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Lingue e i dialetti d'Italia

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10 luoghi comuni contro i “dialetti” (e perché non ci devi credere)

by Pietro Cociancich

Quando ci troviamo a sostenere la causa delle lingue regionali (che molti chiamano ancora “dialetti“), molto spesso incontriamo una serie di argomentazioni contrarie alla loro tutela.

Tali argomenti però la maggior parte delle volte sono luoghi comuni senza molto fondamento.

Qui ne abbiamo raccolti alcuni (una decina), e abbiamo risposto punto per punto. Nel farlo, ci siamo ispirati a questo articolo sulla lingua gallese che ci mostra come in fondo tutto il mondo è paese.

Gli stessi luoghi comuni e le stesse argomentazioni nel contesto gallese possono essere riproposti, con alcuni adattamenti, anche al caso italiano.

Buona lettura!

1. I “dialetti” sono incomprensibili

Chi dice questo lo fa perché non li sa parlare. Nessuna lingua è comprensibile per chi non la sa parlare.

Questo, tra l’altro, smentisce il fatto che le lingue d’Italia siano dialetti dell’italiano.

2. Tanto ormai i “dialetti” sono morti

Traduzione: qualcuno vorrebbe che stessero morendo.

Si è cominciato ad annunciare la morte delle lingue regionali già nella seconda metà dell’Ottocento, quando esse erano ancora parlate dalla maggioranza della popolazione italiana. Ancora adesso, benché in declino, sono comunemente parlati da milioni di persone.

Bisognerebbe anche avere l’onesta di riconoscere che le lingue d’Italia non stanno morendo di “morte naturale“, ma per scelte politiche e culturali ben precise.

Piuttosto che continuare una guerra tra lingue, si potrebbe cominciare a imparare una convivenza diversa e più rispettosa.

3. Oggi tutti sanno parlare italiano

Così come tutti sapevano parlare nelle lingue regionali prima di cominciare a imparare l’italiano…

In ogni caso, italiano e dialetto non sono in contraddizione. Anzi, saper parlare più di una lingua porta numerosi benefici:

  • benefici cognitivi: un bilingue ha più memoria e una soglia di attenzione maggiore;
  • benefici di salute: il bilinguismo nativo può ritardare di alcuni anni l’emergere del morbo di Alzheimer;
  • dona un altro punto di vista sul mondo, e una conoscenza più profonda della propria cultura e di quelle altrui;
  • aiuta a imparare più velocemente nuove lingue;
  • è un valore aggiunto che può aiutare nel mondo del lavoro;

Il fatto che questi vantaggi del bilinguismo si possano trovare anche parlando “dialetto” è una verità ormai accettata anche dalla stampa più generalista, come testimonia questo recente articolo di Repubblica.

Infine, buona parte delle persone che parla le lingue regionali ama farlo. Questa è un’altra buona ragione per lasciarli continuare.

P.S. Lo sapevi che più della metà della popolazione mondiale è bilingue? Chi parla una sola lingua, insomma, è una minoranza.

4. I bambini che parlano dialetto poi non sanno l’italiano

Il che è in contraddizione con l’assunto che “tanto ormai parliamo tutti italiano”. Quindi i bambini da dove imparerebbero il “dialetto” se questo non è più parlato?

Decidiamoci: o l’italiano è in pericolo e quindi il “dialetto” è vivo e vegeto, oppure l’italiano non è in pericolo e quindi le lingue locali sono moribonde. Il che è un paradosso: entrambe le proposizioni non possono essere vere.

In ogni caso, un bambino che imparasse oggi la propria lingua regionale accanto all’italiano crescerebbe comunque in un contesto bilingue, e sarebbe fluente sia (per esempio) in piemontese che in italiano.

Con tutti i vantaggi di essere bilingue che ti ho elencato nel paragrafo precedente.

5. I “dialetti” sono sinonimo di chiusura

Parlare una lingua ti rende cittadino del mondo e saperne due ti isola? Questa argomentazione non ha senso.

Chi parla una lingua regionale ha di norma accesso a tutta la produzione culturale in italiano, e in più a quella nella propria lingua. Il che, dal punto di vista culturale, è un vantaggio rispetto a chi parla solo italiano.

Inoltre, come ho ricordato, parlare due lingue aiuta a impararne più velocemente una terza e, volendo, una quarta o una quinta. Insomma, un bilingue veneto-italiano ha più possibilità di allargare i propri orizzonti culturali rispetto a un monolingue italiano.

Infine: siamo sicuri che storcere la bocca quando si sente parlare una lingua che non è l’italiano sia un modo per non essere isolati e chiusi?

6. Bisognerebbe imparare lingue utili

Nelle regioni italiane, le lingue regionali possono essere lingue utili. Naturalmente è fantastico imparare l’inglese, il cinese, lo spagnolo, l’arabo, ma sul suolo italiano queste lingue hanno un uso piuttosto limitato, sicuramente inferiore a quello dei “dialetti”.

Anzi, spesso lingue internazionali come lo spagnolo e l’arabo in Italia hanno un basso valore sociolinguistico, perché utilizzate da comunità di migranti che tendono a passare all’italiano (e in certi casi anche alla lingua locale) già alla seconda generazione.

In alcuni casi sapere una lingua regionale ti può aiutare anche all’estero: per esempio, chi conosce il lombardo può entrare in maggiore confidenza con gli abitanti della Svizzera Italiana (e questo può essere un vantaggio dal punto di vista lavorativo e relazionale).

7. Chiamare “lingue” i dialetti è un’esagerazione

I dialetti da trattare addirittura come lingue autonome?

Sì: riconoscere i dialetti come lingue è l’impostazione più corretta e scientificamente neutra.

Questi idiomi sono nati più o meno contemporaneamente al toscano e a tutte le altre lingue romanze. Costituiscono, ciascuno nel proprio territorio, la diretta evoluzione del latino locale. Hanno sviluppato nel tempo caratteristiche di pronuncia e di grammatica (i linguisti direbbero fonetiche e morfologiche) spesso profondamente diverse da quelle dell’italiano.

Insomma, sono lingue diverse dall’italiano, e sono presenti sul territorio nazionale da più di mille anni.

8. Tutelare le lingue regionali costerebbe troppo

Ogni tutela ha un costo: vale per le strade di una città, vale per un monumento nazionale, vale per una lingua parlata da milioni di cittadini.

Noi siamo contenti se lo Stato si prende cura dei patrimoni culturali (materiali e immateriali) del nostro Paese: perché questo non dovrebbe valere anche per il patrimonio linguistico?

Inoltre, con gli stimoli giusti, le lingue regionali possono creare un nuovo mercato e nuovi posti di lavoro (anche nel settore privato): editoria, televisione, musica, radio, servizi di traduzione.

Un nuovo settore dell’economia che influirebbe positivamente sul PIL della Nazione.

9. Il bilinguismo porterebbe confusione

E questa sarebbe una delle ragioni per cui tanti sindaci, per esempio, rimuovono i cartelli bilingui all’ingresso delle città: “per evitare confusioni agli automobilisti”.

D’altro canto, è bene ricordare che molte traduzioni in italiano di nomi di luogo sono quasi superflue (Trent/Trento, Riggiu/Reggio, Udin/Udine), mentre in certi casi sono addirittura scorrette (Gulfu di li Ranci/Golfo Aranci, Gioner/Monte Generoso).

La tendenza a italianizzare  tutto, magari aggiungendo semplicemente una -o o una -e alla fine di un nome, ha stravolto la geografia locale e portato a dimenticare i nomi originali di gran parte dei luoghi della nostra Penisola: per esempio in Lombardia paesi come Béder, Rong (le betulle, le rogge) sono stati tradotti in “Bedero, Rongio”!

Come si può dire che un’insegna bilingue genererebbe più confusione?

Anche su altre materie (per esempio, annunci pubblici, comunicati stampa, insegne varie), il rischio di confusione è basso. Con il bilinguismo, ognuno sarebbe libero di leggere nella lingua che preferisce. Anzi, forse le lingue regionali potrebbero essere meno confusionarie dell’italiano, che spesso è appesantito dal difficile gergo burocratico.

10. Chi parla dialetto è rozzo

Il che equivale a dire “chi parla una lingua che non capisco è rozzo“. Il che poteva andare bene ai tempi degli antichi Greci, che chiamavano barbaro chiunque non parlasse greco, ma forse al giorno d’oggi non è più accettabile.

Le lingue locali italiane sono parlate da più di mille anni da tutte le componenti della società: uomini e donne, giovani e vecchi, ricchi e poveri.

Non si può pensare che un popolo intero, in tutti i suoi strati, fosse e sia anche oggi inevitabilmente rozzo.

In definitiva, ad essere rozzo non è il dialetto, ma questo tipo di ragionamento arretrato!

… e potremmo continuare

Questi sono solo alcuni dei luoghi comuni più diffusi. Ne conosci altri? Quali sono quelli che ti danno più fastidio? Aiutaci a elencarli, e a trovare assieme nuove argomentazioni per difendere le nostre lingue!

Filed Under: Bilinguismo Tagged With: Bufale linguistiche, Glottofobia, Sociolinguistica

About Pietro Cociancich

Sono nato nel 1991 a Milano, dove sono cresciuto e vivo ancora.

Ho fatto il liceo classico e ho studiato Storia all'Università Statale di Milano.
Sono cresciuto parlando solo italiano, e ho conosciuto il lombardo nel 2007, grazie all'edizione di Wikipedia in questa lingua. Da lì ho iniziato a studiare e imparare quella che io definiscono la mia “lingua adottata”.

Sono stato collaboratore e amministratore della Wikipedia in lombardo per quasi dieci anni.

Sono tra i fondatori del CSPL nel 2013, e dal 2014 ne sono il portavoce nazionale. Nel 2013 ho tradotto il De Vulgari Eloquentia di Dante in lombardo e ho vinto un premio letterario a cura dell'Associazion Linguìstica Padaneisa.

In questo sito mi occupo, tra le varie cose, di descrivere le diverse lingue d'Italia e smontare alcuni luoghi comuni riguardo ad esse.

Mi piace la politica, lo scoutismo, la montagna, l'umorismo da quattro soldi, girare in bici, la musica anni '70, vedere film tamarri al cinema, fotografare col telefonino, fare polemiche, compilare liste come queste.

Tra i miei progetti c'è la realizzazione di un grande dizionario per la lingua lombarda,

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