Quando ci troviamo a sostenere la causa delle lingue regionali (che molti chiamano ancora “dialetti“), molto spesso incontriamo una serie di argomentazioni contrarie alla loro tutela.
Tali argomenti però la maggior parte delle volte sono luoghi comuni senza molto fondamento.
Qui ne abbiamo raccolti alcuni (una decina), e abbiamo risposto punto per punto. Nel farlo, ci siamo ispirati a questo articolo sulla lingua gallese che ci mostra come in fondo tutto il mondo è paese.
Gli stessi luoghi comuni e le stesse argomentazioni nel contesto gallese possono essere riproposti, con alcuni adattamenti, anche al caso italiano.
Buona lettura!
Indice
- 1. I “dialetti” sono incomprensibili
- 2. Tanto ormai i “dialetti” sono morti
- 3. Oggi tutti sanno parlare italiano
- 4. I bambini che parlano dialetto poi non sanno l’italiano
- 5. I “dialetti” sono sinonimo di chiusura
- 6. Bisognerebbe imparare lingue utili
- 7. Chiamare “lingue” i dialetti è un’esagerazione
- 8. Tutelare le lingue regionali costerebbe troppo
- 9. Il bilinguismo porterebbe confusione
- 10. Chi parla dialetto è rozzo
- … e potremmo continuare
1. I “dialetti” sono incomprensibili
Chi dice questo lo fa perché non li sa parlare. Nessuna lingua è comprensibile per chi non la sa parlare.
Questo, tra l’altro, smentisce il fatto che le lingue d’Italia siano dialetti dell’italiano.
2. Tanto ormai i “dialetti” sono morti
Traduzione: qualcuno vorrebbe che stessero morendo.
Si è cominciato ad annunciare la morte delle lingue regionali già nella seconda metà dell’Ottocento, quando esse erano ancora parlate dalla maggioranza della popolazione italiana. Ancora adesso, benché in declino, sono comunemente parlati da milioni di persone.
Bisognerebbe anche avere l’onesta di riconoscere che le lingue d’Italia non stanno morendo di “morte naturale“, ma per scelte politiche e culturali ben precise.
Piuttosto che continuare una guerra tra lingue, si potrebbe cominciare a imparare una convivenza diversa e più rispettosa.
3. Oggi tutti sanno parlare italiano
Così come tutti sapevano parlare nelle lingue regionali prima di cominciare a imparare l’italiano…
In ogni caso, italiano e dialetto non sono in contraddizione. Anzi, saper parlare più di una lingua porta numerosi benefici:
- benefici cognitivi: un bilingue ha più memoria e una soglia di attenzione maggiore;
- benefici di salute: il bilinguismo nativo può ritardare di alcuni anni l’emergere del morbo di Alzheimer;
- dona un altro punto di vista sul mondo, e una conoscenza più profonda della propria cultura e di quelle altrui;
- aiuta a imparare più velocemente nuove lingue;
- è un valore aggiunto che può aiutare nel mondo del lavoro;
Il fatto che questi vantaggi del bilinguismo si possano trovare anche parlando “dialetto” è una verità ormai accettata anche dalla stampa più generalista, come testimonia questo recente articolo di Repubblica.
Infine, buona parte delle persone che parla le lingue regionali ama farlo. Questa è un’altra buona ragione per lasciarli continuare.
P.S. Lo sapevi che più della metà della popolazione mondiale è bilingue? Chi parla una sola lingua, insomma, è una minoranza.
4. I bambini che parlano dialetto poi non sanno l’italiano
Il che è in contraddizione con l’assunto che “tanto ormai parliamo tutti italiano”. Quindi i bambini da dove imparerebbero il “dialetto” se questo non è più parlato?
Decidiamoci: o l’italiano è in pericolo e quindi il “dialetto” è vivo e vegeto, oppure l’italiano non è in pericolo e quindi le lingue locali sono moribonde. Il che è un paradosso: entrambe le proposizioni non possono essere vere.
In ogni caso, un bambino che imparasse oggi la propria lingua regionale accanto all’italiano crescerebbe comunque in un contesto bilingue, e sarebbe fluente sia (per esempio) in piemontese che in italiano.
Con tutti i vantaggi di essere bilingue che ti ho elencato nel paragrafo precedente.
5. I “dialetti” sono sinonimo di chiusura
Parlare una lingua ti rende cittadino del mondo e saperne due ti isola? Questa argomentazione non ha senso.
Chi parla una lingua regionale ha di norma accesso a tutta la produzione culturale in italiano, e in più a quella nella propria lingua. Il che, dal punto di vista culturale, è un vantaggio rispetto a chi parla solo italiano.
Inoltre, come ho ricordato, parlare due lingue aiuta a impararne più velocemente una terza e, volendo, una quarta o una quinta. Insomma, un bilingue veneto-italiano ha più possibilità di allargare i propri orizzonti culturali rispetto a un monolingue italiano.
Infine: siamo sicuri che storcere la bocca quando si sente parlare una lingua che non è l’italiano sia un modo per non essere isolati e chiusi?
6. Bisognerebbe imparare lingue utili
Nelle regioni italiane, le lingue regionali possono essere lingue utili. Naturalmente è fantastico imparare l’inglese, il cinese, lo spagnolo, l’arabo, ma sul suolo italiano queste lingue hanno un uso piuttosto limitato, sicuramente inferiore a quello dei “dialetti”.
Anzi, spesso lingue internazionali come lo spagnolo e l’arabo in Italia hanno un basso valore sociolinguistico, perché utilizzate da comunità di migranti che tendono a passare all’italiano (e in certi casi anche alla lingua locale) già alla seconda generazione.
In alcuni casi sapere una lingua regionale ti può aiutare anche all’estero: per esempio, chi conosce il lombardo può entrare in maggiore confidenza con gli abitanti della Svizzera Italiana (e questo può essere un vantaggio dal punto di vista lavorativo e relazionale).
7. Chiamare “lingue” i dialetti è un’esagerazione
I dialetti da trattare addirittura come lingue autonome?
Sì: riconoscere i dialetti come lingue è l’impostazione più corretta e scientificamente neutra.
Questi idiomi sono nati più o meno contemporaneamente al toscano e a tutte le altre lingue romanze. Costituiscono, ciascuno nel proprio territorio, la diretta evoluzione del latino locale. Hanno sviluppato nel tempo caratteristiche di pronuncia e di grammatica (i linguisti direbbero fonetiche e morfologiche) spesso profondamente diverse da quelle dell’italiano.
Insomma, sono lingue diverse dall’italiano, e sono presenti sul territorio nazionale da più di mille anni.
8. Tutelare le lingue regionali costerebbe troppo
Ogni tutela ha un costo: vale per le strade di una città, vale per un monumento nazionale, vale per una lingua parlata da milioni di cittadini.
Noi siamo contenti se lo Stato si prende cura dei patrimoni culturali (materiali e immateriali) del nostro Paese: perché questo non dovrebbe valere anche per il patrimonio linguistico?
Inoltre, con gli stimoli giusti, le lingue regionali possono creare un nuovo mercato e nuovi posti di lavoro (anche nel settore privato): editoria, televisione, musica, radio, servizi di traduzione.
Un nuovo settore dell’economia che influirebbe positivamente sul PIL della Nazione.
9. Il bilinguismo porterebbe confusione
E questa sarebbe una delle ragioni per cui tanti sindaci, per esempio, rimuovono i cartelli bilingui all’ingresso delle città: “per evitare confusioni agli automobilisti”.
D’altro canto, è bene ricordare che molte traduzioni in italiano di nomi di luogo sono quasi superflue (Trent/Trento, Riggiu/Reggio, Udin/Udine), mentre in certi casi sono addirittura scorrette (Gulfu di li Ranci/Golfo Aranci, Gioner/Monte Generoso).
La tendenza a italianizzare tutto, magari aggiungendo semplicemente una -o o una -e alla fine di un nome, ha stravolto la geografia locale e portato a dimenticare i nomi originali di gran parte dei luoghi della nostra Penisola: per esempio in Lombardia paesi come Béder, Rong (le betulle, le rogge) sono stati tradotti in “Bedero, Rongio”!
Come si può dire che un’insegna bilingue genererebbe più confusione?
Anche su altre materie (per esempio, annunci pubblici, comunicati stampa, insegne varie), il rischio di confusione è basso. Con il bilinguismo, ognuno sarebbe libero di leggere nella lingua che preferisce. Anzi, forse le lingue regionali potrebbero essere meno confusionarie dell’italiano, che spesso è appesantito dal difficile gergo burocratico.
10. Chi parla dialetto è rozzo
Il che equivale a dire “chi parla una lingua che non capisco è rozzo“. Il che poteva andare bene ai tempi degli antichi Greci, che chiamavano barbaro chiunque non parlasse greco, ma forse al giorno d’oggi non è più accettabile.
Le lingue locali italiane sono parlate da più di mille anni da tutte le componenti della società: uomini e donne, giovani e vecchi, ricchi e poveri.
Non si può pensare che un popolo intero, in tutti i suoi strati, fosse e sia anche oggi inevitabilmente rozzo.
In definitiva, ad essere rozzo non è il dialetto, ma questo tipo di ragionamento arretrato!
… e potremmo continuare
Questi sono solo alcuni dei luoghi comuni più diffusi. Ne conosci altri? Quali sono quelli che ti danno più fastidio? Aiutaci a elencarli, e a trovare assieme nuove argomentazioni per difendere le nostre lingue!
Vesi qu’en Itàlia la conaria tocant lei lengas non oficialas es la mema causa qu’en França. E son de paìs que si crèson de democracias !
La France et l’Italie sont des démocracies, même si n’ont pas encore compris l’emportance de leur richesse linguistique. C’est à nous changer les choses 🙂
PS: excuse-moi si je ne te répond pas dans ta langue, mais je ne voudrai pas écrire dans un occitan improvisé…
Scusate ma non è contraddittorio chiamare “Lingue Regionali” i Dialetti? O fa parte della moda di chiamare qualcosa con un altro nome? Istintivamente non mi fiderei mai di chi, probabilmente per superiorità intellettuale, vuole difendere le “nostre lingue”, tentando così dare una nobiltà al dialetto, nobiltà che probabilmente lo ucciderebbe perche il dialetto è in primis espressione delle radici del popolo. Per questo per me è dialetto lo uso e mi piace, lo difendo al Bar, per strada e lo insegno a mio figlio, delle vostre “Lingue regionali” non me ne frega proprio niente anzi se potessi proibirei agli intellettuali di parlare in dialetto così noni potremmo continuare a dire pane al pane in quanto loro si scannano sul concetto della crusca
No, non è contraddittorio. Come scritto nell’articolo, è l’impostazione più corretta dal punto di vista scientifico.
Nella linguistica, il ‘dialetto’ è una variante locale di una lingua: come dire, il tedesco di Monaco, l’inglese di Birmingham, il francese di Bourdeaux, lo spagnolo di Buenos Aires. I nostri ‘dialetti’ però non sono varianti dell’italiano. Sono una cosa diversa.
Chiamare con lo stesso nome il milanese e l’italiano di Milano è insensato e porta a una grande confusione. Direi che è proprio tutto il contrario di dire ‘pane al pane’.
Non credo che dare ‘nobiltà’ (ripeto: invece si tratta di chiamare le cose col proprio nome) ucciderebbe il ‘dialetto’. Anzi, mi sembra che stia succedendo proprio il contrario: la ‘lingua’ stritola sempre di più i ‘dialetti’.
Per il resto, le facciamo i complimenti per l’uso quotidiano che fa della sua parlata.
I dialetti sono un’altra cosa. Io, da abitante del Piemonte, posso dire che il Piemontese è una vera e propria lingua, ma che al suo interno comprende dei dialetti, delle varianti da una zona all’altra, spesso anche molto accentuate, ma comunque comprensibili tra loro, che perciò non li divide in lingue. Vi è però il rischio che queste lingue, che hanno una storia che spesso parte dalle popolazioni autoctone antecedenti alle conquiste romane, si italianizzano troppo, perdendo le loro caratteristiche uniche intrinseche, rimanendo troppo simili alla lingua nazionale, tanto da diventare comprensibili a chi non le ha mai sentite parlare.
Inoltre molte lingue regionali hanno una propria scrittura, con una letteratura precisa, tutti fattori che non corrispondono ai ”dialetti”.
ps: Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia, l’italiano non lo sapeva mica, lui parlava solo piemontese ed era semi-alfabeta, tra l’altro da sempre lingua della corte di Torino e dei documenti ufficiali
Ci aggiungerei: parlare italiano rafforza il sentimento di appartenenza nazionale, mentre parlare dialetto lo comprime e lo mortifica.. Usando la stessa logica dovrei dire che parlare italiano, francese, spagnolo e non tutti inglese alimenta i nazionalismi a danno della comune patria europea.
Ma non dire stupidaggini . Bel sentimenti di appartenenza …a cosa ….?
Prima che ci fosse la disgraziata unificazione della penisola e le ancora più scellerate donazione alla Francia , Piemonte, Savoia , Nizza e Sardegna si chiamava REGNO DI SARDEGNA . Avevamo una nostra LINGUA di STATO SOVRANO parlata da tutti . Una letteratura con tanto di grammatica e dizionari . Dunque più lingua di così non si può definire alla faccia di coloro che ci hanno imposto ed ancora impongono un modo di parlare di origine Toscana ( un tempo detto volgare ) che è servita , come oggi l’Inglese , a fare in modo che tutti ci si comprendesse .
Bell’articolo, Pietro, complimenti!
Ne ho parlato anch’io sul mio sito web dedicato alle lingue, una volta a proposito del:
– gallese (https://turbolangs.com/it/gales-historia-curiosidades-razones-aprender-lengua-celtica-gales/)
– valenciano, lingua parlata nella Comunità Valenzana in Spagna (https://turbolangs.com/it/valenziano-spiegato-italiani/)
Dacci un occhio se vuoi, e fammi sapere che ne pensi, da appassionato ad appassionato.
Ottimo lavoro questo sito. Continuate così.
Ehm, posso farti notare che quelli che hanno imposto la lingua italiana, spesso con mezzi terribilmente repressivi, è stata proprio l’amministrazione savoiarda (ovvero piemontese) all’indomani dell’unità d’Italia? Prima del 1861 l’Italiano era appannaggio solo delle varie cancellerie delle corti pre-unitarie (inclusa quella di Torino, assieme al Francese) e di una manciata di intellettuali/burocrati/notai.
L’intera politica linguistica nazionale dal 1861 in poi venne decisa di Piemontesi. Più che oppressi, come li dipingi tu, oppressori.
concordo, con l’italianizzazione dei dialetti, ,il rischio è anche quello di rendere troppo comprensibili a tutti le parlate locali
Non hai colto l’ironia del mio intervento, che voleva colpire i detrattori delle lingue locali, Se lo rileggi meglio, comprendi che le mie non sono stupidaggini.
Questo articolo è bellissimo! Quanto sarebbe importante istituzionalizzare le nostre lingue regionali. Io sono genovese e la lingua ligure non è tutelata in Liguria ma lo è nella regione a statuto speciale della Sardegna, tramite il riconoscimento del dialetto tabarchino…! Che tristezza che non vengano fatti investimenti nelle nostre belle lingue regionali, come invece viene fatto in alcune regioni a statuto speciale dove queste lingue vengono parlate anche per il 90% nella comunità….