-italico di Sicilia), e che questi – come dirò più avanti – influenzano l’italiano parlato dai siciliani.
Questi suoni a cui mi riferisco, in fonetica, sono chiamati retroflessi: si pronunciano innalzando e portando leggermente all’indietro la punta della lingua, facendo sì che la parte della lingua che si trova subito dietro la punta venga in contatto con gli alveoli o con la parte anteriore del palato.
Non tutte le consonanti retroflesse sono presenti in siciliano (e nell’italiano regionale di Sicilia). Quelle che ci sono – le elencherò con la definizione scientifica e con il corrispettivo simbolo IPA, cioè l’Alfabeto Fonetico Internazionale utilizzato a livello scientifico – sono:
- l’occlusiva retroflessa sonora [ɖ]
- la monovibrante retroflessa [ɽ]
- la fricativa retroflessa sorda [ʂ]
- l’occlusiva retroflessa sorda [ʈ]
Approssimativamente, potremmo dire che queste consonanti siano delle d, delle r, delle s e delle t pronunciate nella maniera descritta sopra.
La monovibrante retroflessa e l’occlusiva retroflessa sorda in siciliano non appaiono da sole, ma combinate tra di loro nel nesso consonantico -tr-, e con la fricativa retroflessa sorda in -str- (anche se in alcuni dialetti siciliani questo nesso è pronunciato senza l’occlusiva retroflessa sorda) e -rs-.
Molti siciliani trasferiscono nel loro italiano i nessi consonantici citati nel paragrafo precedente, per cui capita che in parole come scarso, tre, strada questi vengano pronunciati con i suoni retroflessi anziché con quelli in uso in italiano standard.
Uso generalizzato del passato remoto
E’ comune l’uso del passato remoto anche in luogo del passato prossimo (a differenza di gran parte del Nord Italia, dove si tende a fare esattamente il contrario, cioè ad usare il passato prossimo pure per riferirsi ad eventi lontani nel tempo), analogamente con quanto avveniva in latino col perfetto e in greco, ancora oggi, con l’aoristo.
Ciò avviene perché il passato prossimo non esiste in siciliano: le frasi italiane Stamattina è venuto Giuseppe e A quel tempo ebbi una mela in siciliano si dicono rispettivamente Stamatina vinni Giuseppi e Tandu eppi na puma.
Vocali E e O aperte
Come ho scritto nel mio articolo sulla Calabria, il siciliano presenta un proprio vocalismo tonico a cinque vocali, nel quale sono assenti le vocali che volgarmente vengono chiamate “e” e “o” chiuse – che l’IPA rappresenta con i simboli /e/ e /o/ – come nelle parole italiane pece e dono. Ciò significa che questi termini un siciliano tende spesso a pronunciarli con le “e” e le “o” aperte – simboleggiate da /ɛ/ e /ɔ/ – come in letto e parola;
A + complemento oggetto
L’accusativo introdotto dalla preposizione a, almeno secondo il Rohlfs (ma la questione è discussa), sarebbe un influsso del castigliano sul siciliano dovuto ai secoli del viceregno spagnolo (e che, da questo, si è trasferito nell’italiano regionale siciliano). E’ usato con gli esseri animati: ad esempio, *Ho chiamato a mia mamma – l’asterisco indica che la forma grammaticalmente è errata – anziché lo standard Ho chiamato mia mamma (cfr. sic. Chiamai a me’ mamma, sp. He llamado a mi mamá).
Nessi consonantici con N e M
In quasi tutta la Sicilia – escluse alcune aree della Città Metropolitana di Messina, così come nel reggino – avviene l’assimilazione dei nessi -nd- e -mb- in -nn- e -mm– (ad es., latino mundus e siciliano munnu; latino plumbum e siciliano chiummu). Ovviamente a volte questo si riscontra spesso anche nell’italiano lì parlato.
Raddoppiamento di alcune consonanti
Nell’italiano regionale di Sicilia si assiste a un generale raddoppiamento di -g- , -z- e -b– intervocaliche, anche laddove l’italiano non lo richiede nel parlato e/o nello scritto: es. *cuggino (cfr. sic. cugginu), *azzione (corretto nel parlato, errore nello scritto; cfr. sic. azzioni), *abbito.
Ovviamente questo raddoppiamento si riscontra anche nello scritto degli scolari e dei semicolti, così come in essi si riscontra l’ipercorrettismo – ovvero quando il parlante, nel tentativo di adeguarsi ad una forma che non padroneggia bene, corregge una forma giusta credendola sbagliata: in questo caso, pronunciando e scrivendo scempie (cioè singole) le tre consonanti sopracitate anche quando in italiano sono doppie – in casi come *regino anziché reggino oppure *abastanza al posto di abbastanza.
Prestiti dalla lingua siciliana
Ci sono interferenze, a vari livelli, di vocaboli siciliani, le quali avvengono soprattutto – anche se, ovviamente, non in maniera esclusiva – nelle interiezioni, tra le quali vanno segnalate l’imprecazione malanova! (lett. brutta notizia, per cui che tu abbia una brutta notizia!), manculicani! (lett. neanche i cani!, italianizzato in manco i cani!) e fora gabbu! (italianizzato in fora gabbo!): quest’ultime due usate principalmente per esprimere uno stupore negativo.
Va citata anche l’estensione del significato di mangiare, che in siciliano (mangiari/manciari) è usato anche nel senso di cibo: da qui, la sostantivizzazione del verbo anche nell’italiano della Trinacria.
Transitività di alcuni verbi
Un po’ come avviene in tutto il Meridione – e per il quale quest’ultimo viene spesso canzonato, anche nella satira – , alcuni verbi intransitivi come entrare, uscire vengono usati come transitivi: ad es., *esco il cane.
Il nesso -NS- diventa -NZ-
I siciliani generalmente hanno difficoltà nel pronunciare il nesso consonantico -ns- , inesistente in siciliano dove avviene la sonorizzazione della -s- in -z- (quest’ultima pronunciata come nella parola azione): da qui pronunce come *anzia e *inzieme;
Assenza degli avverbi di modo terminanti in -mente
In siciliano c’è l’assenza di avverbi di modo che in italiano terminano in -mente.
Neanche a dirlo, ciò si riflette nell’italiano dei siciliani: ad es., *mangiare lento in luogo di mangiare lentamente (cfr. sic. mangiari/manciari lentu).
Bibliografia consultata
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