Il siciliano ha nel suo lessico una serie di parole particolari, che divergono notevolmente dalle quelle diffuse nel resto del Centrosud, ma che hanno un sicuro corrispondente con il Nord.
Com’è potuto capitare?
Lo spieghiamo (con alcuni esempi) in questo articolo.
Un po’ di storia
Per risolvere questo enigma, bisogna tornare indietro nel tempo fino al Medioevo.
Il Medioevo siciliano è ricco di vicende storiche: d’altronde l’isola, posta nel centro del Mediterraneo, fa gola a molti potenti.
Essa dunque passa di mano dai Vandali ai Bizantini, per poi cadere nelle mani degli Arabi e poi dei Normanni (e in seguito alla dinastia sveva, agli Angioini…).
Tali conquiste non sono di certo indolori: anzi, le molte guerre combattute sull’isola (per esempio tra arabi e forze cristiane) portano allo spopolamento di vaste aree. Ne fanno le spese soprattutto la popolazione autoctona (spesso di lingua greca) e quella di origine musulmana – quest’ultima, non sempre gradita dai nuovi padroni dell’isola.
Insomma, a cavallo tra XI e XIII secolo i re di Sicilia avvertono il bisogno di invertire la tendenza. Per questa ragione, invitano sull’isola coloni da altre parti d’Italia: soprattutto nel Settentrione.
La risposta è positiva: a diverse ondate, molti abitanti del Nord Italia, conosciuti genericamente come lombardi (anche se probabilmente provenivano dall’attuale Piemonte sudorientale) si trasferiscono sull’isola, ripopolano antiche città e ne fondano delle altre.
A lungo andare, questa massiccia migrazione determina due effetti importanti:
- in alcuni paesi, i “lombardi” conservano la propria parlata fino al giorno d’oggi;
- la presenza settentrionale sull’isola influenza parte del lessico siciliano, sostituendo antiche parole autoctone;
Per questa ragione, il modello linguistico siciliano (che si estende, con diverse intensità, anche al di là dello Stretto di Messina), presenta alcune parole chiaramente settentrionali.
Questo fenomeno linguistico ha spinto Gerhard Rohlfs, uno dei più importanti studiosi delle varietà meridionali, a definire paradossalmente il siciliano come “il più settentrionale dei dialetti meridionali”.
Alcuni esempi di parole
In generale i settentrionalismi sono diffusi in tutta la Sicilia, e in Calabria più o meno fino sotto a Catanzaro (comprendendo dunque tutta la provincia di Reggio e quella di Vibo Valentia). Le isoglosse lessicali però non sono sempre nette: alcuni termini hanno un’estensione maggiore di altri.
Agugghja
Varianti: ugghja (Sicilia orientale, Palermo, Reggio), gugghja (Bronte, Calabria centromeridionale), guglia (Agrigentino), avugghja (Sicilia centrosettentrionale).
Questa parola, che significa “ago”, è un lieve adattamento siciliano del settentrionale aguggia. La parola ha origine dal latino acucula (diminutivo di acus), attraverso la forma intermedia *acucla. Essa è diffusa in tutta la Romània occidentale: vedi il portoghese agulha, lo spagnolo aguja, il francese aiguille, il lombardo guggia (varianti: goggia, voggia, viccia).
L’origine settentrionale della parola agugghja è riscontrabile dal fatto che la prima [k] dell’originale latino acucula è passata a [g]. Lo stesso si nota nell’evoluzione in ghj del nesso [kl] in *acucla, anziché il previsto chj.
Insomma, se la parola fosse originaria della Sicilia, avremmo *acucchja e non agugghja.
Nel resto del Centrosud si utilizza la parola acu.
Dumani
Il termine ha lo stesso significato dell’italiano domani, del francese demain, del lombardo doman.
Nel resto del Centrosud si usano derivati del latino classico cras.
Come parola, dumani ha un’estensione abbastanza ampia (forse anche per influenza dell’italiano?), arrivando a insidiare crai anche nelle province di Crotone e Cosenza.
Gruppu
Varianti: ruppu, roppu (soprattutto nella Sicilia centrale).
Tale parola significa “nodo”, ed è imparentata con l’italiano groppo, ma soprattutto con il galloitalico grop, con lo stesso significato.
Il termine è stato portato in Italia dalle popolazioni germaniche: deriva infatti dal gotico *kruppa. Anche in questo caso è chiaro che l’ingresso della parola in Sicilia non può che essere stato mediato dai coloni settentrionali.
Nel resto del Sud si utilizzano continuatori diretti del latino nodum (imparentato col germanico knot), quali nutu, nudu, nùreco.
La parola grupe è attestata anche in alcune varietà galloitaliche della Basilicata, a ulteriore riprova della sua origine settentrionale.
Pumu
Conosciuto anche nella variante puma, soprattutto in Sicilia orientale e nel Reggino. Legato al latino pomum, come il lombardo e piemontese pom, il veneto e ligure (spezzino) pomo e il francese pomme.
Nel resto del Centrosud si preferisce usare milu, o simili.
Orbu
Varianti: uòrbu (Sicilia sudorientale), ùorbu (Palermo).
Dal latino orbus, questa parola significa più propriamente “cieco”.
L’area di diffusione maggiore di questa parola al posto del classico caecus si estende in gran parte della Pianura Padana (Piemonte occidentale e Romagna esclusi) e della Liguria.
Un tempo era attestato anche in Francia, ma è stato sostituito già in epoca medievale dal tipo aveugle, di etimologia incerta.
Nel resto del Sud troviamo invece continuatori del latino tardo caecatus (per esempio nel calabrese centrosettentrionale cicatu); in Salento si dice anche cecu.
Il termine è presente anche nel gallosiculo come orb; a Piazza Armerina esiste anche il derivato nurbé (“accecare”).
Rùvulu
Altre varianti: rùvula, rùgulu.
Tale parola non è diffusa in tutta la Sicilia, ma solo nella parte più orientale e nei dintorni di Reggio. Essa si contrappone al siciliano e meridionale cerza.
Come nel caso del settentrionale rovol e del sardo (campidanese) orrole, anche rùvulu deriva dal latino robur.
La voce la ritroviamo anche nel gallosiculo: a Piazza Armerina è rovu.
Sòggiru
Questa parola è diffusa in tutta l’isola e nei dintorni di Reggio (nel resto della Calabria centromeridionale è più diffuso il tipo misseri).
Essa prende le distanze dal latino volgare *socerum, mentre in gran parte del Centrosud (soprattutto Campania, Puglia, Basilicata, alta Calabria) si conservano varianti derivate dal latino classico socrum: vedi per esempio il salentino suècru o il cosentino sòcru.
La derivazione settentrionale (anziché toscana) si nota dalla presenza della g anziché della c: il che fa pensare a un adattamento siciliano di voci come il ligure seuxo (la “x” si legge come la <j> francese), da mettere in relazione con il lombardo alpino soeuser e il friulano (della Carnia) suesar.
In gallosiculo (per esempio a San Fratello) si dice suòger.
Testa
Utilizzato in Sicilia e in Calabria centromeridionale al posto del pan-meridionale capu o capa.
Testa (che in origine in latino significava “vaso”) è un’innovazione lessicale che è diffusa in Toscana, in gran parte del nord (tranne la Lombardia centrale e il Friuli, dove si hanno continuatori di caput), più la Francia settentrionale.
Troja
L’utilizzo di troja per “scrofa” è originario della Francia e dell’Italia settentrionale. Alcuni etimologi hanno ipotizzato che sia una parola celtica, o quantomeno prelatina.
In realtà, la discendenza è chiaramente latina: sembra derivi dal latino volgare *troca (metatesi di *torca), diffusosi originariamente nell’area galloromanza (e questo spiega l’evoluzione di [k] in [j]). Sarebbero da scartare quindi i riferimenti letterari al porcus troianus (cioè infarcito di cibo, come il cavallo di Troia con i soldati).
Qualunque sia la vera origine della parola, nessuno ha mai messo in dubbio la sua area di diffusione: è facile capire che la sua presenza in Sicilia è sicuramente importata!
Bibliografia
- Raffaele Cotronei, Vocabolario del dialetto catanzarese, Catanzaro, 1895
- Karl Jaberg, Jakob Jud, Atlante linguistico ed etnografico dell’Italia e Svizzera meridionale (AIS), 1928-1940
- Gerhard Rohlfs, Nuovo dizionario dialettale della Calabria (con repertorio italo-calabro), Ravenna, Longo Editore, 1982
- Giovanni Consolino, Vocabolario del dialetto di Vittoria, Pisa, Pacini, 1986
- Giuseppe Misitano, Vocabolario del dialetto di Sinopoli, Milano, Jaca Book, 1990
- Dictionnaire historique de la langue française, Paris, Dictionnaires Le Robert, 1992
- Rino Calogero, Dizionario dialettale vibonese, Biblos, 1998
- Giuseppe La Face, Il dialetto reggino. Tradizione e nuovo vocabolario, Reggio Calabria, Iittiri, 2009
- Alberto Nocentini, l’Etimologico. Vocabolario della lingua italiana, Firenze, le Monnier, 2010