Ci sono tante parole e modi di dire o di fare che rappresentano lo stereotipo del milanese. Eppure, alcune di esse, analizzate da un punto di vista linguistico, non sono affatto meneghine. In questo articolo ti presento 5 tra i casi i più stridenti, con una disamina sulle ragioni… prima che tu mi dia del pazzo!
La sindrome del Milanese Imbruttito
Milano ha un’identità scarsissima. Il milanese medio passa in Piazza Lega Lombarda e pensa “perché hanno dedicato una piazza a un partito?” e se legge di Radetzky pensa al locale, non al feldmaresciallo boemo, come ben espresso dalla vignetta di Lombardiaball che trovi in questo articolo.
Sembra che per i milanesi l’identità coincida con i cliché: ignorando la storia, di certo tutt’altro che ingloriosa, della propria città, diventano elementi identitari le linee del tram e i luoghi della movida. Il vero dialetto milanese, inteso come dialetto della lingua lombarda, viene pressoché ignorato. Al suo posto rimangono solo alcune espressioni idiomatiche… che del dialetto milanese hanno poco o nulla.
Esistono pagine Facebook che rappresentano alla perfezione questa visione di Milano, portandomi a chiamare il fenomeno “Sindrome del Milanese Imbruttito“. Sono pagine simpatiche, sia chiaro. Sta di fatto che non si possono ritenere le depositarie della “milanesità”, ciò nonostante sono percepite come tali, e questo può essere un problema per noi che ci occupiamo di portare avanti il dialetto milanese.
Addirittura, una volta, correggendo la grafia di un post della citata pagina, una persona mi disse “Ma credi di sapere il milanese meglio del M.I?”. Modestamente, sì… dato che sulla pagina del Milanese Imbruttito non si parla quasi mai in milanese!
1. Figa
A leggere sul web sembra che i milanesi, se non dicono “figa” almeno ogni tre parole, non siano contenti.
Eppure, prima del boom del “figa” stereotipato da “cumenda” milanesotto, a Milano sentivo molto più l’uso del membro virile come esclamazione.
La ragione è semplice: in milanese cazz è sempre stata un’esclamazione comune, usata anche da Carlo Porta, mentre brugna, termine milanese per “figa”, ha sempre avuto solo il valore nominativo, e quasi mai esclamativo, per l’organo genitale femminile.
Quindi non c’è nulla di particolarmente milanese nell’esclamazione figa!
Qualcuno forse mi dirà che a Bergamo e a Brescia, che sono a due passi da Milano, si dice pota, che secondo alcuni deriverebbe da un termine che significa ‘vagina’. In effetti, in lingua veneta pota ha davvero quel significato. I “bresciamaschi” però non hanno alcuna consapevolezza che pota sia una parola volgare.
Di conseguenza, se vogliamo ipotizzare un’origine bergamasca o bresciana per il recente figa milanese dobbiamo presupporre che l’esclamazione pota:
- Sia arrivata a Milano per influsso del bergamasco o del bresciano;
- Qualcuno l’abbia interpretata “alla veneta” con il significato di figa;
- Qualcuno l’abbia tradotta in italiano;
- Abbia preso piede.
Possibile, ma decisamente contorto! Per il rasoio di Occam è quindi un’ipotesi improbabile.
Tra l’altro, la tendenza a non usare figa come intercalare è forte anche nel lombardo odierno, non solo milanese. Ad esempio Dellino Farmer non ha mai usato nelle sue canzoni tale parola in senso esclamativo, ma solo nel significato di ragazza particolarmente piacente. Sfido, inoltre, a trovare questa esclamazione nei classici della canzone milanese!
In conclusione, figa! potrà anche essere un intercalare comune a Milano, ma non ha nulla a che vedere col “dialetto milanese”.
2. Giargiana
Se avessi detto la parola “giargiana” a mio nonno, di Porta Ticinese, mi avrebbe risposto ma chi l’è el giargianes che ‘l dis inscì.
Infatti a Milano si è sempre detto, almeno da quando esiste quel termine, giargianes, italianizzato in ‘giargianese’.
Giargiana è una contrazione del termine nata in epoca molto recente, in un ambiente sociale prevalentemente italofono. Non l’ho mai sentita in un discorso in lingua lombarda. Sarà perché, onestamente, nessuno ne sentiva il bisogno!
3. Taaaac
Bisogna ammettere che taaac è dannatamente efficace nell’esprimere ciò che deve esprimere. Lo uso anche io. Ma non è un termine propriamente milanese.
Si tratta di una parola d’autore, riuscitissima, di Renato Pozzetto, che l’ha introdotta nella gag del microappartamento del suo film Il Ragazzo di Campagna.
https://www.youtube.com/watch?v=2aDXVx0_yH4&t=4s
4. Molà
Chiariamo subito: molà esiste anche in lingua lombarda, ma è poco usato. Di solito si preferisce lassà.
Questa parola ha una doppia storia da raccontare. Il Mai molà che divenne uno dei principali motti leghisti dell’era Bossi, come mi faceva simpaticamente notare un amico lombardofono nativo, sarebbe stato interpretato dai propri nonni come mai affilare. Il verbo molà infatti si riferiva prevalentemente all’affilamento degli utensili con la mola. Ciò non toglie che molà nel senso di ‘mollare’ in lombardo esiste, quindi il motto di Bossi era formalmente corretto. Solo che i lombardi nativi preferirebbero dire mai lassà.
Il mollami nel senso di ‘lasciami’ usato oggi nell’italiano regionale di Milano è pienamente una forma italiana. Un milanese avrebbe usato, anche qui, il verbo lassà, più precisamente lassom(a) stà o lassam stà.
5. Dominà
Questa parola è un pezzo di storia della lingua lombarda. Il ben noto ritornello di Oh mia bella Madoninna fa:
che te brillet de lontan, tutta dora e piscininna, ti te dominet Milan.
Il problema è che il verbo “dominà” prima non esisteva in milanese!
Ho provato a cercare la parola nel vocabolario del Cherubini, il punto di riferimento numero uno per il dialetto di Milano e dei paesi limitrofi, e non l’ho trovato.
Anche aprendo il dizionario di Cletto Arrighi, che a differenza del Cherubini offre un milanese più italianizzato, non si trova traccia di tale vocabolo.
Quando nel 1934 Giovanni D’Anzi si trovò a scrivere l’inno de facto di Milano prese in prestito quel termine dall’italiano, probabilmente per musicalità, rendendolo effettivamente una parola lombarda.
Milan l’è un gran Milan?
Qualcuno direbbe che questa riduzione dell’identità linguistica milanese a poche parole idiomatiche è il prezzo da pagare perché Milano sia una città internazionale, multiculturale e connessa, ma non credo sia così. Città come Barcellona, Zurigo e Vaduz sono “grandi”, internazionali, connesse e ricche come Milano, ma non hanno perso la propria identità, le proprie tradizioni e la propria lingua.
Anzi, avere un’identità solida favorisce il processo di apertura al mondo e il contatto positivo con altre culture…
Nella città meneghina c’è un detto in lombardo che si sente spesso ed è corretto al 100%: Milan l’è un gran Milan. Spero che un giorno Milano si meriti l’appellativo di gran non solo per le sue dimensioni geografiche, per la sua economia florida o per la vivacità di metropoli internazionale che la caratterizza, ma anche per il rispetto della sua identità linguistica e culturale.
P.S. lo sapevi che Milan in lombardo è maschile mentre Milano in italiano è femminile?